La prima guerra delle tv, la sfida a Rai e Mediaset

Fiorello e la Cuccarini hanno già scelto Sky. Altri lo faranno nei prossimi mesi


Repubblica.it di ERNESTO ASSANTE

ROMA – Fiorello e Lorella Cuccarini hanno già fatto il grande salto, così come il Mago Forest e Giovanni Cacioppo, e l’attore Fabrizio Bentivoglio che sarà il protagonista della prossima produzione seriale “L’ombra di Satana”. Fabio Volo e Luciana Litizzetto sembra siano in procinto di farlo. Un’intera pattuglia di comici legati a uno dei maggiori programmi di Canale 5, Zelig, è già al lavoro per un progetto che coinvolge tra gli altri Ficarra e Picone, Dado, Dario Cassini, Rocco Barbaro e un’altra mezza dozzina di personaggi. Tutti in corsa verso Sky, lasciando i lidi conosciuti di Rai e Mediaset.

La fuga delle star è il segno più evidente dei molti che stanno a indicare che il vecchio duopolio sul quale si è costruito e stabilizzato il sistema televisivo italiano traballa vistosamente, la rivoluzione della televisione italiana è iniziata. E c’è chi parla persino di Adriano Celentano, che con Sky ha costruito un ottimo rapporto in occasione del restauro di “Yuppi Du”, trasmesso proprio dalla tv satellitare. Sarebbe il colpo più grande per arricchire un’offerta che in primavera crescerà di altri dieci canali, tra i quali uno in alta definizione per i telefilm e di nuove offerte per i bambini e un canale dedicato alla salute.

Una campagna acquisti aggressiva, frutto della guerra in corso tra il vecchio duopolio Rai e Mediaset e la nuova realtà satellitare. Una campagna acquisti che continuerà, perché “Sky non ha mai smesso di investire: nuovi canali, nuovi diritti, nuovi progetti, è nel nostro Dna. La campagna acquisti non si è mai fermata, fin dal primo giorno, non stiamo cambiando linea oggi”, dice il Vicepresidente di Sky Andrea Scrosati.

Lui non ama parlare di guerra. Anche perché i rapporti con Mediaset sono ben più complessi di quel che appare. Il contratto che lega le due aziende, per esempio sui diritti del calcio, dovrà essere rinnovato tra qualche tempo e non è mai stato messo in discussione. Ma la guerra c’è e coinvolge tutti, perché tutti, da qui al 2012 cambieremo modo di guardare la televisione, passando dal sistema analogico a quello digitale: dai semplici televisori a un mondo fatto di decoder, ricevitori, smart card, cavi, satelliti, alta definizione, interattività. E si farà sempre più strada l’Iptv, la televisione che arriva nelle case attraverso il collegamento ad Internet, che per ora è soprattutto nelle mani di Telecom, altro terreno di scontro tra Murdoch e Berlusconi, visto l’interesse del magnate australiano per l’azienda telefonica italiana.

Oltretutto, secondo alcuni studi, come quelli di It Media Consulting, nel giro di soli due anni, alla fine del 2010, Sky diventerà il primo operatore televisivo per introiti complessivi.

Insomma: la “pax televisiva” sancita dalla legge Mammì del 1990 è finita, ma la guerra non è tra i due vecchi contendenti, Rai e Mediaset, ma con il “terzo incomodo”, con la tv satellitare di Rupert Murdoch, Sky Italia. La posta in gioco è la vita stessa delle tv di Berlusconi, la permanenza di un dominio sul mercato tv che fa comodo, in qualche modo, anche alla Rai. Che con l’arrivo di Sky la situazione sia cambiata lo dicono i numeri. Nel 2003, quando Sky Italia nacque dalle ceneri di Tele e Stream, Mediaset era in testa agli ascolti, con il 44.29% del totale, la Rai conquistava il 43%, La7 il 2.43%, le stime davano il satellite attorno al 2%.

I dati del 2008 dicono che la Rai è scesa al 41.86% e Mediaset è andata ancora peggio, arrivando al 40%. Sky è invece al 9.27%.

Il campanello d’allarme degli ascolti in calo squilla incessantemente negli uffici dei dirigenti dell’ormai ex duopolio, perché, su base annua, ogni punto di share guadagnato o perduto vale sul mercato circa 50 milioni di euro di raccolta pubblicitaria. Si parla di soldi, insomma, soldi veri, tanti. Nel 2007 la “torta” della raccolta pubblicitaria per le televisioni era stata suddivisa in questo modo: 2.88 miliardi di euro a Mediaset, 1.37 miliardi alla Rai, solo 210 milioni a Sky. Per il 2008 è andata peggio a tutti, ma a fine settembre l’azienda di Murdoch era già a quota 196 milioni, e in molti immaginano che il conto finale potrebbe segnare una lieve crescita, contro le perdite notevoli di Rai e Mediaset.

Sono gli abbonamenti che contano in casa Sky e che portano la rete satellitare a contabilizzare poco meno di Mediaset e Rai. “In sei anni Sky è diventata un colosso fino a fatturare 2,5 miliardi di euro”, dice uno che la televisione pubblica la conosce bene e che conosce altrettanto bene Berlusconi.

In casa Mediaset ufficialmente minimizzano: “Non esageriamo”, dice Fedele Confalonieri, “Sky è diventata la più bella tv? Ha la forza della quantità, ha 100-150 canali. Ma alla fine gli ascolti li fanno innanzitutto con i nostri tre canali generalisti e con i tre della Rai”. Il che è vero ma solo in parte, perché i numeri di ascolto dei canali Mediaset e Rai, che sono i più visti su Sky, dall’Auditel vengono attribuiti direttamente alle reti generaliste e non sommate agli ascolti di Sky. In quel caso Sky non sarebbe al 9%, ma crescerebbe quasi fino al 30%.

Ma nei corridoi di Cologno Monzese l’aria che tira è tutt’altra: funzionari, programmisti, produttori, sanno che la situazione in cui si trovano è profondamente diversa, e ripetono con aria sconsolata che uno degli effetti dalla struttura stessa del mercato, congelato nella situazione del duopolio da molto tempo, è che l’innovazione in Mediaset è finita, che lo spirito dell’azienda si è congelato. Sperimentazione non se ne fa perché non ce n’è bisogno perché a garantire l’azienda c’è il presidente del Consiglio. Così sono rimasti indietro sia sul piano tecnologico e creativo, e non hanno mai preso nemmeno in considerazione l’ipotesi della concorrenza di qualcuno diverso dalla Rai. C’è chi lo chiama “il paradosso del conflitto d’interessi”, la protezione di Mediaset che congela Mediaset.

Negli ultimi nove mesi l’azienda si è resa conto che la situazione è cambiata, che il mercato, nonostante sia controllato e canalizzato, sta indirizzandosi verso il cambiamento indotto dall’introduzione della tv digitale, sia satellitare che terrestre. E i risultati della Sardegna, con Sky al 13 per cento, hanno accelerato i tempi del cambiamento. Cambiamento che ha portato all’annuncio di qualche giorno fa: “A giugno usciremo da Sky” dice Claudio Cappon, direttore generale della Rai, presentando Tivù Sat (composta al 48% da Mediaset, 48% da Rai, e 4% da Telecom), piattaforma digitale che sfilerà i sette canali gratuiti e generalisti dalla piattaforma di Sky e li porterà in un nuovo ricevitore, in diretta concorrenza quindi con Sky.

Guerra? “Ma no”. Massimo Donelli, direttore di Canale 5 ostenta tranquillità e dichiara: “Non abbiamo nulla da temere, nella lotta tra i network siamo quelli messi meglio”. Più esplicito è Cappon: “La competizione è competizione: il sistema è aperto e in campo non ci sono più soltanto Rai e Mediaset. In questi anni Sky si è affermato come un competitor a tutti gli effetti: la vicenda Fiorello è emblematica”.

Ma c’è chi a questa apertura, a questa possibilità di cambiamento crede ancora poco: “La competizione richiede coraggio, capacità di rinnovamento, inventiva e investimenti”, dice Giorgio Gori, ex direttore di Canale 5, oggi produttore televisivo di successo con la Magnolia (controllata dalla DeAgostini), con trasmissioni come X- Factor e L’Isola dei Famosi, “Il rilancio della tv americana è nato non a caso dalla competizione delle reti via cavo che hanno spinto le grandi tv a rinnovare profondamente la loro offerta”. Qualcuno, come Franco Bernabè alla testa di Telecom, pensa che il digitale terrestre sia un sistema transitorio e cede le sue frequenze agli svedesi di Air Plus (che partirà nella prossima stagione con il calcio e con quattro canali pay sul digitale terrestre), “perché l’Iptv (la televisione che arriva attraverso Internet nelle nostre case) è il futuro della televisione. La piattaforma Iptv è migliore perché i servizi che può offrire sono molto più innovativi rispetto a quelli della tv digitale”.

Bernabè e l’ad di La7 Giovanni Stella pensano ai servizi per gli utenti, alla tv interattiva, alle pubbliche amministrazioni e ai comuni, che possono utilizzare i nuovi sistemi per comunicare con i propri cittadini. Ma non hanno certamente digerito lo “scippo” del rugby da parte di Sky, che si è accaparrata i diritti del Sei Nazioni per portarlo sulla tv a pagamento, mentre lo scorso anno era La 7 a trasmetterlo con grande successo in chiaro. Tom Mockridge, ad di Sky Italia, è molto soddisfatto: “Siamo felici di arricchire la nostra offerta, il successo mondiale del 2007 ci indica che il grande rugby incontra l’interesse sempre crescente del pubblico”.

Altri programmi per conquistare nuovo pubblico, spettatori da togliere alle tv generaliste. Problemi di crescita? I 4.7 milioni di italiani che oggi sono abbonati a Sky sono il massimo al quale la tv di Murdoch può ambire? Negli uffici di promozione di Sky si usa una formula convincente: “In questo mercato lo spazio per crescere c’è, perché per una tv che vive di abbonamenti e non di pubblicità lo spazio arriva fino alla casa dell’ultimo abbonato possibile. Per ora ne abbiamo 4.7 milioni, è ovvio che c’è ancora molto spazio per crescere”.

La situazione è in movimento: si dice che Berlusconi pensi a una Rai senza pubblicità, alla possibilità che il canone diventi una tassa girata sulle bollette della luce, e alla sua riduzione che eliminerebbe l’evasione recuperando soldi per l’azienda pubblica. Ma anche riportando risorse pubblicitarie in casa Mediaset. Prima che arrivi il 2012 e prima che Sky, potendo scendere dai cieli, diventi legalmente anche una rete terrestre.

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