Storia della radiotelevisione italiana. 1988: la doccia fredda delle radio nazionali (prima parte)

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Il decreto di perquisizione e di sequestro, a firma del pretore Maria Ocello, seguiva alle varie denunce dell’A.N.T.I. ed ai rapporti giudiziari dell’Escopost-Escoradio che aveva accertato che la s.r.l. Radio Studio 105 esercitava “la sua attività di radiodiffusione in violazione delle disposizioni di cui all’art. 195 D.P.R. 29/3/1973 n. 156 modificato dall’art. 45 l. 14/4/1975 n. 103”, precisando come essa non si limitasse “alla trasmissione dei segnali dallo studio di emissione di Milano al trasmettitore e ai ripetitori in un ambito locale”, ma, attraverso una serie di “ponti di trasferimento”, facesse sì che essi venissero “trasmessi programmi “in diretta” da Milano a gran parte del territorio nazionale”.
Il provvedimento giudiziario era stata una doccia gelata non solo per Rete 105, ma anche per le diverse reti nazionali che nel frattempo erano già presenti o si stavano sviluppando sul territorio nazionale: Radio Radicale, Radio Dee Jay, Radio Milano International, Radio Dimensione Suono, Radio Kiss Kiss, Segnale Italia, Gamma Radio, Italia Network, Latte e Miele (Radio Montecarlo faceva caso a sé, essendo formalmente la ripetizione di un programma estero, seppur basato anche su produzioni italiane). Radio Studio 105 antenna 99075 MHz Milano 203x300 - Storia della radiotelevisione italiana. 1988: la doccia fredda delle radio nazionali (prima parte)Gli impianti di Rete 105 al di fuori della Lombardia (così facendo la Pretura di Milano aveva definito autonomamente “l’ambito locale”, facendolo coincidere con la regione d’appartenenza dell’emittente) furono scollegati dalla rete e, per evitare il tracollo economico, l’emittente li presidiò trasmettendovi in un primo tempo programmi preregistrati e, in un secondo tempo, le medesime trasmissioni milanesi ritardate a livello temporale di qualche minuto, determinando così nuove iniziative giudiziarie da parte dell’A.N.T.I. (che, ricordiamo, con la sua denuncia aveva dato impulso all’intervento della magistratura). La battuta d’arresto per Rete 105 minacciava di travolgere anche i concorrenti , non solo sotto il profilo penale, per la probabilità di nuove denunce contro di essi, ma anche per la dichiarazione di guerra del network milanese che sollecitava la coesione evidenziando che, diversamente, avrebbe agito in sede civile per concorrenza sleale. La difesa del comportamento delle reti nazionali radiofoniche interconnesse strutturalmente appariva, sotto il profilo giuridico, impervia: i più importanti precedenti giurisprudenziali non sembravano incoraggianti. Anzitutto, vi erano alcune sentenze della Corte Costituzionale che tracciavano i limiti operativi dei privati nell’etere radiotelevisivo: con la già citata sentenza n. 148 del 14 luglio 1981, la Corte aveva chiarito che “l’emittenza privata può essere attualmente esercitata solo in ambito locale per la oramai ivi acquisita pluralità di altre emittenti di diversi e contrastanti indirizzi, mentre largamente travalicherebbe questi limiti qualora si estendesse a tutto il territorio nazionale”. Va detto, peraltro, che nella citata decisione, i giudici delle leggi lasciavano aperta una porta allo sviluppo dell’emittenza privata su scala nazionale, affermando (invero in maniera a dir poco lungimirante, considerato lo sviluppo che avrebbe avuto il sistema radiotelevisivo italiano nel ventennio seguente!) che “A diverse conclusioni potrebbe eventualmente giungersi ove il legislatore (…) apprestasse un sistema di garanzie efficace al fine di ostacolare in modo effettivo il realizzarsi di concentrazioni monopolistiche od oligopolistiche non solo nell’ambito delle connessioni tra le varie emittenti, ma anche in quello dei collegamenti tra le imprese operanti nei vari settori dell’informazione, incluse quelle pubblicitarie(…)”. Radio Studio 105 antenna 98850 Monte Penice 201x300 - Storia della radiotelevisione italiana. 1988: la doccia fredda delle radio nazionali (prima parte)Tale orientamento era stato poi confermato anche in tempi più prossimi al fatto di cui stiamo trattando. Il 23 gennaio 1986, con la sentenza n. 35, la Consulta ebbe, infatti, a precisare che “(…) Questa Corte, con la sent. n. 202 del 1976, mentre ha negato la legittimità della riserva allo Stato dell’emittenza di portata non eccedente l’ambito locale, ha nondimeno ritenuto indispensabile, riconoscendo fra l’altro l’esigenza di un regime autorizzatorio al fine di assicurare, secondo i criteri prescelti, il coordinamento fra la detta emittenza e tutti gli altri servizi e le altre attività di radiodiffusione (…)”, mentre il 13 maggio 1987, con la sentenza n. 153, la Corte ribadiva che: “(…) per le trasmissioni su scala via etere non può essere invocato, in genere, il presupposto della limitatezza dei canali né si può far riferimento ad un elevato costo degli impianti, ed è perciò da riconoscere il diritto di iniziative private (…)”. A puntare i riflettori sull’utilizzo dell’etere per illuminazione extralocale, era stata, tuttavia, soprattutto l’ordinanza istruttoria del 13 luglio 1987, con la quale la Corte Costituzionale aveva disposto che la Presidenza del Consiglio dei ministri ed il Ministero delle Poste e delle telecomunicazioni fornissero, entro 60 giorni, un’analitica serie d’informazioni tecniche sullo stato dell’emittenza radiotelevisiva italiana e, segnatamente, il numero, le caratteristiche tecniche, gli ambiti d’esercizio delle emittenti operanti e i collegamenti in ponte radio, non solo delle emittenti radiotelevisive, ma anche d’imprese, anche pubblicitarie, operanti nel settore. Radio Studio 105 regia automatica 300x210 - Storia della radiotelevisione italiana. 1988: la doccia fredda delle radio nazionali (prima parte)A motivare la richiesta della Consulta vi erano alcune ordinanze dei Tribunali di Milano e di Genova che dubitavano della legittimità costituzionale dell’assoggettamento al regime concessorio, anziché autorizzatorio, ai sensi degli artt. 1 e 183 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156 (nel testo sostituito con l’art. 45 della legge 27 aprile 1975, n. 103) dell’attivazione ed esercizio d’impianti radioelettrici attraverso ponti-radio ad uso privato. E ciò nonostante l’asserita sufficiente disponibilità di frequenze utilizzabili a tal fine e le disposizioni di cui agli artt. 3, commi 1, 2, 3 e 4, comma 3 bis, della L. 10/1985 , giacché, con tale norma, si sarebbero legittimate le trasmissioni radiotelevisive in ambito ultralocale in assenza della normativa antitrust ritenuta necessaria dalla Corte Costituzionale con la già citata sentenza n. 148/1981.  Insomma, in discussione vi era l’architettura stessa della L. 10/1985; in altre parole, la legge di conversione di quel “Decreto-legge salva Berlusconi” che sul finire del 1984 aveva legittimato l’operatività delle reti televisive nazionali e aveva aperto un varco all’interconnessione strutturale impiegata dalle reti radiofoniche e, in particolare, da Rete 105. Anche la giurisprudenza della Cassazione non sembrava favorevole alla difesa di Rete 105: con sentenza 13 giugno 1984 (depositata il 17 ottobre 1984), la III Sezione penale aveva, infatti, affermato che “Non può ritenersi responsabile del reato di cui all’art. 195 del d.P.R. 29/3/1973 n. 156 come modificato dall’art. 45 della l. 14/4/1075 n. 103 chi, nei limiti della legge, installi ed eserciti un impianto di diffusione radiofonica e televisiva di portata non eccedente l’ambito locale, pure non essendo in possesso della prescritta autorizzazione, ma che mai potrebbe essere rilasciata in mancanza della previsione legislativa dei requisiti necessari per ottenerla. Diversamente operando significherebbe che l’inerzia a riguardo del legislatore nazionale, protratta indefinitamente, priverebbe il soggetto di esercitare un diritto costituzionale a lui riconosciuto”. Radio Studio 105 artistijpg 300x198 - Storia della radiotelevisione italiana. 1988: la doccia fredda delle radio nazionali (prima parte)Analogamente, la sentenza 1-2 novembre 1986 della medesima III Sezione penale sanciva l’obbligatorietà dell’autorizzazione dei programmi irradiati in ambito ultralocale. Più di tutte, sembrava tuttavia calzare a pennello, per il caso in trattazione, la sentenza della III Sezione penale del 3 febbraio 1987 , con cui la Cassazione, mentre affermava la liceità dell’interconnessione funzionale (vale a dire la c.d. “cassettizzazione”, la trasmissione simultanea da diversi punti di messa in onda, allo stesso orario del medesimo giorno, dell’identico programma preregistrato), affermava la responsabilità penale dell’interconnessione strutturale estesa oltre l’ambito locale. Dalla propria, Rete 105 aveva, invece, l’esito di due recenti procedimenti giudiziari milanesi su argomenti similari, condotti l’uno dal pretore Tavassi (6 febbraio 1987), l’altro dal pretore Grossi (23 marzo 1987). – (fine prima parte – segue) –  estratto da – M. Lualdi – “Il concetto giuridico di ambito locale nel sistema radiofonico italiano alla luce dell’evoluzione tecnologica”
Foto da www.novantanoviani.it

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