Un’operazione da 83 miliardi di dollari in due giorni (anche se non tutti in denaro). Nemmeno il tempo di rendersi conto che Netflix, il colosso dello streaming video on demand (una capitalizzazione di mercato che supera i 400 miliardi di dollari), aveva fatto un offerta per soffiare a Paramount l’affare Warner Bros. Discovery (collocatasi sul mercato con una curiosa azione di stimolo della stessa Paramount) e il deal era stato definito.
Perché tanta fretta per così tanti soldi?
E’ veramente un affare o piuttosto una questione di sopravvivenza per entrambi i contraenti, al di là della contingente solidità finanziaria?
Quel che è certo è che, dell’affare, a farne le spese saranno le sale fisiche con la chiusura delle finestre esclusive dei film in pochi anni, mentre il futuro di Discovery non passerà da Netflix.
L’esplosione della notizia che Netflix ha acquisito Warner Bros. Discovery per una cifra che sfiora gli 83 miliardi di dollari (quindi al di sopra dei 74 mld richiesti da Warner), anche se una parte saranno pagati in azioni di Netflix, alcuni osservatori hanno subito parlato di un’operazione colossale quanto inevitabile in conseguenza del fatto che sistemi macrosomici necessitano di crescere continuamente per sopravvivere.
Livello della trasformazione sistemica
Ma ciò che forse non è chiaro, almeno non nell’immediato, è il livello reale di trasformazione che questa fusione genererà, non solo per Hollywood – che pure ne esce completamente ripensata (“L’impatto negativo di questa acquisizione avrà ripercussioni sui cinema, sulle sale indipendenti con un solo schermo nelle città piccole degli Stati Uniti e del mondo”, è stato il commento a caldo del presidente di Cinema United, Michael O’Leary) – ma soprattutto per quei mercati nazionali che fino a oggi avevano, nello sconfinato alveo dell’universo Warner, saputo ritagliarsi un proprio spazio di autonomia editoriale, produttiva e culturale, come l’Italia, dove l’area Discovery di Warner è particolarmente consolidata.
Netflix Warner: over over the top
Ma andiamo per ordine.
La portata del deal Netflix-Warner è talmente vasta e complessa – essendo di caratura mondiale dovrà superare l’esame differenziato delle varie Antitrust locali (FCC in primis, negli USA), tanto che è stata prevista una breakup fee da 5,8 miliardi di dollari nel caso in cui l’operazione venisse bocciata (e sempre ammesso che una nuova offerta ostile superiore da parte di Paramount non possa rimetterla in gioco) – da ridefinire il concetto stesso di “piattaforma” (già più volte qui discusso, con la tendenza – avviata da Amazon – di integrare piattaforme terze nel proprio ecosistema, esattamente come farà ora Netflix con gli hub Warner Hbo e Max).
Conglomerato mediatico planetario
Netflix – d’ora in poi – non potrà più essere considerato solo un servizio di streaming che distribuisce contenuti: sarà, a tutti gli effetti, un conglomerato mediatico globale: un’industria completa che possiede studi, archivi, franchise, strutture creative e canali distributivi. Un soggetto che controlla la filiera dalla scrittura alla distribuzione e che può decidere – in totale autonomia – cosa produrre, come distribuirlo e quali territori strategici privilegiare.
Hollywood cambia casa
Quindi è Hollywood che cambia padrone; anche se forse sarebbe più corretto dire che è Hollywood che viene riassorbita dentro un’entità planetaria. “Insieme, possiamo offrire al pubblico più di ciò che ama e contribuire a definire il prossimo secolo di narrazione” è stato il commento a latere del comunicato ufficiale congiunto di Ted Sarandos, co-ceo di Netflix, sostenuto da David Zaslav, presidente e ceo di Warner Bros. Discovery: “L’annuncio di oggi unisce due delle più grandi aziende di storytelling al mondo”.
La riduzione dei tempi delle pellicole nelle sale
Uno dei target dichiarati da Sarandos è portare i contenuti agli spettatori in streaming più rapidamente, riducendo i tempi tra l’uscita in sala e il debutto via IP, che prima del Covid era tra due e tre mesi, oggi ridottisi al massimo 45 gg e con una prospettiva entro il 2029 di azzeramento, in quanto “le finestre esclusive per la visione dei film non sono user-friendly”. Insomma, una rivoluzione comportamentale che riscriverà non solo l’impatto del cinema fisico (inteso come business nelle sale e momento di socializzazione), ma anche la rilevanza dell’on demand.
Disinteresse per i canali lineari da parte di Netflix-Warner
Come abbiamo scritto più volte, i superplayer dello streaming globale (da Netflix passando per Prime Video e YouTube), prevedibilmente, non hanno interesse in sede di acquisizione progressiva di piattaforme concorrenti o adiacenti a mantenere operativi canali lineari pensati per un modello di fruizione televisiva che appartiene al passato. Infatti, proprio in prospettiva di successivi evoluzioni societaria, nei mesi scorsi era stata ventilata l’intenzione di scorporare in una nuova società (Discovery Global) tutti i brand Warner del mondo documentaristico-factual Discovery, Cartoon Network, CNN, TNT Sports e tutta la parte di canali via cavo e le reti free-to-air europee, tra cui quelle italiane.
Il riverbero sull’Italia
La maxifusione avrà un effetto immediato sul nostro mercato, nella specie su Warner Bros. Discovery Italia S.r.l., società italiana di proprietà di Warner Bros. Discovery EMEA, parte del gruppo Warner Bros. Discovery International (divisione internazionale di Warner Bros. Discovery), fino a oggi una presenza solida, riconoscibile e radicata, che però di colpo appare come un tassello non strategico del nuovo impero Netflix-Warner.
Il destino dell’area Discovery italiana
E così iniziano a circolare ipotesi concrete di un passaggio di tutta l’area italiana di Discovery (Nove, Real Time, DMax, Giallo, Food Network, ecc.), che sarà scorporata dalla Warner entro il 3° trimestre 2026. Tra i potenziali destinatari si parla di Sky Italia (gruppo Comcast), che ha, seppur sul piano opposto a quello di Netflix, quella stessa necessità di consolidamento per resistere su un mercato dell’intrattenimento live sempre più caratterizzato da dinamiche di gigantismo.
In un mondo di titani, nessuno è percepito come un titano
Se, pertanto, Netflix e Warner – al di là dell’aspetto formale dell’acquisizione della prima sulla seconda – hanno trovato una comunione di interessi nell’unirsi per resistere in un mercato di titani dove nessuno è quindi titano, in effetti, anche Sky deve resistere in un mondo cavo regolato però dalle stesse dinamiche.
Il paradigma
E calandoci ulteriormente nel sottosistema scopriamo come l’ipotizzata alienazione di Discovery Italia a Sky (Italia) potrebbe non essere una semplice trattativa commerciale derivata dal superdeal Netflix-Warner, ma un vero e proprio ulteriore cambio di paradigma.
Il laboratorio di Discovery
Discovery, in Italia, non è solo un editore, ma un laboratorio. Uno dei pochi spazi in cui il factual, il racconto popolare, il docu-reality e il lifestyle sono riusciti a trovare un pubblico, costruire linguaggi e – cosa rara nel nostro sistema – valorizzare produzioni locali. Se Discovery si spostasse su Sky, l’intero ecosistema si sposterebbe con esso.
Effetti della concentrazione
E si creerebbe una concentrazione di potere televisivo che non avrebbe precedenti negli ultimi vent’anni: Sky diventerebbe, di fatto, il perno dell’offerta lineare tematica, mentre Rai e Mediaset resterebbero confinate ai loro territori tradizionali, senza una competizione sostanziale in grado di generare ibridazioni, contaminazioni ed alternative editoriali.
Dinamiche globali
E ciò avviene non per una scelta italiana, ma come riflesso (quasi) incondizionato di una dinamica globale.
Per Netflix, tutto ciò che non è streaming, tutto ciò che non alimenta l’algoritmo, tutto ciò che non porta valore immediato nella competizione planetaria, diventa un ramo secco da tagliare o (meglio) alienare. E per l’Italia, questo potrebbe significare perdere in un colpo solo uno dei pochi operatori internazionali che negli anni ha investito davvero nel Paese. Non per missione culturale, certo, ma con un’intelligenza editoriale che aveva aiutato a diversificare un mercato storicamente ingessato.
Il concetto di contenuto
Il punto, però, è ancora più profondo.
L’acquisizione Netflix-Warner non ridefinisce solo il potere industriale: ridefinisce il concetto stesso di contenuto. Il contenuto non è più pensato per viaggiare tra mercati, ma per essere integrato in un’unica piattaforma globale. Non è più venduto, è trattenuto. Non è più universale, è algoritmico.
Dal vediamo come va al decidiamo cosa vuole il mercato
La logica del “mettiamo in onda e vediamo come va” viene sostituita dalla logica del “produciamo ciò che serve alla piattaforma per crescere in quel cluster specifico”. Ed è una logica che non ha alcun interesse a preservare identità nazionali, diversità editoriali o sperimentazioni locali. Ciò che non genera valore globale rischia semplicemente di non esistere.
Il linguaggio universale
È in questo scenario che l’Italia deve interrogarsi. Non perché Sky potrebbe mangiare Discovery, quale briciola sul tavolo dell’abbuffata di Netflix, che diventerà il più grande produttore-distributore dell’intrattenimento della storia in grado di azzerare il mondo fisico del cinema, ma perché stiamo entrando in un’epoca in cui la nostra capacità di produrre immaginario, narrativa, identità audiovisiva rischia di essere marginalizzata. Non è solo una questione economica: è una questione culturale. Se i contenuti arrivano da fuori, se i palinsesti vengono decisi altrove, se i linguaggi vengono progettati per un mercato globale, che fine fa la nostra capacità di raccontare noi stessi?
La fragilità dell’industria a/v
L’editoria e l’industria audiovisiva italiana vivono da anni una fase di fragilità, ma ciò che accade oggi va oltre il semplice problema della concorrenza. Questo è il momento in cui dobbiamo decidere se vogliamo essere spettatori o produttori del nostro futuro mediatico. Il mondo sta correndo verso modelli industriali che non ci contemplano. Se non costruiamo un nuovo sistema — più leggero, più innovativo, più autonomo — resteremo dipendenti da scelte altrui, da algoritmi altrui, da immaginari altrui.
Farsi raccontare
Netflix, acquistando Warner, ha comprato Hollywood, che fin qui ci ha raccontato la propria visione del mondo. E ora Netflix potrà decidere come raccontarci il mondo.













































