da Radio Passioni
Qualche mese fa, a Londra, osservavo il marchio Clear Channel Communications su uno di quei manifesti pubblicitari che addobbano le casette alle fermate degli autobus. Ricordo che avevo impiegato qualche secondo nel ricordare che Clear Channel, non è solo quel potente controllore di stazioni locali americane (oltre 1.100, di cui quasi 350 trasmettono in HD Radio). Possiede anche, pur avendone ceduto una quota un paio d’anni fa, una attività internazionae di cartellonistica e pubblicità da esterni (outdoor, come si dice in inglese). Per chi arriva a Londra da Heathrow, a un certo punto, nel West end si intravvede il palazzo che ospita la sede londinese di questa multinazionale mediatica.
In realtà Clear Channel è nota soprattutto per le radio e non tutti negli USA pensano che la sua poderosa crescita – C.C. è passata da poche decine di stazioni a oltre mille emittenti controllate tra il 95 e il 2001 – non sia stata così positiva. Anzi, per alcuni, la scomparsa di tanta programmazione locale a favore di show trasmessi in syndication da centinaia di radio (tra questi show c’è anche Rush Limbaugh, idolo tra i commentatori di destra), è una prova che anche Clear Channel è uno dei tanti imperi del male.
Lo scorso febbraio, hanno scritto i giornali, C.C. ha avuto dall’antitrust la definitiva approvazione del merger con due fondi di private equity, Bain Capital e Thomas H. Lee Partners, che la famiglia Mays, al comando della società, aveva chiamato nel 2006. Il merger con i due fondi servirà a Clear Channel a invertire la rotta e a riprendere la strada della crescita, dopo che un’operazione di buyback e di ristrutturazione interna non aveva dato i frutti sperati.
Staremo a vedere che succede ma nel frattempo C.C. continua a essere un colosso nel mercato della radiofonia. Tanto che Alec Foege, giornalista freelance che lavora col New York Times e Play Boy ha in uscita il mese prossimo, presso Faber & Faber, il suo RIGHT OF THE DIAL The Rise of Clear Channel and the Fall of Commercial Radio, una storia di Clear Channel, dai primi esordi del gruppo texano alla situazione attuale. Il recensore del libro sullo stesso New York Times, ci dice che l’opera ha i suoi difetti. Anche se ci sono limiti oggettivi, nel senso che la Clear Channel dei Mays è un’azienda estremamente riservata e l’autore non ha potuto incontrare il top management. Ma è pur sempre un contributo interessante per la conoscenza di un fenomeno imprenditoriale non privo di implicazioni inquietanti, che per alcuni ha segnato l’inarrestabile declino del mercato delle stazioni radio indipendenti così come gli americani lo hanno sempre conosciuto. Su Internet trovate una fonte primaria di notizie su Clear Channel: la rivista online Salon. Eric Boehlert ha pubblicato una dozzina di articoli da leggere tutti di un fiato all’indirizzo http://www.salon.com/ent/clear_channel/
La nascita di questi grandi conglomerati mediatici non ha solo risvolti economici. Un altro libro pubblicato quest’anno dallo stesso gruppo editoriale di Right of the dial, analizza il fenomeno della media consolidation (che riguarda radio, televisioni e anche giornali) partendo da un episodio tragico, guarda caso legato a Clear Channel. Nel 2002 un incidente ferroviario provocò a Minot, in North Dakota, la fuoriuscita di sostanze tossiche nell’aria. I pompieri intervenuti provarono a contattare le stazioni radio locali per avvertire la popolazione. Ma quelle stazioni erano state acquisite da Clear Channel ed erano state tutte automatizzate. Trascorsero ore preziose prima che le autorità riuscissero a contattare i responsabili delle emittenti e a far attivare la trasmissione degli appelli alla popolazione. Alla fine ci scapparono un morto e un migliaio di intossicati.
Riporto qui, per gli interessati, le schede dei due volumi, apparsi entrambi presso altrettante case editrici del gruppo MacMillan.
Right of the Dial
The Rise of Clear Channel and the Fall of Commercial Radio
Alec Foege
$25.00 Pre-Order
Faber & Faber
ISBN: 978-0-571-21106-7
Trim: 6 x 9 inches
320 pages, Notes/Index
InRight of the Dial, Alec Foege explores how the mammoth media conglomerate evolved from a local radio broadcasting operation, founded in 1972, into one of the biggest, most profitable, and most polarizing corporations in the country. During its heyday, critics accused Clear Channel, the fourth-largest media company in the United States and the nation’s largest owner of radio stations, of ruining American pop culture and cited it as a symbol of the evils of media monopolization, while fans hailed it as a business dynamo, a beacon of unfettered capitalism. What’s undeniable is that as the owner at one point of more than 1,200 radio stations, 130 major concert venues and promoters, 770,000 billboards, 41 television stations, and the largest sports management business in the country, Clear Channel dominated the entertainment world in ways that MTV and Disney could only dream of. But in the fall of 2006, after years of public criticism and flattening stock prices, Goliath finally tumbled—Clear Channel Inc. sold off one-third of its radio holdings and all of its television concerns while transferring ownership to a consortium of private equity firms. The move signaled the end of an era in media consolidation, and in Right of the Dial, Foege takes an insightful look at the company’s successes and abuses, showing the ways in which Clear Channel reshaped America’s cultural and corporate landscapes along the way.
Fighting for Air
The Battle to Control America’s Media
Eric Klinenberg
Trade Paperback
$17.00
Holt Paperbacks
Published: January 2008
ISBN: 978-0-8050-8729-1
368 pages
An “admirably researched and lucidly written” investigation of the corporate takeover of the media—and what it means for Americans —that “should serve as a wake-up call” (Daniel Schorr, NPR) For the residents of Minot, North Dakota, Clear Channel Communications is synonymous with disaster. When a train derailment sent a cloud of poisonous gas drifting toward the small town, Minot’s fire and rescue departments attempted to use local radio to warn residents of the approaching threat. But in the age of canned programming, there was no one at the six local non-religious commercial stations, all owned by Clear Channel, to take the call. The result for the people of Minot: one death and more than a thousand injuries.
Opening with the story of the Minot tragedy, Fighting for Air takes us into the world of preprogrammed radio shows, empty television news stations, and copycat newspapers to show how expanding conglomerate ownership of all media has harmed American political and cultural life—and how malign neglect by the federal government allowed it to happen. In a call for action, Fighting for Air also reveals a rising generation of activists and citizen journalists who are insisting on the local coverage we need and deserve.