Cronisti: iniziativa il 15 gennaio contro il “ddl Mastella” sulle intercettazioni

“I giornalisti alzino la voce”. La Corte di Strasburgo frattanto ha bocciato il ministro!


da Franco Abruzzo.it

Articolo di Silvia Garambois in coda.

Roma, 14 gennaio 2008. Domani 15 gennaio, presso la Fnsi, con inizio alle ore 12, il Consiglio Nazionale dell’Unci “tornerà a fare sentire la sua voce contro il disegno di legge del ministro Mastella sulle intercettazione telefoniche. Una norma che abolisce il diritto dei cittadini di essere informati sulle indagini preliminari, che ribalta il codice di procedura penale e costituisce un ‘attentato alla liberta’ di stampa e al diritto-dovere di cronaca. E contro la quale sono schierati tutti i giornalisti”. Al dibattito, aperto a colleghi, politici, magistrati, avvocati, esperti – spiega una nota dell’Unione nazionale cronisti italiani -, hanno assicurato la loro presenza i senatori Cesare Salvi e Felice Casson, presidente della Commissione giustizia e relatore del ddl, il senatore Fernando Rossi, il sottosegretario alla presidenza del consiglio Ricardo Franco Levi, il segretario dell’Anm Luca Palamara, il consigliere del Csm Fabio Roia, il professor Franco Coppi, l’avvocato Oreste Flamminii Minuto, il presidente e il segretario generale della Fnsi, Roberto Natale e Franco Siddi, il presidente dell’Ordine dei giornalisti Lorenzo Del Boca. Sono stati invitati i ministri Mastella, Amato e Gentiloni. “La Commissione Giustizia del Senato sta per concludere l’esame del Ddl che può adesso passare all’esame dell’aula. E’ quindi, molto importante – spiega ancora l’unione – che i giornalisti tornino a far sentire alta la propria voce e le proprie ragioni in difesa della libertà, completezza e tempestività dell’ informazione. Si deve infatti, evitare che a Palazzo Madama sia approvato un testo simile a quello, sciagurato, licenziato dalla Camera contro il quale l’intera categoria, senza distinzioni di ruoli o posizioni, si è compattamente schierata ed ha lottato, consapevole che impedirà l’informazione sulle inchieste penali”.(ANSA).

Roma, 2 gennaio 2008. Martedì 15 gennaio, dalle 12 presso la Federazione nazionale della stampa, il consiglio nazionale dell’Unione nazionale cronisti italiani tornerà a schierarsi contro il disegno di legge Mastella sulle intercettazioni telefoniche. Una norma – sottolinea l’Unci in una nota – che tutti i giornalisti avversano perché punta ad abolire il diritto dei cittadini ad essere informati sulle indagini preliminari. Il dibattito è aperto a politici, magistrati, avvocati, esperti e giornalisti. Tra gli altri, interverranno il senatore Felice Casson, relatore del provvedimento alla commissione Giustizia del Senato e il presidente della stessa commissione Cesare Salvi, i presidenti di Fnsi e Ordine Roberto Natale e Lorenzo Del Boca e il segretario della Fnsi Franco Siddi. Sono stati invitati i ministri Mastella, Amato e Gentiloni, i capigruppo del Senato e i Senatori della Commissione Giustizia, i responsabili giustizia dei partiti, il presidente dell’Unione delle Camere penali. La commissione Giustizia di Palazzo Madama sta per concludere l’esame del ddl che dalla fine del mese può andare in Aula. E’, quindi, molto importante – sottolinea ancora l’Unci – che i giornalisti tornino a far sentire la propria voce per evitare che a Palazzo Madama sia approvato un testo simile a quello, sciagurato, licenziato dalla Camera contro il quale l’intera categoria, senza distinzioni di ruoli o posizioni, si è compattamente schierata ed ha lottato, consapevole che impedirà l’informazione sulle inchieste penali. Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti il 4 ottobre ha approvato, all’unanimità, un documento che afferma che il ddl “rappresenta un grave attentato alla libertà di stampa e al diritto di cronaca”. Il 14 dicembre, in uno dei primi atti ufficiali dopo l’elezione, il presidente e il segretario generale della Fnsi, Natale e Siddi, hanno scritto al vicepresidente del Csm Mancino che le polemiche sulla pubblicazione delle intercettazioni e i conseguenti interventi sui giornalisti “stanno determinando un pericoloso clima di tensione tra la Magistratura e l’informazione”. L’Unci il 24 maggio ha organizzato un corteo sin sotto il Senato e ha fatto approvare dal Congresso della Fnsi di novembre un ordine del giorno che chiede una profonda revisione dell’impianto della proposta di legge. (ANSA).

Intercettazioni

Il “progetto Mastella” a protezione della casta politica.

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha sentenziato che l’interesse pubblico è preminente anche quando i giornalisti acquisiscono e pubblicano intercettazioni illegali subite da noti personaggi. “La Corte ritiene che occorre avere la più grande prudenza in una società democratica – è scritto negli atti di Strasburgo -, nel punire per violazione di segreto istruttorio o di segreto professionale dei giornalisti che esercitano così la loro missione di «cani da guardia» della democrazia”. La legge – ha sostenuto il tribunale di Strasburgo – “protegge il diritto dei giornalisti di comunicare informazioni su questioni di interesse generale nel momento in cui questi si esprimono in buona fede, sulla base di fatti esatti e forniscono informazioni “affidabili e precise” nel rispetto dell’etica giornalistica”. In più i giudici hanno anche sottolineato che le intercettazioni pubblicate dai giornalisti francesi non sono state contestate per la loro veridicità, e che i giornalisti “hanno agito nel rispetto della regole della professione, nella misura in cui queste pubblicazioni servivano a dare credibilità alle notizie, attestando la loro esattezza e autenticità”.

di Silvia Garambois

Uno sciopero generale dei giornalisti contro il Governo non si vedeva da lungo tempo: c’è riuscito il ministro Clemente Mastella, con il suo disegno di legge sulla pubblicità agli atti di indagine sulle intercettazioni telefoniche e ambientali – che intende punire con trenta giorni di arresto e ammende fino a centomila euro -, a ricompattare una categoria già provata da una lunghissima vertenza contrattuale. Lo scorso 30 giugno, dopo il clamoroso via libera bipartisan della Camera alla legge (con 447 sì, 7 astenuti e nessun contrario), i giornalisti italiani hanno denunciato in piazza, con striscioni e volantini, la “censura alla stampa”.

Pierluigi Battista (Corriere della Sera) l’ha bollata come una legge “sbagliata, prepotente e velleitaria”. Giovanni Valentini (Repubblica) l’ha definita “liberticida”, fatta da chi “vuole una informazione imbavagliata”. Marco Travaglio ha messo in fila tutto quello che, con una legge così, non avremmo mai saputo: da Mani Pulite, quando “gli italiani han potuto sapere in tempo reale i nomi dei politici e degli imprenditori indagati, e di cosa erano accusati”, a “Bancopoli, Furbettopoli, Calciopoli, Vallettopoli, i crac Cirio e Parmalat, gli spionaggi di Telecom e Sismi. Fosse stata già in vigore la legge Mastella, Fazio sarebbe ancora al suo posto, Moggi seguiterebbe a truccare i campionati, Fiorani a derubare i correntisti Bpl, Gnutti e Consorte ad accumulare fortune in barba alle regole, Pollari e Pompa a spiare a destra e manca”.

“Se fosse stata in vigore al tempo del sequestro Moro, l’allora ministro dell’Interno, Cossiga, avrebbe deciso l’arresto per noi giornalisti del Corriere della Sera”, ha osservato Antonio Padellaro, ora direttore de “L’Unità”, aggiungendo: “Sembra una legge fatta in difesa della casta dei politici: per favore non fateci rimpiangere Berlusconi”.

Anche Silvio Berlusconi, in realtà, ci aveva provato a farla finita con tutte le “indiscrezioni” di stampa: il 7 agosto del 2005, quando era presidente del Consiglio, aveva infatti annunciato che stava scrivendo “di suo pugno” una legge per mandare in galera da 5 a 10 anni chi diffondeva illegalmente o pubblicava le intercettazioni telefoniche. Allora bruciava il “caso Fazio” e la febbre nei salotti che contano del Paese era altissima: cosa diavolo doveva importare alla gente che gioielli portava la signora Fazio, e chi glieli aveva regalati? A bloccare il premier, però, arrivò il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi: quel settembre non firmò il decreto, e il disegno di legge Berlusconi-Castelli, insieme ad altri nove che giacevano in Parlamento (sulle intercettazioni di parlamentari, sui limiti di utilizzo delle intercettazioni, sull’informativa al Governo, sul controllo diretto del ministro della Giustizia, e – perché no – tra gli altri anche su una commissione parlamentare d’inchiesta) rimase impantanato fino alla fine della legislatura.

Cambio di Governo, cambio di protagonisti, e nel giugno del 2006 – sull’onda dello scandalo Savoia, con le intercettazioni pruriginose al mancato re d’Italia – è un vecchio senatore Ds, Guido Calvi, a proporre il carcere (da 6 mesi a 4 anni) per i giornalisti che pubblicano il contenuto delle intercettazioni di cui vengono a conoscenza. Non è il solo a proporre nuovi paletti alla stampa: è da poco cambiata la legislatura ma, tra Camera e Senato, sono già state depositate altre quattro proposte di legge sul tema, in attesa di discussione. In commissione Giustizia al Senato il sen. Felice Casson (il magistrato che prima di buttarsi in politica svelò l’Operazione Gladio), frena: “Non si può iniziare colpendo i giornalisti, che sono la coda del problema della violazione del segreto investigativo”. Ma intanto è il ministro Mastella ad annunciare un disegno di legge governativo. La bufera in corso è quella di Unipol, sui giornali tra i nomi eccellenti ci sono anche quelli di Piero Fassino e Massimo D’Alema. Così il 3 agosto 2006 – a un anno dalle severe esternazioni di Berlusconi – i cinque articoli del ddl Mastella vengono approvati dal Consiglio dei ministri guidato da Romano Prodi.

LA STORIA DI UN VOTO. Per arginare la valanga Telecom – e i giornalisti – a settembre 2006 viene presentato alle Camere un provvedimento tampone, sotto forma di un decreto legge approvato in gran fretta dai due rami del Parlamento, che viene licenziato nei tempi previsti, il 20 novembre: le “vittime” della stampa possono arrivare a chiedere “una somma di denaro determinata in ragione di cinquanta centesimi per ogni copia stampata, ovvero da cinquanta mila a un milione di euro, secondo l’entità del bacino di utenza ove la diffusione sia avvenuta con mezzo radiofonico, televisivo o telematico”. I giornalisti parlano di “provvedimento bavaglio”, ma attendono: questo non è ancora il “mastellum”, la legge complessiva, che deve assorbire al suo interno i tanti progetti legislativi depositati.

Sarà il Parlamento a dire l’ultima parola su diritti, doveri e sanzioni. Il 17 aprile 2007 scocca l’ora X: il “mastellum” supera il primo scoglio, quello del voto alla Camera. Arriva al voto a Montecitorio contrassegnato dal numero c.1638. Brutta giornata. Si astengono in 7 preoccupati per le restrizioni all’informazione: Fulvia Bandoli, Franco Grillini, Alba Sasso (Sinistra democratica), Salvatore Cannavò (Rifondazione), Roberto Poletti (Verdi), Roberto Zaccaria (Ulivo) e Gianluca Pini (della Lega Nord, ma astenuto forse per altre ragioni: la Lega infatti aveva chiesto inizialmente sanzioni amministrative maggiori per i giornalisti). Tana De Zulueta, Beppe Giulietti, Peppino Caldarola, Enzo Carra, Rodolfo De Laurentis, cioè tutti quelli più attenti e coinvolti nel dibattito sulla stampa, neanche partecipano al voto. Ma la frittata è fatta. Citando ancora Travaglio, da una “lettera aperta” su l’Unità che è stata replicata sui siti, nelle news letter e nei blog dei giornalisti: “Cari lettori, quando il Parlamento approva una legge all’unanimità, di solito bisogna preoccuparsi. Indulto docet. Questa volta è anche peggio. […] La Camera ha dato il via libera alla legge Mastella che di fatto cancella la cronaca giudiziaria. Nessuno si lasci ingannare dall’uso furbetto delle parole: non è una legge “in difesa della privacy” (che esiste da 15 anni) né contro “la gogna delle intercettazioni”. Questa è una legge che, se passerà pure al Senato, impedirà ai giornalisti di raccontare – e ai cittadini di conoscere – le indagini della magistratura e in certi casi persino i processi di primo e secondo grado. Non è una legge contro i giornalisti. È una legge contro i cittadini ansiosi di essere informati sugli scandali del potere, ma anche sul vicino di casa sospettato di pedofilia”.

Ma anche alla Camera c’è chi prende la parola per motivare il suo voto avverso alla legge: è Roberto Zaccaria, ultimo a parlare in quel pomeriggio d’aprile, dopo la litania di dichiarazioni di voto a favore. “La legge sulle intercettazioni deve rappresentare il punto di equilibrio tra diverse esigenze di natura costituzionale – sostiene Zaccaria – : l’esigenza della giustizia, quella del diritto di cronaca e la tutela della vita privata, spesso compromessa dalla diffusione di intercettazioni giudizialmente irrilevanti. […] L’estensione del divieto di pubblicazione è andata troppo in là, sacrificandosi con il diritto di cronaca il diritto della pubblica opinione ad essere informata. […] Una buona legge con un grave neo e il neo tocca purtroppo un valore fondamentale come quello della libertà di informazione”. Dagli atti della Camera non risultano applausi al suo intervento.

COSA DICE LA LEGGE? La normativa approvata a clamor di onorevoli fin dall’articolo 1 chiarisce che è vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti di indagine contenuti nel fascicolo del pubblico ministero o delle investigazioni difensive, anche se non più coperti dal segreto, fino alla conclusione delle indagini preliminari. Neppure del delitto estivo e tutto mediatico di Garlasco si sarebbe saputo nulla: il che ci avrebbe risparmiato dagli orrori delle “gemelline K” (le cugine-veline plurifotografate della vittima) e della loro voglia di apparire, ma c’è da chiedersi persino se avremmo avuto notizia dell’assassinio e come. Stesso divieto per quel che riguarda conversazioni telefoniche o flussi di informazioni informatiche o telematiche e i dati riguardanti il traffico telefonico, anche se non più coperti da segreto. Anche in questo caso fino alla conclusione delle indagini preliminari o fino al termine dell’udienza preliminare. Se si procede al dibattimento, non è consentita la pubblicazione, anche parziale, degli atti del fascicolo del Pm, se non dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello. Ovvero, come dice Padellaro, “Se prima della fine delle indagini preliminari non si può pubblicare nulla, di fatto l’informazione è imbavagliata, vista anche la durata delle indagini nel nostro Paese”.

Gli stessi documenti d’indagine sono chiusi in cassaforte: nella legge si precisa che le carte con dati relativi a conversazioni e comunicazioni telefoniche o telematiche acquisiti in modo illecito e i documenti elaborati attraverso una raccolta illecita di informazioni non possono essere in nessun modo utilizzati, tranne che come corpo del reato. E vengono custoditi nell’archivio riservato per le intercettazioni istituito presso ogni procura. Nell’archivio finiscono anche gli atti relativi a conversazioni di cui è vietata l’utilizzazione e quelli privi di rilevanza perché riguardano persone, fatti o circostanze estranei alle indagini. Significa, in parole povere, che non saremmo mai venuti a conoscenza dell’sms (“Ti amo”) inviato da Anna Falchi al suo Stefano Ricucci, ma nulla avremmo neanche saputo delle abitudini reali dei Savoia, il che è tutto da discutere se non sia di pubblico interesse, o addirittura di rilevanza storica! Questi documenti vengono distrutti con provvedimento del Procuratore dopo cinque anni.

Ancora, la galera: chiunque rivela notizie sugli atti del procedimento coperti da segreto e ne agevola la conoscenza è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni. Se il fatto è commesso per colpa o per «agevolazione colposa», la pena è della reclusione fino a un anno. Reclusione da 1 a 3 anni, invece, per chi in modo illecito viene a conoscenza di atti del procedimento penale coperti da segreto. E per chi, consapevole dell’illecita formazione, acquisizione o raccolta, detiene documenti che contengono atti relativi a conversazioni telefoniche, la pena è la reclusione da 6 mesi a 4 anni. Chiunque rivela, attraverso qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, in tutto o in parte il contenuto di documenti elaborati per mezzo di una raccolta illecita di informazioni è punito con la reclusione da 6 mesi a 4 anni. Per i giornalisti che pubblicano atti del procedimento o intercettazioni telefoniche coperte da segreto scatta l’ammenda da 10mila a 100mila euro, in alternativa alla reclusione fino a 30 giorni, come previsto dall’articolo 684 del Codice penale. In caso di illeciti per finalità giornalistiche, inoltre, è applicata la sanzione amministrativa della pubblicazione, in uno o più giornali, dell’ordinanza che accerta l’illecito a spese dei responsabili della violazione.

L’elenco dei divieti continua: è vietata la trascrizione delle parti di conversazioni che riguardano esclusivamente persone, fatti o circostanze estranei alle indagini. Il giudice dispone che i nominativi o i riferimenti indicativi di soggetti estranei alle indagini siano espunti dalle trascrizioni delle registrazioni, a meno che questo non ostacoli l’accertamento dei fatti esaminati dall’indagine. Tutto cancellato, anche – o soprattutto? – se si tratta di personaggi pubblici e con responsabilità politiche.

L’AFFAIRE DUPUIS. A giugno, colpo di scena! Alla Commissione Giustizia del Senato è da poco ripartito l’esame delle carte di Mastella, e vengono finalmente sentiti coloro che hanno da esprimersi sul tema, dal garante della privacy al ministro, ai giornalisti, quando da Strasburgo arriva la notizia che rimette tutto in gioco: la Corte europea ha sentenziato che l’interesse pubblico è preminente anche quando i giornalisti acquisiscono e pubblicano intercettazioni illegali subite da noti personaggi. La decisione arriva per una storia francese, nota come l’affaire Dupuis: storia di intercettazioni a raffica pubblicate in un libro, che hanno messo nei guai l’Eliseo e creato molti imbarazzi a Mitterand. Due giornalisti, Jérôme Dupuis et Jean-Marie Pontaut, erano infatti stati condannati in Francia per la pubblicazione nel 1996 di un libro intitolato “Les Oreilles du Président”, nel quale si raccontava di un sistema illegale di intercettazione che assomiglia da vicino al caso Telecom, orchestrato dagli alti vertici dell’Eliseo contro numerosi personaggi della società francese tra il 1983 e il 1986. Una storia venuta fuori negli anni Novanta, quando sulla stampa venne pubblicata una lista di duemila persone – tra cui molti giornalisti e avvocati – che erano state sottoposte a illecita sorveglianza, approfittando di un decreto anti-terrorismo. Nel 1993, nel quadro di questa inchiesta spinosissima, venne aperto un procedimento penale nei confronti di un collaboratore del Presidente Mitterrand, che guidava “l’ascolto”. Di tutto questo avevano raccontato Dupuis e Pontaut: all’uscita del libro l’orchestratore degli ascolti, “l’orecchio del presidente”, denunciò in sede penale i giornalisti, accusandoli di aver utilizzato materiale sottratto illegalmente dagli atti giudiziari (si trattava di dichiarazioni rese al giudice istruttore e brogliacci di intercettazioni). I giornalisti non vollero rivelare le loro fonti, e sostennero che era tutto materiale che circolava da tempo nelle redazioni. Il Tribunale di Parigi decretò che il materiale utilizzato era in effetti documentazione agli atti del processo penale coperto dal segreto istruttorio e condannò i due giornalisti ad una pena pecuniaria: 762,25 euro per uno d’ammenda, oltre a 7.622,50 euro in tutto, da pagare in maniera solidale, per le spese di tribunale. Una multa tutto sommato contenuta, parecchio meno di quella voluta da Mastella in Italia, ma per Dupuis e Pontaut era comunque troppo: si giocava una questione di libertà. Per questo si sono rivolti alla Corte dei Diritti dell’uomo, ottenendo una sentenza che ora riecheggia scomoda nel Parlamento italiano: “La Corte ritiene che occorre avere la più grande prudenza in una società democratica – è scritto negli atti di Strasburgo -, nel punire per violazione di segreto istruttorio o di segreto professionale dei giornalisti che esercitano così la loro missione di «cani da guardia» della democrazia”. La legge – ha sostenuto il tribunale di Strasburgo – “protegge il diritto dei giornalisti di comunicare informazioni su questioni di interesse generale nel momento in cui questi si esprimono in buona fede, sulla base di fatti esatti e forniscono informazioni “affidabili e precise” nel rispetto dell’etica giornalistica”. In più i giudici hanno anche sottolineato che le intercettazioni pubblicate dai giornalisti francesi non sono state contestate per la loro veridicità, e che i giornalisti “hanno agito nel rispetto della regole della professione, nella misura in cui queste pubblicazioni servivano a dare credibilità alle notizie, attestando la loro esattezza e autenticità”.

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