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Come se non bastassero tutti i guai che tormentano le tv locali italiane, un altro, subdolo, problema si prospetta all’orizzonte.

Si chiama DVB-T2 e sarà l’ennesima mazzata per gli editori italiani. E sarà più pericolosa dei consueti paletti normativi, perché questa volta si tratta di un’opportunità tecnologica e, come tale, verrà salutata con entusiasmo dagli utenti televisivi. Nel merito, come noto, dal 2015 i produttori di tv e decoder DTT dovranno obbligatoriamente vendere apparati compatibili con lo standard DVB-T2, la valevole evoluzione del DVB-T che consente di: 1) aumentare notevolmente la capacità trasmissiva attraverso algoritmi di compressione più progrediti; 2) ricevere trasmissioni in HD; 3) lenire i problemi di ricezione dovuti alla fragilità dei segnali ed alle endemiche interferenze che affliggono il congestionato etere italiano. Grandi vantaggi che, però, si tradurranno, per le tv locali, nella necessità di: 1) sostituire la (costosa) catena trasmissiva per uniformarla ai nuovi standard (anche se i decoder DVB-T2 possono ricevere programmi DVB-T, non allinearsi alle potenzialità tecniche dei principali player – che si adegueranno quanto prima al nuovo standard – significherà essere relegati ai margini del mercato); 2) rinvenire nuovi contenuti di spessore per sfruttare l’aumentata capacità trasmissiva (per la quale vigerà certamente l’obbligo di efficace sfruttamento, pena la revoca dell’assegnazione); 3) fronteggiare le conseguenze di un’ulteriore polverizzazione dell’offerta, con immaginabili conseguenze sull’audience e sulla raccolta pubblicitaria. Il tutto mentre la competizione con le aggressive piattaforme sat e IP Tv diventa sempre più ostica.

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