Liti fiscali. Al via da aprile il reclamo obbligatorio per le controversie fino a 20.000 euro

Dopo il condono per le liti pendenti è ora la volta di un ulteriore istituto deflattivo del contenzioso tributario, previsto dalla Legge di Stabilità approvata la scorsa estate (D.L. n. 98/2011, convertito con modificazioni dalla L. n. 111/2011).

Attraverso una modifica apportata al D.Lgs. n. 546/1992 che ha comportato l’aggiunta del nuovo art. 17 bis, il legislatore ha innestato tra le disposizioni che regolano il processo tributario una particolare procedura – nella quale viene anche prevista una possibilità di mediazione tra contribuente e amministrazione finanziaria – somigliante ad un ibrido tra l’adesione all’accertamento e l’autotutela tributaria, ma con proprie specifiche regole di funzionamento in vigore dal prossimo mese. Il reclamo, infatti, è un’iniziativa che per forma e sostanza potrebbe essere equiparata al ricorso e che il soggetto privato – determinatosi a contestare le maggiori pretese erariali che al netto di interessi e sanzioni non superino i 20.000 euro – dovrà obbligatoriamente esperire avvalendosi dell’assistenza (superate le soglie previste dal D.Lgs n. 546/1992) di professionisti abilitati alla rappresentanza del contribuente inanzi agli organi della giustizia tributaria. Con la nuova disciplina, l’inammissibilità del ricorso giurisdizionale conseguente alla mancata instaurazione di tale procedura per controversie che non superino il predeterminato valore, sarà rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio. Nello specifico, il contribuente dovrà predisporre un reclamo alla “Direzione Provinciale o alla Direzione Regionale che ha emanato l’atto”, tenute a pronunciarsi “attraverso apposite strutture diverse ed autonome” rispetto a quelle deputate alla redazione degli accertamenti. Per espressa previsione legislativa, il procedimento si avvarrà di molte delle disposizioni di quello innanzi agli organi della giustizia tributaria (rispetto al quale, vedremo meglio in seguito, risulta quasi ancillare), a partire dalla rappresentanza del reclamante, per finire con le regole relative alla formazione del fascicolo da depositare presso l’Ufficio. Differente la compagine di determinazioni alle quali potrà giungere l’organo amministrativo investito dell’istruttoria, anche in relazione alla presenza o meno nel reclamo di una “motivata proposta di mediazione completa della rideterminazione dell’ammontare della pretesa”, consentita dal comma 7 del nuovo art. 17 bis in commento. L”amministrazione finanziaria, quindi, esaminato il reclamo nel termine di novanta giorni, potrà determinarsi per l’accoglimento totale o parziale del riesame, accettare l’eventuale proposta di mediazione o formularne una d’ufficio “avuto riguardo all’eventuale incertezza delle questioni controverse, al grado di sostenibilità della pretesa e al principio di economicità dell’azione amministrativa”. In caso di silenzio, di mancata conclusione della procedura nei termini fissati, di rigetto dell’istanza, o laddove il proponente voglia impugnare il parziale accoglimento, “il reclamo produce gli effetti del ricorso” e dovrà essere depositato – nei successivi trenta giorni – presso la Commissione Tributaria provinciale assumendo la veste di ricorso vero e proprio. Qui si evidenzia una fondamentale differenza con l’adesione all’accertamento, altra nota procedura deflattiva del contenzioso, in forza della quale i termini per l’impugnazione giudiziale sono per legge sospesi per lo stesso periodo, assegnando al contribuente in totale centocinquanta giorni (esclusa la sospensione feriale) per l’introduzione del giudizio. La procedura del reclamo, quindi è un “esperimento preliminare” che a conti fatti potrebbe assumere la valenza di atto introduttivo di un "tradizionale" contenzioso tributario se la P.A. si manifesterà inerte o se deciderà di riesaminare l’accertamento in maniera non soddisfacente per il reclamante. Di particolare interesse, inoltre, il comma 10 della disposizione in commento che fornisce un’indicazione vincolante per il giudice tributario in merito alla pronuncia sulle spese di giudizio, nell’ambito delle quali la parte soccombente dovrà essere condannata al rimborso con una maggiorazione del 50% a copertura di quelle sostenute per tale procedimento stragiudiziale. Salva la compensazione totale o parziale,“fuori dai casi di soccombenza reciproca (…) solo se ricorrono giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, che hanno indotto la parte soccombente a disattendere la proposta di mediazione”. Alla luce di quanto sommariamente commentato, appare ben chiaro che il legislatore abbia inteso, con l’introduzione dell’art. 17 bis al D.Lgs n. 546/1992, istituire una procedura molto simile a quella del giudizio in Commissione Tributaria, disponendo la formazione in seno alla Direzione Provinciale o Regionale dell’Agenzia delle Entrate collegi in grado di garantire una maggiore terzietà rispetto all’Ufficio promotore dell’accertamento, con lo scopo di offrire al contribuente – già in via amministrativa – un grado di appello (che pare di capire conceda molto poco al contraddittorio) nel quale poter sottoporre all’amministrazione finanziaria una proposta transattiva. La sanzione prevista per la parte soccombente nell’eventuale successivo giudizio, obbligherà anche l’Agenzia ad una maggiore attenzione verso le richieste di riesame provenienti dal contribuente. Auspicabile, in questo contesto, un maggiore grado di preparazione – anche e soprattutto da un punto di vista giuridico – dei funzionari ai quali sarà demandato il delicato compito di decidere sul reclamo. (S.C. per NL)

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