Da tempo stiamo prestando attenzione a un nuovo fronte di contenzioso che nei tribunali italiani sta gradualmente sostituendo quello storico del preuso delle frequenze FM: parliamo, ovviamente, della tutela di marchi, brand, format, layout radiofonici.
L’ultima decisione rilevante sul tema a cui vogliamo prestare attenzione è un’ordinanza del Tribunale di Venezia che ha negato la tutela cautelare di un marchio nel settore radiofonico, definito “debole” per la sua diffusione nel linguaggio comune ed artistico.
Dal provvedimento derivano importanti indicazioni, anche sul ruolo del licenziatario di un marchio nei procedimenti cautelari, posta la sua accurata argomentazione e contestualizzazione.
Sintesi
Il Tribunale di Venezia, con ordinanza dell’08/04/2025, ha respinto il reclamo contro il rigetto di una misura cautelare richiesta per tutelare un marchio radiofonico ritenuto “debole” perché largamente diffuso nella cultura popolare.
Il marchio, usato in un jingle contestato da una radio concorrente, non è stato ritenuto confondibile con il segno della resistente grazie a minime modifiche e al contesto d’uso che ne differenziava chiaramente l’identità percepita dal pubblico.
La decisione chiarisce anche i limiti del potere d’azione del licenziatario: può agire in via cautelare solo se il titolare non ha già intrapreso iniziative legali, salvo diversa previsione contrattuale.
Il Tribunale di Venezia ha ribadito che l’inerzia prolungata del titolare (che nel caso di specie era a conoscenza dell’uso contestato da anni) ha fatto venir meno il requisito d’urgenza (periculum in mora).
L’ordinanza lancia un monito agli operatori radiofonici: i marchi composti da espressioni comuni offrono scarsa protezione legale e richiedono strategie complementari per tutelare efficacemente il brand (come naming originali, claim esplicativi, format e layout registrati).
D’altra parte, in un contesto digitale in continua evoluzione, serve maggiore attenzione nella costruzione dell’identità commerciale.
La decisione del Tribunale di Venezia
Con provvedimento dell’08/04/2025, il Tribunale di Venezia ha rigettato un reclamo avverso un’ordinanza che aveva negato la misura cautelare a tutela di un marchio registrato, utilizzato in ambito radiofonico (provvedimento a cui avevamo già dedicato attenzione su queste pagine).
L’ambito cautelare
Ritenendo il marchio “debole” per il suo utilizzo massivo nella musica e nella cultura popolare – e riscontrando l’assenza di confondibilità con il segno utilizzato dalla resistente -, il Collegio ha confermato l’insussistenza del fumus boni iuris (la probabile esistenza del diritto che si intende far valere) che insieme al periculum in mora (il rischio che il ritardo nel provvedere a una misura cautelare possa causare un danno irrimediabile alla parte che ne ha fatto richiesta) costituiscono la precondizione per la concessione di una misura cautelare. L’ordinanza offre anche una rilettura sistematica dell’art. 122-bis c.p.i. sul ruolo processuale del licenziatario.
Il caso: un reclamo in tema di contraffazione tra radio concorrenti
Il provvedimento trae origine da una controversia insorta tra operatori del settore radiofonico attivi su base interregionale. I ricorrenti lamentavano l’uso da parte della resistente non tanto dello stesso marchio, quanto di un jingle contenente l’espressione contestata (claim del marchio registrato esso stesso depositato), in trasmissioni radiofoniche e contenuti promozionali, sia su piattaforme analogiche che digitali.
La fattispecie dei licenziatari
Il marchio in questione, regolarmente registrato in tre classi merceologiche (35, 38 e 41), era stato ceduto in licenza a due società attive nella diffusione di programmi musicali e contenuti correlati sul medesimo territorio.
Primo grado cautelare
Tuttavia, la misura cautelare richiesta era stata rigettata in primo grado per difetto sia del fumus boni iuris sia del periculum in mora. Da qui il reclamo al Collegio veneziano, che però ha confermato l’orientamento del giudice monocratico, approfondendo più analiticamente i presupposti processuali e sostanziali.
Il licenziatario può agire? Solo se il titolare non lo fa
Uno dei primi aspetti chiariti dal Collegio ha riguardato proprio la legittimazione del licenziatario ad agire in giudizio, specialmente in sede cautelare. Nel dettaglio, il Tribunale ha valorizzato l’interpretazione sistematica dell’art. 122-bis c.p.i., chiarendo che il licenziatario non è di per sé legittimato ad avviare autonomamente un procedimento se il titolare del marchio ha già agito, salvo diversa pattuizione contrattuale.
Finalità dell’azione del licenziatario
L’azione cautelare promossa dal titolare garantisce infatti già tutela indiretta a favore del licenziatario, che può, tuttavia, intervenire adesivamente nel giudizio per ottenere un eventuale ristoro personale.
Nessuna autonomia del licenziatario se l’azione è già stata avviata dal titolare
Il licenziatario di un marchio, quindi, può intervenire in giudizio cautelare in via adesiva al titolare, ma non è legittimato ad avviare autonomamente l’azione se il titolare ha già promosso un procedimento sul medesimo fatto lesivo (art. 122-bis c.p.i.).
Il perimetro dell’intervento
Il Collegio ha dunque ammesso l’intervento del licenziatario, ma ha ribadito che la titolarità del marchio resta il fondamento per la proposizione autonoma dell’azione cautelare. In particolare, il Tribunale di Venezia ha valorizzato la condotta processuale del titolare che, riconoscendo la licenza ed agendo direttamente, ha implicitamente escluso la necessità di un’azione indipendente da parte del licenziatario.
La forza del marchio: quando l’uso comune lo indebolisce
Il cuore dell’ordinanza del Tribunale di Venezia riguarda tuttavia e prevedibilmente la natura del marchio contestato. Il Collegio ha affermato che, nonostante la registrazione valida e il suo utilizzo effettivo in ambito radiofonico, l’espressione registrata presenta caratteri tali da ricondurla alla categoria dei “marchi deboli”.
Ricognizione giurisprudenziale e culturale
La motivazione si fonda su un’ampia ricognizione giurisprudenziale e culturale: l’espressione oggetto del contenzioso è infatti stata accertata essere impiegata da decenni nella musica, nel cinema e nella letteratura per evocare lo spirito della giovinezza, rendendola familiare al grande pubblico e poco distintiva.
Il concetto di marchio debole…
Secondo la classificazione tipica, un marchio è debole quando costituito da espressioni del linguaggio comune o largamente impiegate in ambito culturale e commerciale, quindi prive di efficacia distintiva autonoma ai fini dell’identificazione del prodotto o servizio.
… nell’evoluzione giurisprudenziale
Il Tribunale di Venezia ha richiamato precedenti giurisprudenziali, tra cui la sentenza della Corte di Cassazione n. 5633/1982, che ha stabilito che la categoria dei marchi deboli non coincide esattamente con quella dei marchi semplicemente descrittivi dei prodotti o indicativi della loro natura, ma si estende alle parole del linguaggio comune o divenute comuni nel linguaggio commerciale, alle espressioni o anche ai nomi e ai personaggi che hanno assunto un significato designativo comune e non individualizzante, così che, a causa dell’attenuata idoneità individualizzante del marchio debole, anche lievi modificazioni o aggiunte devono ritenersi sufficienti ad escluderne la confondibilità.
Analisi della diffusione
Peraltro, secondo i giudici supremi, la qualificazione del marchio come debole postula una rigorosa indagine diretta ad accertare se il significato designativo comune della parola usata come marchio sia percepibile come tale presso una diffusa ed indefinita categoria di destinatari del prodotto, ovvero se tale diffusione sia così limitata da conservare alla parola un prevalente, se non esclusivo, significato di fantasia ed una più accentuata idoneità individualizzante dei prodotti con essa contrassegnati.
Il criterio della confondibilità: minime differenze bastano a escluderla
Stabilita la debolezza del marchio oggetto del contendere, il Collegio ha ritenuto determinante la presenza di modificazioni, anche minime, nel segno contestato dalla resistente per escludere la confondibilità. In particolare, nella specie, l’aggiunta dell’aggettivo “fun” (divertimento) e la sua combinazione con il nome evocativo dell’emittente sono stati ritenuti sufficienti a creare una cesura semantica e concettuale rispetto al segno registrato.
Significato autonomo percepibile dal pubblico di riferimento
Secondo i giudici veneziani, nel caso di marchio debole, anche minime variazioni fonetiche, visive o concettuali sono idonee a escludere la confondibilità tra i segni, a condizione che tali modifiche introducano un significato autonomo percepibile dal pubblico di riferimento.
Rilevanza del contesto d’uso
Non solo, il contesto d’uso è stato considerato dal Tribunale di Venezia estremamente rilevante.
Nello specifico, il jingle oggetto della controversia risultava quasi sempre affiancato al nome dell’emittente resistente (ovviamente differente da quello dei ricorrenti), il cui brand è già fortemente identificativo per il pubblico locale, evocando un immaginario legato al divertimento e all’eterna giovinezza.
Espressione integrata in messaggio unitario
Il Collegio ha dunque ritenuto che l’espressione fosse integrata in un messaggio promozionale unitario e non idoneo a generare confusione con l’identità commerciale del ricorrente.
Tempestività della reazione e periculum in mora
Un ulteriore profilo valutato ai fini dell’ammissibilità cautelare è quello dell’urgenza. Il Tribunale di Venezia ha osservato che la conoscenza della presunta contraffazione da parte del titolare risaliva ad almeno quattro anni prima della proposizione del ricorso. Tale prolungato lasso temporale ha indotto il Collegio a escludere la sussistenza del periculum in mora, nonostante l’evoluzione tecnica e territoriale della trasmissione in DAB+ potesse, in astratto, ampliare la portata del fenomeno lesivo.
Inerzia prolungata nella tutela pregiudica il periculum in mora
Più a fondo, l’inerzia prolungata del titolare del marchio nell’agire giudizialmente avverso l’altrui uso del segno contestato può escludere il periculum in mora richiesto per la concessione della tutela cautelare.
Espansione digitale irrilevante
Il Tribunale di Venezia ha sottolineato che l’espansione della copertura digitale non può considerarsi elemento nuovo sufficiente a ravvivare l’urgenza, soprattutto in presenza di tolleranza prolungata da parte del titolare.
Un monito sull’uso di espressioni comuni nei brand radiofonici
L’ordinanza veneziana si pone come riferimento per operatori e consulenti del comparto media. Essa richiama l’attenzione sull’esigenza di selezionare marchi dotati di reale capacità distintiva, evitando espressioni inflazionate o a forte carica evocativa ma povera di originalità giuridica.
Azioni rapide e coordinate
Al tempo stesso, chiarisce la necessità di azioni rapide e coordinate tra titolari e licenziatari, per evitare decadenze di fatto nella tutela delle privative.
Strategie distintive complementari
Secondo i giudici veneziani, l’adozione come marchio di parole evocative di larga diffusione culturale comporta una debole protezione giuridica e richiede l’adozione di strategie distintive complementari (naming combinato, design, contenuti unici) per tutelarne efficacemente l’identità.
L’effetto pratico dell’ordinanza è duplice
La decisione del Tribunale di Venezia, da un lato, ribadisce chiaramente il perimetro di operatività del diritto di marchio in ambiti comunicativi ad alta intensità semantica; dall’altro, costituisce un monito per i broadcaster che intendano fondare il proprio branding su espressioni di uso comune, suggerendo una maggiore originalità e consapevolezza nella costruzione dell’identità commerciale, per esempio integrando anche il deposito per la tutela legale di format e layout a corollario della registrazione del marchio.
Attualità
Un principio che vale oggi più che mai, nell’era della sovrapposizione digitale dei format radiofonici e di canali di distribuzione eterogenei. (A.N. per NL)