Diffamazione: se l’offesa avviene nel corso di un reality show non è reato

Non è punibile il concorrente di un reality show che offende verbalmente un altro partecipante. Ciò in considerazione della caratteristica tipica del genere consistente nel promuovere il contrasto tra i concorrenti.

Così si è espressa la Corte di Cassazione penale, con sentenza n. 37105 del 23/09/2009, sulla base del principio giurisprudenziale secondo cui “nel valutare la portata offensiva di un’espressione verbale occorre avere riguardo al contesto nel quale essa è inserita (vedansi ex multis Cass. 14 febbraio 2008 n. 11632; Cass. 15 novembre 2007 n. 10420; Cass. 5 marzo 2004 n. 17664)”. In particolare, la Corte di legittimità, confermando le sentenze dei giudici di primo (Tribunale di Rieti) e secondo grado (Corte di Appello di Roma), ha escluso, anche agli effetti civili, la responsabilità in ordine al reato di diffamazione a danno di un soggetto che, durante la sua partecipazione al reality “Survivor”, era stato definito “pedofilo” da un altro concorrente – citato in giudizio insieme al responsabile della trasmissione – per avere rivolto le proprie attenzioni ad una donna molto più giovane di lui, seppure adulta. La Corte di legittimità, così decidendo, ha rigettato tutte le doglianze del ricorrente, il quale lamentava, tra l’altro, che il giudice di merito non avesse valutato il significato in sé offensivo dell’epiteto “pedofilo”, anche se pronunciato in maniera scherzosa e che, trattandosi di trasmissione registrata, il responsabile della trasmissione avrebbe potuto tagliare la sequenza in questione durante il montaggio. Il ricorrente asseriva altresì che, a causa dell’espressione ingiuriosa a lui rivolta pubblicamente, una volta rientrato a casa era stato oggetto di molestie telefoniche e scherni, che invece la Corte d’Appello di Roma aveva considerato quale conseguenza della notorietà da lui raggiunta a seguito della partecipazione alla trasmissione. Sulla stessa linea si è mantenuta la Corte di Cassazione, secondo cui “valorizzando la necessità di “contestualizzare” l’espressione usata, e cioè di rapportarla al contesto spazio-temporale nel quale è stata pronunciata”, ha innanzitutto escluso la valenza lesiva dell’espressione in questione, in quanto proferita all’interno di un reality show, cioè di un “programma televisivo la cui caratteristica era quella di sollecitare il contrasto verbale tra i partecipanti, secondo uno schema oggi abusato, ma che anche a quell’epoca non poteva sfuggire ai soggetti direttamente coinvolti”. Il giudice di legittimità ha poi confermato l’orientamento della Corte territoriale in merito all’uso scherzoso dell’epiteto, in quanto scaturito dalle attenzioni che il ricorrente aveva rivolto ad una donna molto più giovane di lui, ma comunque adulta e, una volta esclusa la portata offensiva dell’espressione, ha ritenuto irrilevante la questione del mancato intervento del responsabile della trasmissione al fine di tagliare la sequenza incriminata. Infine, la Corte di Cassazione ha giudicato gli sfottò, che il ricorrente ha asserito di aver subito dopo il rientro a casa, non solo la conseguenza della notorietà dallo stesso “volontariamente acquisita”, ma anche quale effetto “della naturale tendenza del pubblico all’imitazione di quanto apparso in televisione”. (D.A. per NL)

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