Digitale terrestre, vigilia dello switch-off dell’AT3: déjà vu full color del settembre 1990

Un po’ come accadde alla vigilia della scadenza per la presentazione delle domande per l’ottenimento della concessione prevista dalla L. 223/1990 – fissata al 23 ottobre 1990 – in queste settimane se ne vedono e sentono di tutti i colori.

Nel settembre 1990 alcune grandi emittenti locali fecero sforzi sovrumani per assurgere allo status (formale, per il sostanziale ci sarebbe stato tempo…) di tv nazionale. Altre conclusero in fretta e furia scambi di canali che solo nella primavera precedente avevano sdegnosamente rifiutato per il sol fatto che il concorrente ne avrebbe ricavato pari beneficio. Taluni scelsero di mollare il colpo, incassando la certa pecunia temendo l’incerto rilascio del futuro titolo all’esercizio. Non pochi disinvolti dichiararono il non perfettamente vero, mentre altri onesti si sarebbero pentiti in futuro di non averlo fatto. Giusto venti anni dopo, con i dovuti distinguo tecnologici, in un settembre pieno di dubbi, accade lo stesso. Grandi stazioni locali, coscienti di non poter comunque competere coi fornitori di contenuti e gli operatori di rete nazionali stanno costituendo consorzi per veicolare sui propri capienti mux (che col DVB-T2 diverranno ancor più capaci), possibilmente distribuiti uniformemente lungo la penisola, la collazione dei propri migliori prodotti editoriali, puntando a coprire le spese di gestione della rete (consortile) affittando banda a nuovi content provider (nazionali o, più probabilmente, internazionali) o a facoltosi affamati di vettori di dati via etere. Altri operatori locali stanno legando accordi per scambiarsi – last, but not least – capacità trasmissiva, estendendo la rete senza costi aggiuntivi (bello ottenere la superassegnazione frequenziale, ma poi bisogna anche attivare gli impianti e mantenerli in esercizio), il tutto in coscienza della criticità di un Piano di assegnazione delle frequenze che più puntellato di così non si può. Non pochi tenteranno di dimostrare di sfruttare appieno la capacità trasmissiva, tirando per il lungo e per il largo un risicato palinsesto analogico, moltiplicato come gli evangelici pani e pesci. Per par suo, il Ministero dello Sviluppo Economico, ancora alla ricerca di una testa stabile, sembra che cercherà di quadrare il cerchio, ipotizzando la ridistribuzione delle frequenze che requisirà per mancato utilizzo a coloro che dovranno abbandonare i canali dal 61 al 69 UHF entro il 2015 per far posto all’improrogabile banda larga in mobilità. Insomma, tanto per cambiare ci aspetta un autunno con tante castagne sul fuoco. (M.L. per NL)

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