Diritti connessi a diritto d’autore e rapporti con emittenti radio-tv: quando una riforma equa ed adeguata ai tempi?

Torniamo a parlare dei diritti connessi e della paradossale “lotta” tra i produttori musicali e le emittenti radiofoniche, nella consapevolezza che – sebbene la materia sia estremamente complessa e farraginosa – risulta ormai urgente ed improcrastinabile una disciplina idonea ad armonizzazione i rapporti tra il settore produttivo musicale e quello radiotelevisivo.

L’occasione per questo approfondimento è offerta dalla recente coraggiosa iniziativa di un’emittente radiofonica di Verona che, destinataria di una sanzione per l’omissione del versamento (reclamato dalla SCF – consorzio fonografico) del corrispettivo relativo ai diritti connessi al diritto d’autore sui brani musicali, si è rivolta alla Commissione europea lamentando di aver sempre corrisposto le somme dovute per i diritti d’autore SIAE; e chiedendo un’interpretazione autentica della disciplina applicabile, tenendo conto della necessari armonizzazione tra il diritto italiano e quello sovranazionale. Il delegato della Commissione europea, Signor David Baervoets, ha prontamente riscontrato la richiesta dell’emittente italiana; ed ha fornito la risposta di Michel Barnier -a nome della Commissione- all’interrogazione presentata. In realtà, si è trattato di un garbato e diplomatico riscontro che, purtroppo, rimanda al “punto di partenza” la radio di Verona: dopo una lunga premessa sulle competenze nazionali, la Commissione invita la Radio a verificare presso le autorità italiane quali sono le società di gestione collettiva interessate che rappresenta gli artisti interpreti o esecutori e i produttori di fonogrammi in Italia; ed a controllare, insieme ad altre emittenti italiane, in quali casi l’equa remunerazione deve essere versata…. Insomma, il problema resta tutto italiano; e non può che essere affrontato all’interno del nostro ordinamento giuridico. I diritti connessi vengono spesso confusi con il diritto d’autore: esiste una differenza fondamentale tra la composizione musicale (c.d. canzone) e la registrazione, ossia l’incisione su supporto della composizione musicale; pertanto, i diritti connessi rappresenterebbero – in un certo senso – i “fratelli minori” dei diritti d’autore. Mentre il diritto d’autore tutela l’opera musicale ed il relativo compenso viene corrisposto all’autore della composizione (musica e/o testo) e all’editore del brano, i diritti connessi al diritto d’autore riguardano le registrazioni; i relativi compensi vengono, quindi, corrisposti al produttore fonografico della registrazione che, successivamente, e all’artista che ha prestato la propria interpretazione nel corso dell’incisione. La normativa in vigore muove dalla necessità di premiare lo sforzo imprenditoriale del produttore discografico, o cinematografico; pertanto, ogni volta che si vuole trasmettere musica registrata – alla radio, in televisione, via satellite o in internet – è necessario assicurarsi l’autorizzazione anche dei produttori fonografici, ai quali, per questo tipo di impiego, spetta un compenso. I produttori, una volta incassati i diritti per la riproduzione, sono tenuti a ripartire la metà in favore degli artisti, interpreti ed esecutori, in virtù di complessi meccanismi di rendicontazione e distribuzione che – come testimonia la storia recente – hanno causato macroscopiche iniquità ed ingiustizie. Ma restiamo nell’ambito dei settori radiotelevisivo e di comunicazione web: nei numerosi contenziosi con le emittenti radiotelevisive, i produttori discografici (rappresentati in modo maggioritario dalla SCF) si sono limitati a dichiararsi creditori senza dimostrare l’effettivo utilizzo di supporti del proprio “repertorio” e, in assenza di criteri certi e legittimi di calcolo (dimostrazione dell’effettivo utilizzo dei supporti da parte dell’emittente e dell’incidenza che tale utilizzo abbia positivamente avuto sul fatturato della stessa), hanno genericamente applicato le percentuali previste da accordi quadro siglati con le associazioni di categoria, o preteso la percentuale dell’1,5% come previsto da un decreto della presidenza del consiglio dei Ministri del 1° settembre 1975. Vediamo i motivi: l’art. 73 della Legge sul Diritto d’Autore (L n. 633/41), con precipuo riferimento all’esercizio del diritto connesso spettante ai produttori fonografici, prevede espressamente che “(..) l’esercizio di diritto spetta al produttore, il quale ripartisce il compenso con gli artisti interpreti o esecutori interessati”; e, successivamente, al comma II, precisa che “(..) la misura del compenso e le quote di ripartizione, nonché le relative modalità, sono determinate secondo le norme del regolamento”. Precisiamo subito il regolamento previsto dal Legislatore italiano non è stato “ancora” emanato; ed aggiungiamo, inoltre, che per i parametri unilateralmente imposti dai produttori alle emittenti sussistono concreti dubbi di legittimità: come già detto, la norma contenuta nel D.P.C.M. 1°.9.1975, stabilisce che “in difetto di diverso accordo tra le parti, commisura il compenso all’1,50%” delle quote di incassi lordi pubblicitari, riferibili alla effettiva utilizzazione del disco o apparecchio analogo, rispettivamente in radiofonia e televisione. Si impongono alcune considerazioni critiche e ricostruttive: – in molti casi non sussiste un “diverso accordo tra le parti”, cioè tra l’emittente e i rappresentanti dei produttori discografici; – non è dato di comprendere né di individuare gli oggettivi parametri per l’accertamento delle quote di incasso lordo pubblicitario correttamente riferibili all’effettiva utilizzazione del disco; – sembrerebbe violato l’art. 181 ter (introdotto con L. 248/2000) secondo il quale, nel caso in cui la SIAE non svolga attività di intermediazione dei diritti connessi, l’Organismo legittimato è quello che verrà indicato con apposito D.P.C.M. (non “ancora” indicato né tantomeno designato…). È appena il caso di soffermarsi su un’ulteriore considerazione: nella totalità dei contenziosi azionati nei confronti delle emittenti, i produttori – sfruttando al meglio il “buco” normativo e regolamentare appena ricordato – possono addirittura omettere di fornire la certezza della loro pretesa creditoria e della corretta commisurazione della stessa, limitandosi a produrre le fatture contabili senza offrire alcuna prova con riguardo al rapporto sottostante (sfruttando la finalità lucrativa delle emittenti commerciali e rimandando alla semplicistica presunzione di “guadagno” in virtù della musica trasmessa). Le iniziali osservazioni critiche e gli auspici di una sollecita e radicale riforma, alla luce della sintetica ricostruzioni, possono completarsi con le conclusive considerazioni: – la disciplina dei diritti connessi è stata concepita nel quadro della Legge del Diritto d’Autore del 1941, cioè quando indubitabilmente la fruizione della musica era consentita grazie alle riproduzioni discografiche ed alle diffusioni via etere (il sostanzioso riconoscimento in termini economici del ricordato “sforzo imprenditoriale” aveva senz’altro presupposti ben diversi da quelli attuali); – la previsione dei meccanismi per la computazione ed applicazione del compenso risale al 1975, cioè quando “il disco” era l’unica “fonte” di riproduzione musicale, in assenza di emittenza radiotelevisiva privata; è innegabile che, in un contesto socio-economico in cui la discografia deteneva il monopolio della musica, le norme di settore non potevano che avvantaggiare i produttori; – con l’avvento delle “radio e delle televisioni private” (e poi con internet) la musica ha trovato un altro veicolo per raggiungere il pubblico, sebbene “partendo” sempre dal supporto originario. Di queste considerazioni non si potrà prescindere in vista di un’auspicabile riforma del settore; così come non potrà essere trascurata la circostanza secondo cui è assolutamente inaccettabile la semplicistica equazione secondo cui il fatturato di un’emittente sia correlato all’utilizzo della musica. Tale iniquo presupposto, certamente favorito dalla confusa e lacunosa normativa in vigore, non trova più alcuna giustificazione nella moderna ed innovativa prassi editoriale radiofonica e televisiva. Sulla base di queste prime ricostruzioni critiche e propositive, si auspica l’avvio di un serio dibattito che possa favorire la radicale riforma normativa del settore – a beneficio di tutti i protagonisti (compresi gli utenti) – in grado di restituire un corretto equilibrio degli interessi in gioco, tenendo conto degli innegabili e rivoluzionari cambiamenti degli ultimi decenni nei settori di riferimento. (I.M. per NL)
 

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