DTT, dividendo interno. Rumors e considerazioni a margine di una gara di scarso interesse che potrebbe però alterare equilibri di mercato

Il governo Renzi, tra le tante cose che dovrà fare velocemente per cercare di rilanciare l’economia del nostro paese, dovrà anche gestire la bandita asta per l’assegnazione del dividendo digitale televisivo interno.

Non certo per questioni economiche – posto che, nella migliore delle ipotesi, lo Stato porterà a casa per i tre mux in gara, 100 milioni di euro complessivi, cioè una cifra lontana anni luce dal miliardo e rotti, utopicamente previsti dal ministro dello Sviluppo Economico del governo Monti Corrado Passera – quanto per evitare le previste sanzioni dell’UE. La più parte degli osservatori qualificati ritiene che l’asta andrà deserta in prima convocazione, a causa di una serie di criticità che vanno dalla scarsa qualità tecnica dei multiplexer messi a gara, alla limitata portata del business di operatore di rete (in considerazione dell’elevata offerta di capacità trasmissiva DTT sul mercato) e dall’indisponibilità economica dei soggetti potenzialmente interessati (nuovi entranti nel settore e player tv minori), agli ingenti costi a cui i vincitori andranno incontro per realizzare, entro 5 anni, l’infrastruttura di rete. Con questi chiari di luna ben si comprende come anche le banche d’affari e i fondi d’investimenti abbiano sfogliato senza molta convinzione il dossier relativo al bando ed al disciplinare di gara, intravedendo poche opportunità speculative. Unici interessati potrebbero essere i content provider di spicco che ancora corrispondono canoni rilevanti a operatori di rete per il trasporto dei propri programmi DTT. A loro, forse, potrebbe convenire "mettersi in proprio" acquisendo diritti d’uso e quindi ampliando la propria mission a quella di operatore di rete. Tra questi, vi è Urbano Cairo, patron di Cairo Communication (partecipata al 72,875%) e neotitolare de La 7 s.r.l., cui fanno capo i marchi/palinsesti La 7 e La 7 D, ex fornitori di servizi di media audiovisivi di proprietà di Telecom Italia Media s.p.a., che controlla Telecom Italia Media Broadcasting s.r.l. Quest’ultima società è il network provider puro del gruppo Telecom Italia (dopo aver ceduto, nel luglio 2013, le quote del content provider MTV Italia s.r.l. a Viacom) che trasporta i due programmi DTT di Cairo. Il quale, avendo in cassa quasi 90 milioni di euro conseguenti alla complessa operazione di acquisizione de La 7, potrebbe decidere di investirne 30 milioni (o meno) per aggiudicarsi il miglior mux del dividendo e con la restante somma allestire la dorsale di distribuzione del segnale, azzerando i corrispettivi per il trasporto sul mux 3 di TIMB e quindi autofinanziando in parte l’operazione. In una prospettiva di questo genere, TIMB s.r.l., inevitabilmente, accuserebbe il colpo, perdendo uno dei migliori clienti (se non il migliore) con presumibili riflessi sul deal allo studio con L’Espresso per la creazione di una newco partecipata dalla società di Telecom Italia e da Rete A s.r.l., network provider del gruppo di De Benedetti. Operazione, peraltro, già entrata in una fase di sofferenza, come dimostrato dal rallentamento delle negoziazioni e dalla ventilata decisione di Telecom Italia di conferire nella società di nuova costituzione solo due dei tre mux di cui è proprietaria, tenendo per sé il multiplexer TIMB 2 (ch 60 UHF in migrazione sul ch 55 UHF), pur affidandolo in gestione alla newco. (M.L. per NL)

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