Elettrosmog, tensioni a Roma

23mila firme supportano un’iniziativa popolare che chiede nuove regole per i gestori, per limitare le fonti di inquinamento elettromagnetico. Intanto per Radio Vaticana arriva un nuovo altolà


da Punto informatico

Roma – Si va surriscaldando il clima sul fronte dell’elettrosmog nella capitale, dove i Comitati romani contro l’elettrosmog hanno chiesto al Comune di rivedere l’intesa con i gestori di telefonia mobile per arrivare a nuove discipline sulle modalità di installazione degli impianti di radiofonia.

“Discutere subito la delibera popolare in Consiglio o sarà mobilitazione cittadina permanente”. Così i Comitati romani che accusano l’amministrazione capitolona di ritardi nel discutere l’iniziativa che con 23mila firme propone nuove regole e nuovi limiti alla predisposizione degli impianti sul territorio.

Secondo i Comitati è infatti necessario arrivare ad un nuovo accordo con i gestori sulla base di un piano regolatore delle fonti dell’elettrosmog. A loro dire dopo l’attivazione del Protocollo di Intesa attuale con i carrier, che risale al 2004, “si è assistito ad un aumento esponenziale di antenne di telefonia mobile e ripetitori radio-tv che affollano i tetti della capitale, che deturpano l’orizzonte urbano della città eterna, procurando dannni alla salute degli abitanti”.

Ma non è questa l’unica novità sul fronte dell’inquinamento elettromagnetico a Roma. La quarta sezione penale della Corte di Cassazione ha preso in esame le denunce dei residenti di Cesano, paese alle porte della capitale, contro le emissioni degli impianti di Radio Vaticana, e ha stabilito che sono necessarie ulteriori indagini sul “rischio salute” per gli abitanti della zona. Questi, come noto, da lungo tempo sostengono che le antenne dell’emittente ecclesiastica sono tra le cause dell’aumento dei casi di leucemia nella zona.

La decisione della Corte rende di fatto inammissibile il ricorso che Radio Vaticana aveva presentato, e costringe l’emittente a pagare le spese processuali. Il ricorso si opponeva all’ordinanza del Tribunale di Roma, il cui GIP nel febbraio 2006 aveva respinto la richiesta di archiviazione prevedendo “indagini epidemiologiche” da protrarsi per almeno due anni.

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