Gentiloni: conflitto d’interessi, una priorità. A breve legge e limiti antitrust

Il Cda Rai, dice, resterà fino al 2008 salvo eventi straordinari


Intervista tratta da L’Unità

Il ministro delle Comunicazioni risponde alle domande dei lettori proposte dal direttore Padellaro. Il Cda Rai, dice, resterà fino al 2008 salvo eventi straordinari. Ma il rappresentante del Tesoro dev’essere neutrale, e ora non è così. Sui Dico: legittime le proteste della Chiesa, legittima l’azione del governo. Serve dialogo, non provocazioni

Con l’arrivo del governo dell’Unione la speranza era ed è che l’anomalia del conflitto d’interessi in Italia possa essere cambiata. La sensazione è che non ci siano passi in avanti: se, per ipotesi, si dovesse andare a nuove elezioni e Berlusconi si dovesse ripresentare, non cambierebbe nulla. È così?

«Risultati definitivi si hanno solo quando il Parlamento approva nuove leggi. Certo questo è un utile campanello d’allarme. Ma sul percorso avviato dal governo il bilancio è più rassicurante. È preoccupante la particolarissima posizione dell’ex presidente del Consiglio Berlusconi: accumulazione di potere economico, potere politico e potere mediatico. Preoccupazione che va risolta con due strumenti: la riforma del sistema tv e la legge sul conflitto di interessi. È giusto ricordare che nelle priorità dei nostri elettori i due obiettivi sono ai primissimi posti».

Legge sul conflitto di interessi: a che punto siamo?

«Da tre anni abbiamo la legge Frattini, una legge “senza denti”, perché descrive la possibilità che ci sia un conflitto di interessi ma non prevede sanzioni che lo risolvano. Di fronte al conflitto di interessi più gigantesco d’Occidente, questa legge si è rivelata semplicemente inutile.

La proposta parlamentare dell’Unione, che è in commissione Affari Costituzionali alla Camera – andrà in aula a marzo – introduce una serie di sanzioni: un comitato di saggi discuterà con il soggetto in conflitto di interessi le modalità per la risoluzione del problema, dalle misure più blande di trasparenza, all’affidamento di asset patrimoniali a fondi “ciechi”, fino all’obbligo di vendita. Certo sono perfettamente consapevole che la dimensione del conflitto di interessi in questo Paese, così come si è manifestata negli ultimi 13 -14 anni, è talmente consistente che anche la legge in discussione alla Camera non potrà risolvere il problema con la bacchetta magica».

Non c’è il rischio di andare a sbattere contro un muro su norme così delicate, con una maggioranza così risicata al Senato, come teme il ministro Mastella?

«Se dovessimo adottare la risicatezza della maggioranza al Senato come criterio orientativo dell’azione del governo, dovremmo fare una grande coalizione, una scelta politica diversa. Noi ipotizziamo che, seppure con numeri molto ristretti al Senato, il governo abbia una sua autonomia e possa persino rafforzarla nel corso dei mesi. Non possiamo un giorno pensare di avere una maggioranza e un altro giorno pensare di non averla. Questo non significa mettere le dita negli occhi all’opposizione, ma ci sono alcuni impegni nel programma dell’Unione che sono chiarissimi: legge sul conflitto di interessi e abolizione della legge Gasparri».

In una mail Marco Tommassetti propone la incandidabilità di chi ha conflitto di interessi.

«Nel 1994, quando si decise la non eleggibilità del dottor Confalonieri e non quella del cavalier Berlusconi, fu fatto un errore palese. Ma proporre l’ineleggibilità a tredici anni di distanza, dopo che la presenza in politica del dottor Berlusconi è diventata una realtà, mi pare discutibile».

Molti scrivono sul famoso tetto pubblicitario del 45%. Proposta che ha suscitato le critiche furibonde del mondo politico e imprenditoriale legato a Berlusconi. Quali sono le prospettive?

«Sono reazioni indicative del conflitto di interessi. Capisco che le aziende possano criticare leggi che modificano le loro posizioni dominanti sul mercato, ma qui c’è un connubio sfacciato tra imprese e politica, con un leader dell’opposizione che parla di “banditismi o progetti criminali”, che dice che porterà in piazza milioni di persone… francamente è un linguaggio inappropriato. Proponiamo una cosa vecchia quanto l’economia di mercato: i limiti antitrust. Il governo, l’Authority per le Tlc e gli esperti sostengono che nel settore tv i limiti antitrust – che dicono a un operatore “tu non puoi superare un tetto nella raccolta pubblicitaria” – accrescono la concorrenza e dunque il pluralismo, che è un bene costituzionale. In molti mercati europei il primo editore in raccolta pubblicitaria tv sta attorno al 40-45%, in altri paesi ci sono limiti molto più feroci. Sistema spagnolo: nessuno può avere più di una rete tv. Sistema tedesco: nessuno può avere più del 25% di ascolti. Sistema francese: nessuno può avere più del 49% in un’azienda televisiva. Penso quindi che la soluzione italiana al 45% sia realisticamente adeguata al nostro mercato».

Il grande mistero del digitale terrestre: perché è conveniente per noi utenti?

«Il digitale terrestre è stato utilizzato strumentalmente per altri fini dallo scorso governo, ma è una prospettiva interessante. Finita la presa in giro della Gasparri, che prevedeva lo spegnimento della tv analogica due mesi fa – scenario utile solo a evitare il trasferimento di una rete Mediaset sul satellite – oggi in Italia abbiamo una prospettiva che porterà un maggior numero di programmi tv nello stesso spazio di frequenza. Ci stiamo lavorando, con l’obiettivo realistico del 2012 per lo spegnimento della tv analogica».

Passiamo alla Rai. Alcuni ci chiedono notizie sulla proposta di legge popolare che ha raccolto 60 mila firme, quella presentata da Tana de Zulueta. Cosa sarà recepito di quella proposta?

«Gli obiettivi della riforma sono due. Primo, costruire una differenza della tv pubblica da quella commerciale, differenza oggi molto assottigliata: c’è una rincorsa del modello commerciale pericolosissima per il futuro della Rai. La tv pubblica dev’essere meno dipendente da ascolti e pubblicità, per questo il nuovo contratto di servizio introduce un indice di “valore pubblico”. Secondo: autonomia dalla politica: l’azionista della Rai non può essere il governo, quindi si costituirà una Fondazione il cui vertice sarà nominato con l’obiettivo di neutralità rispetto alle maggioranze e di distanza dai partiti. La proposta di Tana De Zulueta propone che le nomine siano fatte da organismi di varia natura: sindacali, universitari, culturali e molto parzialmente di origine parlamentare. Capisco l’intenzione, però conserverei un ruolo importante al Parlamento: non riesco a vedere un altro strumento per garantire la rappresentanza generale. Costruiremo una proposta nuova, in cui la fonte parlamentare sia associata ad altre fonti di nomina».

A proposito del controllo politico della Rai, molti ci chiedono se è cambiata l’informazione rispetto a 9-10 mesi fa. Secondo lei la tv oggi è più libera, più pluralista?

«Io sogno di poter dire che questa domanda non ha cittadinanza. Vorrei una Rai che difenda la propria autonomia editoriale quale che sia il governo. Alla domanda se la presenza ossessiva che c’è stata negli anni scorsi da parte del centrodestra si sia ribaltata, rispondo che non è così. C’è stato qualche miglioramento nell’informazione, ma non dobbiamo nasconderci che ora il consiglio di amministrazione della Rai, figlio della Gasparri, è a maggioranza di centrodestra».

Quanto durerà questa situazione paradossale? Soprattutto quella legata alla presenza nel cda del rappresentante del Ministero del Tesoro nominato ai tempi di Berlusconi, che sbilancia a favore del centrodestra la maggioranza.

«La scadenza del Cda attuale è maggio dell’anno prossimo, salvo eventi straordinari. Per quanto riguarda il rappresentante del ministero dell’Economia penso che chi rappresenta il Tesoro in una azienda controllata dovrebbe essere un dirigente del ministero stesso, che non ha un profilo politico, che non fa interviste, che non prende posizioni, ma che si limita a custodire l’interesse dell’azionista. Francamente non mi pare che questa sia la situazione nel Cda della Rai».

Cambiamo tema: le alte gerarchie della Chiesa hanno duramente condannato il ddl sulle coppie di fatto, i Dico: si profila, oltre ad un documento molto severo della Cei, una pressione sul Parlamento perché non approvi quella legge. Come ministro e come esponente Dl come vive questo momento?

«Sono preoccupato, non credo giusto sottovalutare un potenziale conflitto tra la Chiesa cattolica e gli orientamenti del governo. Ho assoluto rispetto della posizione che i vescovi e la Cei sostengono in questa materia, ma penso che sia altrettanto legittimo da parte del Parlamento e della maggioranza di legiferare. Non mi stupisco e non mi indigno se la Chiesa esprime una preoccupazione sul fatto che una breccia aperta sulle coppie omosessuali possa portare a una svalorizzazione della famiglia, così come penso che il governo abbia fatto assolutamente il proprio dovere nel riconoscere i diritti delle persone che vivono in unioni di fatto.

Attenzione però alle conseguenze che avrebbe un’ escalation di tensione. La fine dell’unità dei cattolici in politica ha normalizzato l’Italia e ha fatto sì che la Chiesa si ritenesse in dovere di assumere un ruolo diretto nella discussione pubblica, come in altri paesi europei. Il centrosinistra deve essere custode geloso dell’autonomia e della laicità della politica, ma con un atteggiamento di dialogo e di comprensione, e non di provocazione nei confronti delle preoccupazioni della Chiesa. Insomma, le questioni dei diritti individuali delle minoranze sono importanti, ma non credo che possano diventare la ragione fondante dell’identità del centrosinistra. Quasi in un rigurgito risorgimentale il centrosinistra in Italia, sia nelle componenti di sinistra che in quelle cattolica e liberale, è sempre stato dialogante verso i valori che la Chiesa rappresenta. Valori che hanno sempre trovato contatti con le nostre ragioni sociali».

Insisto, la reazione della Chiesa e la pressione sul Parlamento è fuori dalle righe. Non preoccupa nella stessa misura?

«Fra noi c’è un dissenso… democratico. Sulle unioni di fatto si è raggiunto un buon compromesso: se avessimo sostenuto una legge a favore dei matrimoni gay, permessi in alcuni paesi europei, avremmo fatto un grave errore».

Bene, la sintesi è nel motto risorgimentale: libero Stato in libera Chiesa.

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