Giallo di Garlasco: l’OdG diffida il fotografo Corona e sulla questione interviene il Garante della privacy

Esiste ancora il “buon giornalismo” o si va alla deriva verso il “reality journalism”?


L’Ejo (European Journalism Observatory), osservatorio di giornalismo dell’Università della Svizzera Italiana, discutendo di “buon giornalismo” in una pubblicazione on-line, scrive: “Il giornalismo deve poter conquistare la fiducia del pubblico e degli attori; tuttavia, sarebbe poco opportuno per la sua missione e la sua indipendenza se esso cercasse l’applauso di scena o addirittura la popolarità”. E ancora, più avanti: “Il buon giornalismo non è tanto una questione di buon artigianato e buona tecnica, quanto piuttosto di buon comportamento”. Ma per qualche giornalista (abilitato) e qualche “raccoglitore di spazzatura informativa”, quelle che dovrebbero essere indiscutibili regole morali e professionali, rimangono solo buoni propositi, facilmente oscurabili dalla smania di scoop.
Lo sa bene Fabrizio Corona – che il titolo di giornalista non ha – che ha dichiarato di seguire le vicende del giallo di Garlasco non solo per cercare esclusive e raccontare il delitto di Chiara Poggi, ma anche per raggiungere le gemelle Cappa e tentare il servizio fotografico dell’anno. Il fotografo catanese, che ha nel suo curriculum 77 giorni di carcere per l’inchiesta-scandalo Vallettopoli (altra farsa spettacolistica, dove anche l’immagine dell’Autorità giudiziaria italiana ne ha pesantemente risentito anche all’estero…), avrebbe recentemente ricevuto una diffida dall’utilizzare il titolo di giornalista dall’Ordine nazionale, in quanto non iscritto al medesimo. E Lorenzo Del Boca (foto), presidente dei giornalisti italiani, sarebbe anche andato oltre, ricordando all’impavido Corona che “Esiste un limite invalicabile per ogni attività informativa: il rispetto della persona, della sua dignità” (Marco A. Capisani per MarketingOggi del 29 agosto 2007). Un particolare che, nelle vicende di Garlasco, sembra essere condannato a diventare solo lo sfondo di una vicenda dalle implicazioni, quelle delle gemelle Cappa (o “K”, come ormai vengono appellate da una certa stampa), decisamente poco decorose. Avrebbero rincarato la dose il Garante della privacy Antonio Pizzetti e il procuratore capo della Repubblica Alfonso Lauro, ricordando di fare attenzione a non rendere “mostro” un mero indagato, quando non ci sono ancora non solo prove effettive, ma nemmeno indizi pregnanti per farlo. Altre figure giornalistiche accusano Corona di mancata deontologia e morale professionale, e sottolineano che, trattandosi solo di un agente fotografico, il reporter catanese non avrebbe motivo di definirsi professionista dell’informazione. Questi sono i rimproveri mossi dopo la diffida ai danni del fotoreporter (rectius, agente fotografico) siciliano dell’Ordine nazionale dei giornalisti; un’occasione per rinfrescare la memoria sui principi e i fondamenti della professione e per tentare di porre fine, forse con imperdonabile ritardo, al caso Corona.
La soluzione più semplice forse arriva dalla rubrica Italians, dove il giornalista Beppe Severgnini, accusato scherzosamente dai blogger di aver provato invidia per un cognome più “audace” (quello di Fabrizio Corona), ha risposto ad un lettore scrivendo: “…troppe lettere sull’argomento. E se ne parlassimo un po’ meno?”. (M.M.)

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