Giornalisti : scalone di due anni

Dal primo gennaio 2008 pensione di anzianità per i giornalisti a 59 anni, mentre per gli iscritti all’Inps scatterà a 58 anni (a patto che il “Ddl Damiano” diventi legge entro il 31.12.2007)


dalla newsletter del sito Franco Abruzzo.it

Roma, 11 agosto 2007. La “riforma previdenziale” del Governo Prodi, appena sottoscritta dalle parti sociali, prevede che dal 1° gennaio 2008 i lavoratori dipendenti conseguano la pensione di anzianità (con 35 anni di contributi) all’età di 58 anni. I giornalisti dipendenti, invece, andranno in pensione di anzianità, sempre dal 1° gennaio 2008, a 59 anni. Lo “scalone” dell’Inpgi in sostanza è di 2 anni (dai 57 anni del 2007 ai 59 anni del 2008). Viene comunque riconosciuta ai giornalisti la possibilità di conservare i vecchi requisiti di accesso alla pensione di anzianità (57 anni di età e 35 di contribuzione). In tal caso a ll’importo della pensione si applicano aliquote di abbattimento progressive, in relazione agli anni di anticipo rispetto all’età prevista dalla nuova normativa, ovvero, se più favorevole, rispetto ai 40 anni di contribuzione. Chi andrà in pensione con un anno di anticipo rispetto ai 59 anni si vedrà decurtata la pensione del 4,76%; con due anni del 9,09; con tre del 13,04; con quattro del 16,67 e con cinque del 20,00.

Rimane il fatto della discrepanza di trattamento tra Inps e Inpgi: perché i giornalisti dal 2008 potranno incassare la pensione di anzianità a 59 anni rispetto ai 58 degli altri lavoratori dipendenti?

La riforma previdenziale varata dall’Inpgi e approvata dai Ministeri vigilanti il 24 aprile 2007 modifica, a far data dal 1° gennaio 2006, nove articoli del Regolamento delle prestazioni previdenziali. L’azienda può risolvere il rapporto di lavoro quando il giornalista abbia raggiunto il 65° anno di età. Ed ecco un quadro sommario dei trattamenti Inpgi:

1. Pensione di vecchiaia

Dal 1° gennaio 2000, i giornalisti conseguono la pensione di vecchiaia all’età di 65 anni (60 anni le donne) con almeno 20 anni di contributi. Si prescinde dal limite dei 20 anni per coloro che, alla data del 31/12/1992, possono vantare almeno 15 anni di contribuzione. Con il 1° luglio 2007 hanno cessato di esistere sia la pensione di vecchiaia anticipata (con 30 anni di contributi) sia la pensione prevista dall’articolo 33 del Cnlg (60 anni e 33 anni di contributi). Le istruzioni sono leggibili in http://www.inpgi.it/prestazioni/inpgi_prestazioni-obbligatorie-pensioni-dirette-vecchiaia.htm

2. Pensioni di anzianità

Per i giornalisti, a decorrere dal 1° gennaio 2008, i requisiti per accedere alla pensione d’anzianità con una posizione contributiva inferiore ai 40 anni sono questi: 59 anni e 35 anni di contributi (questi numeri valgono anche per il 2009); 60 anni sono richiesti nel 2010, nel 2011 e nel 2012; 61 anni nel 2013; 62 anni nel 2014. Le istruzioni sono leggibili in http://www.inpgi.it/prestazioni/inpgi_prestazioni-obbligatorie-pensioni-dirette-anzianita.htm

Utili gli anni Inps e gli anni Inpgi/2

Ai fini del diritto alla pensione di vecchiaia è riconosciuto utile il periodo di contribuzione nell’assicurazione obbligatoria IVS o in forme sostitutive, esclusive o esonerative e nella Gestione Previdenziale Separata, costituita in favore dei giornalisti che svolgono attività autonoma di libera professione anche sotto forma di collaborazione coordinata e continuativa. Sono considerati utili, ai fini del conseguimento del diritto a pensione di anzianità, i periodi di iscrizione e di contribuzione nell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti.

3. Esodo e prepensionamento (art. 37 legge 416/1981)

Per i giornalisti professionisti iscritti all’INPGI, dipendenti dalle imprese editrici di giornali quotidiani e di agenzie di stampa a diffusione nazionale, limitatamente al numero di unità ammesso dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale e per i soli casi di ristrutturazione o riorganizzazione in presenza di crisi aziendale: anticipata liquidazione della pensione di vecchiaia al cinquantottesimo anno di età, nei casi in cui siano stati maturati almeno diciotto anni di anzianità contributiva, con integrazione a carico dell’INPGI medesimo del requisito contributivo previsto dal secondo comma dell’articolo 4 del regolamento adottato dall’INPGI e approvato con decreto interministeriale 24 luglio 1995, di cui è data comunicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 234 del 6 ottobre 1995.

L’integrazione contributiva a carico dell’INPGI non può essere superiore a cinque anni. Per i giornalisti che abbiano compiuto i sessanta anni di età, l’anzianità contributiva è maggiorata di un periodo non superiore alla differenza fra i sessantacinque anni di età e l’età anagrafica raggiunta, ferma restando la non superabilità del tetto massimo di 360 contributi mensili. Non sono ammessi a fruire dei benefìci i giornalisti che risultino già titolari di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria o di forme sostitutive, esonerative o esclusive della medesima. I contributi assicurativi riferiti a periodi lavorativi successivi all’anticipata liquidazione della pensione di vecchiaia sono riassorbiti.

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CHE COSA CAMBIERA’ E DA QUANDO CON LA RIFORMA PREVIDENZIALE INPGI

in: http://www.inpgi.it/INPGI_NEWS/inpgi_news-2007-cambiamenti-riforma.htm

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STAMPA TEDESCA:

“Le pensioni di lusso rovineranno l’Italia”.

“I giovani italiani devono attendersi una brutta sorpresa, poiché chi ha oggi 30 o 40 anni può attendersi solo delle pensioni ridotte al 35 o al 40 per cento dell’ultimo salario”.

Berlino, 11 agosto 2007. Sono le pensioni di lusso la vera rovina dello stato sociale italiano. E la riforma del governo rischia di far scatenare in futuro un “conflitto politico”: non solo, ma tra qualche decennio il problema generazionale nel nostro paese “potrebbe esplodere”. A sostenerlo e’ la “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, in un lungo editoriale. In particolare, il giornale scrive che “le pensioni di lusso” italiane rovinano lo stato sociale, in quanto per finanziarle vengono sottratti fondi da destinare all’assistenza ai disoccupati e alle fasce sociali piu’ bisognose. La tesi di Tobias Piller, corrispondente della “Faz” da Roma, è che la riforma varata “comporterà in futuro per l’Italia più gravami per i fondi sociali, più rischi per le finanze dello Stato, meno competitività ed una bella porzione di potenziale conflittuale politico”. Dopo aver mes so in evidenza che “in Italia il 33% del salario lordo di un dipendente stabile va a finanziare il sistema pensionistico italiano, mentre la quota analoga in Germania e’ del 20%”, la “Faz” conclude che in una situazione del genere “rimane poco a disposizione delle altre componenti di un funzionante sistema sociale”. Il giornale spiega che in Italia gli aiuti sociali ai più bisognosi, sul tipo di quelli esistenti in Germania, “sono impensabili, mentre l’indennità di disoccupazione esiste solo in forma rudimentale per gli occupati delle poche e grandi aziende. In questo modo i licenziamenti o le chiusure di un’impresa si trasformano in un dramma sociale”. Nel fare il confronto tra il sistema pensionistico tedesco e quello italiano il giornale sottolinea che con l’attuale riforma “un pensionato italiano di 57 anni, ma presto di 58, riceve dopo 35 anni di contributi il 70 per cento del suo ultimo stipendio, mentre in Germania non lo ottiene nemmeno chi ha pagato i contributi per 45 anni”. “E tuttavia – prosegue il quotidiano – i politici italiani si vantano da anni di aver risolto, a differenza dei tedeschi, i problemi delle pensioni nel loro Paese”. Nel lungo fondo del giornale di Francoforte si mette in rilievo che “in Italia a causa delle pensioni di lusso in favore di una generazione si conduce all’assurdo il progetto socialista o cattolico di un generoso stato sociale”. “Con tali sprechi – si legge – i giovani italiani devono attendersi una brutta sorpresa, poiché chi ha oggi 30 o 40 anni può attendersi solo delle pensioni ridotte al 35 o al 40 per cento dell’ultimo salario”. Secondo l’articolista, in Italia “purtroppo non si discute sul fatto che dietro questo sistema c’e’ molta ingiustizia” ed aggiunge che “gli esperti italiani sono allarmati da tempo ed ammettono apertamente che pensioni da fame per un’intera generazione potrebbero provocare una rivoluzione politica”. “Per questo – conclude – tra qualche decennio il problema g enerazionale e delle pensioni potrebbe esplodere”. (AGI) Cli/Pit 111137 AGO 07

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