Secondo il Tribunale di Nola, l’accesso ad informazioni di pubblica conoscenza compiuto al di fuori dell’esercizio delle proprie funzioni non costituisce violazione dell’art. 615-ter c.p.
Il Tribunale ordinario di Nola, con sentenza 14 dicembre 2007 n. 488, ha escluso la configurabilità del reato di cui all’art. 615-ter del codice penale (Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico) con riferimento alla condotta di un impiegato dell’Agenzia delle Entrate che, tramite accesso al sistema informatico, aveva visionato per pochi secondi i dati anagrafici di Romano Prodi e della moglie Flavia Franzoni, senza che fosse stato autorizzato a tale operazione. Come chiarito nella motivazione della sentenza, il fatto in esame si inserisce nell’ambito della vicenda, di portata nazionale, sollevata da una denuncia di Vincenzo Visco, Vice-Ministro dell’Economia e delle Finanze, e riguardante il comportamento di alcuni dipendenti dell’Agenzia delle Entrate, i quali, per motivazioni non connesse all’esercizio delle proprie funzioni, avevano avuto accesso al sistema informatico dell’anagrafe tributaria al fine di “spiare” le informazioni relative a Romano Prodi e consorte. Nel procedimento sottoposto all’esame del Giudice per le indagini preliminari di Nola, due dipendenti avevano appunto preso visione dei dati dei suddetti soggetti per ragioni estranee al loro servizio e, precisamente, dei due imputati, uno aveva effettuato un solo accesso, riguardante unicamente i dati anagrafici, l’altro, invece, era entrato nel sistema dell’anagrafe tributaria due volte, visionando prima le informazioni anagrafiche, e poi le dichiarazioni dei redditi. Il Gip, nel caso di specie, ha ritenuto sussistente l’elemento oggettivo del reato di cui al sopra detto art. 615-ter c.p. con riferimento ad entrambi gli imputati, mentre ha operato una differenza in merito alla condotta dei due dipendenti dal punto di vista dell’elemento psicologico del reato. Il giudice, in particolare, partendo dalla considerazione, basata su precedenti giurisprudenziali, che l’art. 615-ter c.p. punisce, tra l’altro, anche chi, pur essendo autorizzato ad accedere ad un sistema informatico “per determinate finalità, utilizzi tale facoltà per finalità diverse rispetto a quelle per le quali vale la sua autorizzazione”, e “(…) colui che, introdottosi lecitamente nel sistema , vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo (cfr. seconda parte del comma 1 dell’art. 615-ter c.p.)” ha ritenuto che “il soggetto che sfrutta la sua possibilità di accesso al sistema per effettuarvi operazioni diverse rispetto a quelle per le quali è autorizzato tiene un comportamento che equivale a mantenersi nel sistema contro la volontà tacita di chi ha il diritto di escluderlo e che, pertanto, rientra nell’ipotesi prevista e punita dalla seconda parte del comma 1 dell’art. 615-ter c.p.”. Pur avendo configurato, per entrambi gli imputati, l’elemento oggettivo del reato, ravvisabile nel mantenimento all’interno del sistema informativo contro la volontà tacita dell’amministrazione finanziaria, il Gip, unicamente per il dipendente che aveva avuto accesso ai soli dati anagrafici, ha però emesso sentenza di non luogo a procedere, in quanto ha ritenuto non esistente il dolo del reato in questione. Ciò, per la tipologia dei dati consultati dall’impiegato. Infatti, a suo giudizio, la circostanza che il dipendente “legittimato ad accedere al sistema, vi si sia intrattenuto, presumibilmente per pochi secondi, non per prendere cognizione di dati sensibili quali le informazioni fiscali, bensì puramente e semplicemente per prendere visione di dati quali quelli anagrafici di pubblica conoscenza e conoscibilità e non sottoposti dall’ordinamento ad alcuna forma di tutela della riservatezza, porta a ritenere che egli non si sia nemmeno reso conto che vi potesse essere una tacita volontà contraria da parte dell’amministrazione finanziaria a che egli si mantenesse all’interno del sistema per consultare i dati anagrafici di Romano Prodi e consorte”. (D.A. per NL)