Il futuro della radio

Radio Passioni dedica un ampio articolo al dibattito organizzato sul futuro della radio da Paolo Morawski (ufficio studi RAI) a Venezia, nell’ambito del Prix Italia


da Radio Passioni

di Andrea Lawendel (foto) – Radio Passioni

Come un vero blogger. Finché dura la batteria, evidentemente. Inizio a scrivere queste righe in treno, mentre i flussi delle considerazioni assorbite nel corso dell’interessantissimo dibattito organizzato sul futuro della radio da Paolo Morawski (ufficio studi RAI) a Venezia, nell’ambito del Prix Italia (fantastico premio, tra l’altro, l’unico focalizzato sulla programmazione con una impressionante florilegio della produzione radiotelevisiva mondiale di qualità). Augusto Preta di ITmedia, Simon Nelson della BBC, il mitico Jontathan Marks del blog Critical Distance, Sylvain Anichini di Radio France, Francesco De Domenico della RAI, una breve nota finale di un altro consulente ItMedia, Albino Pedroia. Finalmente l’evoluzione della radio – che come ha osservato Anichini, diversamente da mamma tivvù la sua grande rivoluzione l’ha già avuta, diventando mobile con l’invenzione del transistor – analizzata con grande sintesi ma senza risparmiare spunti e soprattutto competente intelligenza.
Il problema della cascata di inchiostro fisico e digitale sprecata in questi ultimi due o tre anni a proposito dei nuovi “standard” digitali è che le danze sono state menate (è il caso di dirlo) dai soliti ingegneri. Ma è un po’ come per il software e l’informatica. Le cose interessanti sono saltate fuori quando le sales people di IBM e Microsoft hanno ceduto la parola a chi il software lo fa e lo utilizza. Anche per la radio e il suo futuro, devono cominciare a parlare i programmatori, i producer e gli ascoltatori. Come ho già avuto modo di sottolineare in questo piccolo, marginale contesto, credere che per risolvere i problemi della radio – che ci sono, malgrado l’apparente ottimismo delle cifre – sia sufficiente applicare un bollino digital inside su una scatola è, bene che vada, da ingenui.
In un’ora e mezza, a Venezia, ho probabilmente ascoltato le cose in assoluto più sensate e utili che mi sono state dette in tutto questo tempo. Non ho sentito nessuno decantare le meraviglie del DRM, ma Simon Nelson è stato molto convincente sul ruolo del DAB nella strategia multiaccesso della BBC (tutti i contenuti prodotti accessibili attraverso qualunque piattaforma o dispositivo, incluso il soundtrack di BBC Radio 1 incastonato nell’ambiente virtuale del gioco-community onli di Second Life); Mason ha anche mostrato il nuovo telefonino, il Mobile Lobster, che Virgin Mobile con BT Movio presenteranno lunedì prossimo, il primo con ricevitore radio DAB e tv DAB-IP incorporato. Ho sentito Sylvain Anichini, vicedirettore generale di Radio France e co-promotore di un nuovo consorzio costituito per traghettare la radio verso l’era del digitale in Francia (su standard DAB plus), invitare la radio a riscoprire i suoi fondamentali, l’audio come killer application, la sua leggerezza e fluidità; e sottolineare che i primi risultati delle prove di televisione digitale sul telefonino sono false, che niente riuscirà mai a rendere la televisione mobile come l’ascolto della radio. Un parere espresso con tranquilla convinzione da Francesco De Domenico, secondo il quale il futuro della radio è outdoor, fuori dalle case, nel lentissimo traffico delle metropoli (è il pubblico in movimento che ha decretato il grande successo di Viva Radio 2, il movimento e la ricerca di nuovi talenti, perché innovazione, osserva giustamente Paolo Morawski, vuol dire anche quello).
Il tempo è stato tiranno con gli analisti di ITmedia, che con quindici minuti a disposizione hanno dovuto limitare il loro benchmark su scala europea a tre nazioni, relativamente omogenee tra loro: Italia, Francia e Spagna. Ne sono emerse alcune utili indicazioni, come la grande forza dell’informazione, il tramonto generalizzato del contenuto musicale generalista che dieci o quindici anni fa, e ancora di più agli albori dell’esperienza commerciale in Italia e Francia, era sembrata una panacea universale. Oggi uno dei problemi della radio è che i giovani la snobbano e il pubblico più fedele invecchia. «I miei figli non avranno la radio nel loro menu mediatico quotidiano se essa non saprà rinnovarsi radicalmente.»
Ancora più incisivo Jonathan Marks che si presenta come “radio insultant” affermando di credere più nei cross media che nella radio. «La radio ha cento anni di storia ma se non farà niente ha davanti a sé solo cento mesi di vita,» cannoneggia Jonathan nel suo impeccabile Dutch-English a mitraglia. Chi sopravvive alla sua prima raffica ha la fortuna di ascoltare una esposizione che svela i punti di forza e di debolezza della radio e trae le conclusioni con alcuni ficcanti suggerimenti. Non tutto quello che dice mi trova consenziente. Là dove Marks sbeffeggia la user interface della radio come qualcosa di “dumb”, stupido, io la trovo mirabilmente semplice. Se per lui i siti Web delle stazioni sono inutili, io credo molto nell’interattività. Ma è assolutamente geniale nel suo appello a favore un Google della radio, nell’invocazione di una EPG (Electronic Program Guide) che sappia guidare milioni di ascoltatori verso una fruizione più immediata e consapevole di contenuti di cui quasi sempre ignoriamo l’esistenza. Marks manifesta un autentico entusiasmo per la sua esperienza di consulente per le comunicazioni di emergenza (andate a guardare il Wiki della sua associazione Broadcasters without Borders) delle emittenti comunitarie africane, ma secondo me non si rende troppo conto che il suo suona come un nostalgico omaggio alle prime esperienze radiofoniche di quello che era tutto il resto del mondo prima di diventare ricco e “occidentale”. Alla fine, chi ha veramente parlato di radio del futuro, o almeno di una sua possibile, magari fallace articolazione, è Simon Nelson con una sintetica presentazione delle linee verso cui la BBC ha deciso di puntare per quella che anche Aichini chiama evoluzione della radio. Nelson esorta a fare propri i contenuti dei podcaster, a insegnare – prendendo a esempio il dialogo che la stampa scritta sta instaurando con i blogger – agli ascoltatori a interagire, a trasformare la radio in un medium bidirezionale. Una bella, appassionata lezione.
Un grande pomeriggio di parole dense, che Radio Rai avrebbe fatto bene a trasmettere in diretta. Io l’audio l’ho registrato con i mezzi del DXer e del podcaster, in Mp3, senza microfoni minimamente professionali. Al momento è un file molto corposo, che spero di riuscire a ridurre senza grossi sacrifici su una qualità già precaria. Ma intanto potete già trovarlo nella solita area file. Buon ascolto.

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