La cessione del ramo d’azienda – breve memorandum in materia gius-lavoristica e fiscale

La Cessione dell’azienda, o di un ramo appartenente alla stessa, rappresenta all’attualità un fenomeno largamente diffuso per far fronte a particolari problematiche inerenti l’impresa ed i contratti da essa conclusi


Le novita’ di Diritto & Diritti del 15/05/2008

Filice Alessandra

La Cessione dell’azienda, o di un ramo appartenente alla stessa, rappresenta all’attualità un fenomeno largamente diffuso per far fronte a particolari problematiche inerenti l’impresa ed i contratti da essa conclusi.
Finalità di questo breve memorandum sarà quella di cogliere gli aspetti più rilevanti, soprattutto per offrire al lettore un quadro completo degli obblighi gravanti sulle parti che partecipano all’operazione, con qualche sintetica considerazione al riguardo.
Appare essenziale, e quanto mai importante, iniziare proprio dalla materia gius-lavoristica, soprattutto trattandosi di questioni inerenti il lavoratore, e quindi gli aspetti più umani dell’azienda stessa.
Quando viene a manifestarsi l’esigenza della cessione dell’azienda o di un ramo di essa, il primo cambiamento da analizzare riguarda il titolare dell’attività, e quindi il datore di lavoro.
La legge (art.2112 codice civile) , a tal proposito, tutela infatti il lavoratore con alcune disposizioni specifiche e prevede che in caso di trasferimento il rapporto di lavoro non debba estinguersi, ma al contrario continui con il nuovo titolare dell’azienda: il lavoratore, quindi, conserva tutti i diritti che ne derivano.
In particolare egli potrà chiedere al nuovo datore di lavoro il pagamento dei crediti da lavoro che aveva maturato al momento del trasferimento, obbligando il nuovo datore di lavoro in solido con il vecchio titolare per tali crediti. Nel caso, poi, di stipulazione di un contratto d’appalto tra azienda d’origine e ramo trasferito, il lavoratore dipendente di questo ultimo può agire in giudizio direttamente nei confronti dell’azienda di origine per obbligarla al pagamento dei debiti che questa ha contratto con il ramo trasferito.
Il nuovo titolare dovrà continuare ad applicare il contratto collettivo nazionale, in vigore al momento del trasferimento, e fino alla sua scadenza.
Appare chiaro, dunque, che la cessione d’azienda non costituisce motivo di licenziamento se il trasferimento si verifica in imprese che occupano più di 15 dipendenti. In questo caso è obbligatorio per il datore di lavoro avvertire con comunicazione scritta, almeno 25 giorni prima dell’atto di trasferimento, le rappresentanze sindacali che avviano procedure di analisi e verifica necessarie alla tutela dei lavoratori .
Secondo quanto previsto dall’art. 47, 1 comma della Legge n.428 de 1990, successivamente modificato dall’art.2, 1 comma, del Decreto legislativo n.18 del 2001, infatti sono entrambe le imprese (cedente e cessionaria) coinvolte nell’operazione a dover comunicare ai sindacati dei lavoratori ed alle associazioni di categoria le seguenti informazioni:
1)Motivi della cessione del ramo d’azienda.
2)Conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori.
3)Eventuali misure da adottare nei confronti degli stessi.
4)Data o proposta di una data per la cessione.
I rappresentanti sindacali aziendali o i sindacati di categoria possono informare le parti interessate alla cessione, entro 7 giorni dal ricevimento della predetta comunicazione, di voler esaminare congiuntamente l’operazione. In tal caso cedente e cessionario sono obbligati nei successivi 7 giorni dal ricevimento della richiesta ad avviare un esame congiunto. Trascorsi 10 giorni dall’inizio delle consultazioni queste si intendono esaurite se non si è raggiunto un accordo.
Per quel che concerne i crediti e debiti aziendali, con la cessione del ramo di attività di un’azienda si verifica l’automatica cessione alla società acquirente dei crediti anteriori al conferimento relativi all’azienda trasferita (Cass. S.U. 1 ottobre 1993 n.9802). Il trasferimento della proprietà di un’azienda per atto tra vivi è disciplinato dagli articoli 2555-2560 del codice civile. Gli articoli 2559 e 2560 si occupano, rispettivamente, dei crediti e dei debiti relativi all’azienda ceduta. In particolare, riguardo ai debiti, l’articolo 2560 stabilisce che l’alienante non è liberato dai debiti, inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta, anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito. Il secondo comma dell’articolo 2560 prevede un principio di responsabilità solidale dell’acquirente dell’azienda commerciale per i debiti che risultano dai libri contabili obbligatori.
Per ciò che attiene al profilo delle responsabilità, l’articolo 14 del Decreto legislativo n. 472/97, prevede che il cessionario d’azienda debba rispondere solidalmente con il cedente per il pagamento delle imposte e delle sanzioni riferibili a violazioni commesse nell’anno in cui sia avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo, ma riferibili a violazioni commesse in periodi precedenti.
Appare, però, necessario ricordare che la responsabilità di cui sopra non è piena. Si tratta bensì di una responsabilità limitata al valore dell’azienda (o del ramo d’azienda) ceduta, che è quello accertato dal competente ufficio tributario o, in mancanza, quello dichiarato dalle parti. E’ fatta salva, in ogni caso, la preventiva escussione del cedente.
Ciò nonostante, è possibile che il cessionario possa non essere a conoscenza dell’esistenza di passività fiscali in capo al cedente. Al fine di assicurare, quindi, la buona fede dell’acquirente, il comma 3 della norma in esame limita la sua responsabilità ai debiti risultanti dal certificato che gli uffici sono tenuti a rilasciare a richiesta dell’interessato. Qualora, infatti, dallo stesso non risultino contestazioni ovvero se non viene rilasciato entro quaranta giorni dalla richiesta, la norma prevede un effetto liberatorio.
Ma la responsabilità solidale dell’acquirente è prevista anche da altre norme: in particolare anche in tema di debiti per imposte.
Per quanto riguarda l’imposta sul valore aggiunto,
la cessione d’azienda o di rami d’azienda, ai sensi dell’articolo 2, comma 3, lettera b), del D.P.R. 633/72, si configura come un’operazione esclusa dal campo di applicazione dell’Iva. Tale esclusione, prevista sin dall’introduzione dell’imposta sul valore aggiunto nell’ordinamento tributario italiano, trae origine dalla necessità di eliminare le difficoltà che si incontrerebbero, nel caso in cui tali operazioni fossero assoggettate all’imposta, in sede di valutazione del complesso aziendale trasferito.
Ai fini della determinazione della base imponibile Iva infatti, occorrerebbe fare esclusivamente riferimento ai soli elementi materiali che costituiscono l’azienda o il ramo aziendale ceduti. Non si dovrebbe, quindi, tenere conto dei debiti e dei crediti trasferiti né, in particolare, della parte di corrispettivo che si riferisce all’avviamento (elementi che invece rilevano nei Paesi che assoggettano a Iva le cessioni di cui trattasi).
Ulteriore considerazione che ha stabilito l’esclusione dal campo di applicazione dell’Iva è che tale base non comporta alcun svantaggio per l’erario. Considerando il meccanismo di applicazione dell’Iva, infatti, se da una parte il cedente sarebbe tenuto a versare l’imposta addebitata in via di rivalsa al cessionario, dall’altra quest’ultimo avrebbe diritto a detrarre la stessa imposta corrisposta al cedente e, in definitiva, l’operazione risulterebbe del tutto neutrale per l’erario.
Ai sensi dell’articolo 3, lettera b), del D.P.R. 131/86, la cessione del ramo d’azienda è operazione soggetta a registrazione in termine fisso anche qualora il contratto non sia redatto per iscritto. Da un punto di visto civilistico, infatti, la cessione d’azienda non richiede la forma scritta a pena di nullità, ma solo ad probationem.
Il termine per la registrazione è quello ordinario di venti giorni dalla stipula dell’atto. Per gli atti formati all’estero, aventi a oggetto aziende esistenti nel territorio dello Stato, il termine è prolungato a sessanta giorni. L’ufficio competente è quello nella cui circoscrizione risiede il notaio obbligato a registrare l’atto.
Per quanto riguarda la base imponibile, questa è data dal valore corrente dell’azienda ceduta, ossia dal valore complessivo dei beni che la compongono ( ex art. 51, comma 4, D.P.R. 131/86), comprensivo dell’avviamento, e al netto di debiti e altre passività. Si tratta, in sostanza, di uno dei casi in cui l’imposta non colpisce il corrispettivo contrattuale, bensì il valore corrente del bene ceduto.
Le passività sono quelle che risultano dai libri contabili obbligatori e da atti che abbiano data certa, con eccezione di quelle che il cedente si è obbligato ad estinguere e di quelle relative alle unità da diporto. Va evidenziato che per evitare diversità di trattamento tra chi adotta una contabilità ordinaria e chi invece ha una contabilità semplificata, il riferimento ai “libri contabili obbligatori” deve essere interpretato in relazione non solo ai libri previsti dal codice civile ma anche a quelli obbligatori previsti dalla legge tributaria.
Da ultimo, giova rammentare che, qualora nell’azienda ceduta siano ricompresi degli immobili per i quali risultino indicati distintamente i corrispettivi, gli uffici fiscali non potranno procedere a rettifiche di valore degli stessi quando questi ultimi siano stati dichiarati in misura non inferiore al valore catastale moltiplicato per i coefficienti indicati al comma 4 dell’articolo 52 del D.P.R. 131/86.

Alessandra Filice
– Avvocato (Ordine degli Avvocati di Cosenza)
– Giornalista Pubblicista
– Specialista “SSPL” (Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali)
– Collabora presso lo studio legale Pavia & Ansaldo di Milano.

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