Multitasking o sovraccarico? Il mondo delle comunicazioni elettroniche mette a dura prova la mente umana

Un noto detto recita: prima di aprir bocca, assicuratevi di aver acceso il cervello. E le neuroscienze, discipline oggi molto in voga (soprattutto nei media), si stanno occupando di capire se veramente lo sforzo di comunicare sempre di più e sempre più velocemente possa nuocere gravemente alle nostre capacità intellettive, oppure rappresentare l’inizio di una nuova evoluzione della mente umana.

In realtà si sta combattendo una battaglia sottotraccia nel mondo della scienza, tra la vecchia scuola della ricerca psicosociale e i nuovi arrivati, i neuroscienziati appunto, che pretendono di spiegare ogni meccanismo mentale con complessi schemi di attivazione elettrica dei circuiti cerebrali, riducendo così pensieri, sentimenti e reazioni emotive a eventi fisiologicamente individuabili, prevedibili e a volte anche riproducibili. E se dalla parte dei primi ci sono diversi studi tendenti a dimostrare che il bombardamento multimediale in atto riduce la nostra capacità di concentrazione e di riflessione, dal lato dei secondi ci sono ricerche che sembrerebbero rafforzare l’idea che il nostro cervello è un elaboratore molto complesso ma adattabile, in grado di rimodellarsi per affrontare anche le sfide del moderno caos comunicativo. L’uomo della nuova era, in altre parole, o sarà in grado di far lavorare la propria mente su più piani paralleli, come un elaboratore multiprocesso, o perirà sommerso da miliardi di "input" che non sarà più in grado di controllare. In quest’ottica si può leggere la bizzarra notizia di cinque scienziati statunitensi, due psicologi e tre neuroscienziati, che hanno deciso di passare una vacanza insieme su un fiume dello Utah, a centinaia di chilometri dai centri abitati, lontano da ogni possibilità di essere raggiunti da tv, cellulari, e-mail, web e ogni altra forma di comunicazione elettronica. Lo scopo: capire come reagisce il cervello umano in stato di “isolamento”, di distacco dal flusso continuo di informazioni e stimoli che la vita quotidiana ci impone nella civiltà postindustriale. Le conclusioni? Un po’ banali, come spesso succede in queste vicende di scienza made in USA: il contatto con la natura è rilassante, mentre la riduzione degli stimoli aiuta la concentrazione e l’approfondimento. Naturalmente, per gli psicologi “catastrofisti” una conferma delle proprie teorie, e per i neuroscienziati “scettici” uno spunto per capire quali stimoli e quali “circuiti” attivano questi benefici effetti, in modo da poterli magari riprodurre in laboratorio. In ogni caso, nel pieno di un cambiamento a volte inconsapevole che investe non solo la nostra mente ma più ancora i nostri rapporti personali e sociali, anche questa vicenda aiuta a capire cosa ci stiamo lasciando alle spalle. Ad esempio, l’insostituibile valore dei sempre più rari momenti di silenzio. (E.D. per NL)

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