Processi in tivù: l’AGCOM chiede l’autoregolamentazione

Emanata la delibera AGCOM n. 13/08/CSP – Atto di indirizzo sulle corrette modalità di rappresentazione dei procedimenti giudiziari nelle trasmissioni radiotelevisive.
 
Obiettività, completezza, lealtà e imparzialità dell’informazione. Sono questi gli elementi distintivi desumibili dalla delibera dell’AGCOM in tema di modalità di rappresentazione dei procedimenti giudiziari nelle trasmissioni radiotelevisive (delibera AGCOM n. 13/08/CSP, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 39 del 15 febbraio 2008). Tutte le emittenti radiotelevisive ed i fornitori di contenuti radiotelevisivi, nel corso di trasmissioni che riguardano l’esposizione di vicende riguardanti procedimenti giudiziari, qualunque sia la tecnologia di trasmissione dei contenuti stessi, dovranno offrire un’informazione che si ispiri ai principi enunciati dall’AGCOM, nel rispetto della libertà e dei diritti individuali, della dignità della persona e della tutela dei minori. Come noto in tivù si vede di tutto, anche i processi, parallelamente a quanto avviene nelle sedi ad essi naturalmente deputate, e cioè i tribunali. Non di rado capita di vedere programmi televisivi che ricostruiscono vicende giudiziarie, magari ancora in corso di svolgimento, in maniera spettacolare e suggestiva. In tali programmi si utilizzano linguaggi ben diversi da quelli tipici dei procedimenti giurisdizionali e molto vicini al linguaggio che fa audience. Si ricostruiscono fatti e talvolta si giunge a conclusioni apparentemente fedeli alla realtà, tali da indurre il telespettatore al convincimento che la tesi accusatoria proposta sia fondata. Ciò anche in conseguenza dell’immediatezza della comunicazione televisiva, rispetto ai biblici tempi processuali. Può accadere (e forse accade) che la realtà “virtuale”, in quanto immediata, prevalga nell’opinione pubblica rispetto alla realtà “processuale”, la quale necessità di tempi comprensibilmente differenti, in ragione della complessità insita nei processi stessi. L’imputato si presume non colpevole fino a quando il giudice non sentenzia diversamente. La televisione rischia di dare un’informazione che, a volte, assume i connotati di “gogna mediatica”, formando nel telespettatore un giudizio preventivo, che può diventare una condanna preventiva, che l’imputato paga all’opinione pubblica, indipendentemente dall’esito del processo. L’aberrazione sarebbe che, se il processo si conclude con lo stesso esito prospettato dalla televisione, allora la Giustizia è lenta. Mentre, al contrario, data la potenza di penetrazione e coinvolgimento emotivo del mezzo televisivo, si insinuerebbe nel telespettatore il sospetto (non in tutti, si spera) che il processo, in qualche modo, sia stato corrotto. Il problema, quindi, deve essere inquadrato in un’ottica di conciliazione dei dettami costituzionali: da un lato la libertà di manifestazione del pensiero e la libertà di stampa, contemplati dall’art. 21 della Costituzione, e dall’altro la tutela dei diritti fondamenti statuiti dall’articolo 2 della Carta Costituzionale, in tema di dignità umana e dei diritti inviolabili della persona. L’atto di indirizzo fornito dall’Authority (delibera AGCOM n. 13/08/CSP) si articola in due punti. L’articolo 1 individua i “criteri sulle corrette modalità di rappresentazione dei procedimenti giudiziari nelle trasmissioni radiotelevisive”, mentre con l’articolo 2 chiede agli interessati la redazione di un “Codice di autoregolamentazione”. Entrando nel dettaglio del provvedimento, si individuano i comportamenti da adottare da parte delle emittenti radiotelevisive e dei fornitori di contenuti: 
  • l’esposizione del fatti non deve essere eccessiva o forzatamente suggestiva. Va quindi evitato il cd. “processo mediatico”, con lo scopo di incrementare l’audience e la conseguenza di una distorta percezione della vicenda da parte del telespettatore;
  • sul fondamento del diritto di cronaca, le notizie diffuse devono evidenziare la centralità del processo in quanto da esso (e solo da esso) scaturisce la verità. L’informazione, quindi, deve tener conto della presunzione di innocenza dell’imputato e non deve indurre il telespettatore a farsi un’idea definitiva sull’esito del processo: accadimenti come un avviso di garanzia o una misura cautelare, se enfatizzati, possono assumere nell’opinione pubblica un significato aprioristico di “concludenza”;
  • evitare la spettacolarizzazione di drammi privati. I principi di obiettività, completezza, correttezza e imparzialità dell’informazione devono sempre essere rispettati. Quando sono coinvolti minori, al fine di salvaguardarne l’integrità dello sviluppo psichico e morale, deve porsi necessariamente una maggiore tutela;
  • argomenti del processo possono essere oggetto di dibattito nei programmi televisivi, nel rispetto sia del contraddittorio sia delle pari opportunità di intervento. Durante tali programmi però, i fatti processuali e la ricostruzione degli avvenimenti, non devono essere alterati al punto da confondere o suggestionare il telespettatore.
Nella seconda parte del provvedimento, l’Authority invita i soggetti interessati, o loro rappresentanti, insieme all’ordine dei Giornalisti e ad organi rappresentativi della stampa, a darsi delle regole, attraverso un codice di autoregolamentazione, tese ad attuare i principi enunciati della delibera stessa. (G.M. per NL)
 
 

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