Radiodiffusione sonora, normativa: la vexata quaestio dell’inserimento di nuove province al campo 69 della scheda B

Con parere reso nel mese di agosto ultimo scorso la DGPGSR del MSE-Com si è pronunciata a riguardo dell’estensibilità a casi analoghi a quello disaminato della recente decisione del TAR Veneto, investito della controversa problematica dell’inserimento di nuove province al campo 69 della scheda B ex DM 13/12/1984.

Nel merito, come noto, l’art. 32 della L. 223/1990 stabiliva che i privati che, alla data di entrata di tale legge, esercivano impianti per la radiodiffusione avrebbero potuto proseguirne l’esercizio all’ulteriore condizione che avessero reso, entro sessanta giorni, comunicazione contenente i dati e gli elementi previsti dall’art. 4 comma 1 del D.L. 807/1984, corredata dalle schede tecniche di cui al decreto del ministro delle Poste e delle telecomunicazioni datato 13/12/1984. Tale norma gravava l’operatore dell’onere della corretta compilazione delle schede, in quanto i documenti tecnici in parola, tra cui quella relativa al territorio interessato dalla radiodiffusione (campo 69 scheda B), delimitavano l’ambito territoriale dell’autorizzazione. Ricordiamo che, nel caso portato all’esame del TAR Veneto, era accaduto che un’emittente, rilevato un errore di compilazione delle schede originarie (nella specie, l’omissione di province utilmente servite), aveva prodotto, molti anni dopo il censimento del 1990, un’istanza di correzione relativamente al campo 69, chiedendo all’Ispettorato Territoriale competente dell’attuale Ministero dello Sviluppo Economico – Dipartimento Comunicazioni (MSE-Com) l’integrazione sul piano amministrativo dei territori illuminati di fatto. L’I.T. interessato, esperite le verifiche teoriche sulla documentazione presentate ex L. 223/1990, aveva assentito alla richiesta, autorizzando la modifica e partecipandola ai controinteressati per frequenza. Avverso tale provvedimento era insorta un’emittente concorrente, censurando il comportamento dell’organo periferico del MSE-Com che, a suo dire, col proprio provvedimento aveva alterato una situazione di diritto consolidata da decenni, ampliando immotivatamente la sfera giuridica dell’istante con speculare compressione della propria. Il ricorso veniva accolto dal tribunale adito sulla scorta di motivazioni ad avviso della scrivente convincenti e meritevoli di divulgazione, stante la costante attualità dell’argomento. “Il collegio non disconosce astrattamente la possibilità che sia ammessa la correzione di un errore materiale occorso nell’operazione di compilazione delle schede – precisavano nella sentenza i giudici amministrativi -. Tuttavia la correzione dell’errore materiale, quand’anche tale errore potesse riconoscersi dal complesso della documentazione presentata in origine, doveva intervenire ad un breve lasso di tempo dall’entrata in vigore della legge 223 del 1990 perché la portata territoriale delle autorizzazioni conseguente alla compilazione delle schede esige ordine e stabilità e non consente di insinuare anche il solo sospetto che una correzione di errore materiale intervenga a distanza di un lungo lasso di tempo per mascherare un non consentito mezzo di soluzione di conflitti interferenziali tra emittenti. Tale esigenza di ordine e stabilità dei rapporti giuridici sottostanti ad un’autorizzazione amministrativa e, più in generale ad un provvedimento amministrativo, è considerata in via generale dall’art. 21-nonies della legge n° 241 del 1990, che consente l’annullamento d’ufficio del provvedimento amministrativo illegittimo solo entro un termine ragionevole ed anche appunto dall’art. 32 della legge n° 223 del 1990 in relazione a quanto sopra precisato”, continuava il TAR, osservando che “Nel caso di specie l’istanza di correzione è stata presentata dopo oltre 20 anni dall’entrata in vigore della legge n° 223 del 1990 (…) e dunque non poteva ottenere accoglimento”. Del resto, spiegavano i giudici amministrativi, l’inattività della P.A. addotta dalla resistente avrebbe potuto essere contrastata con l’impugnazione delle “eventuali istanze presentate in precedenza e rimaste senza risposta” attraverso “l’avvio di azioni di tutela avverso l’inerzia della pubblica amministrazione”. Conseguiva da tale ragionamento, secondo il TAR, che l’autorizzazione “alla correzione di errore di compilazione di scheda tecnica B dell’impianto di trasmissione” era “illegittima” e doveva essere “annullata in accoglimento parziale del presente ricorso”. Con richiesta in data 23/07/2013, la decisione dell’organo giurisdizionale veniva portata all’attenzione delle D.G.S.C.E.R. e D.G.P.G.S.R. del MSE-Com per conoscerne l’orientamento a riguardo, tenuto conto che essa contrastava nettamente coi precedenti pareri amministrativi resi (dalla D.G.P.G.S.R.) . Con la missiva richiamata in apertura d’articolo, la D.G.P.G.S.R. riscontrava l’invito ed osservava come fosse “opinione della scrivente D.G. che la correzione di errori materiali non appaia configurarsi strettamente come provvedimento amministrativo impugnabile o annullabile (non conseguendo all’applicazione delle specifiche norme sulle autorizzazioni rilasciabili ex D. Lgs. 177/2005), ma riconosca unicamente stati di fatti, venendosi così a completare la raffigurazione che, dalle schede tecniche, dovrebbe emergere di ciascun impianto”. Nel merito della problematica, la D.G. annotava altresì che “In effetti, se per l’impianto in argomento è dimostrata una stazionarietà operativa che ha sempre interessato aree comunque servite (come da istruzioni di compilazione delle schede di censimento) delle province di (omissis), non si dà luogo (con la correzione in questione) ad autorizzazioni che consentano di ampliare indiscriminatamente tali aree e, quindi, non si viene a causare alcuna lesione di diritti altrui né si danneggia l’altrui servizio”. “Non va dimenticato – continuava la D.G.P.G.S.R. – che il titolo di legittimità ad operare con adeguati livelli di protezione in determinate aree deriva, a ciascun impianto censito, non già dal rilascio di qualche autorizzazione amministrativa, bensì dall’aver aderito (da parte dei proprietari) alle prescrizioni dell’art. 32 della legge 223/90 ed è il concorso della consistenza impiantistica in esercizio al 23.8.90 , del gioco delle interferenze (allora in atto) provocate da altri impianti (vicino nello spazio ed in frequenza) e della particolare orografia del territorio a stabilire quanto quella consistenza impiantistica avesse più o meno riflesso operativo sullo spazio circostante”. “Sono infatti i valori obiettivi di campo e.m. superiori ai livelli minimi ed i rapporti di protezione esistenti che stabiliscono se i punti di un’area sono serviti (e quindi tutelabili) o meno; la mancata indicazione su di una scheda tecnica dell’appartenenza di tale area ad una provincia (in quanto omessa per mero errore materiale) non autorizza, pertanto, i terzi a non riconoscerne la tutelabilità, né può condurre a sminuire le obiettive potenzialità dell’impianto”, puntualizzava la direzione tecnica del MSE-Com, che concludeva il proprio parere anticipando che “(…) in base alle considerazioni di cui sopra, la scrivente ha ritenuto di dover richiedere alla competente A.G.S. di proporre opposizione nei modi legge alla sentenza in questione”, invitando, infine, la collaterale D.G.S.C.E.R. a voler “comunque esaminare la problematica generale e di voler esprimere (per le proprie specifiche competenze) il proprio pensiero in merito”. Ora, ariguardo del parere espresso dalla D.G.P.G.S.R., sorge più di una perplessità, atteso che il provvedimento di correzione di errori materiali, contrariamente a quanto rappresentato dal parere in disamina, ben può incidere nella sfera giuridica di altri soggetti, che la P.A. non può unilateralmente privare di strumenti di tutela da esercitare avanti agli organi amministrativi e giurisdizionali, sicché la generica affermazione della direzione tecnica del MSE-Com di non considerare l’atto correttivo (dell’errore materiale) un “provvedimento amministrativo” aggredibile nelle forme di legge s’appalesa sguarnita di conforto in punto di diritto. La collocazione, suggerita dalla D.G.P.G.S.R., della questione sotto un cappello meramente tecnico non è del resto condivisibile, considerati i palesi riflessi giuridici conseguenti, il cui principale si concreta nel fatto che l’inserimento di una nuova provincia nella scheda tecnica B determina la tutelabilità della relativa area territoriale nei confronti di terze modifiche impiantistiche, poiché amplia l’interesse legittimo sotteso. Peraltro, proprio su queste pagine (precedentemente alla decisione del TAR Veneto), erano stati rappresentati forti dubbi in ordine all’orientamento della D.G.P.G.S.R. (presupposto di quello qui trattato) suggerito nel marzo 2013, allorquando essa si pronunciò favorevolmente sulla possibilità di inserire al campo 69 della scheda B una o più province precedentemente non contemplate sulla scorta dell’accertamento di un servizio utile in tali territori . E ciò in quanto l’indicazione – o, meglio, l’esclusione – di una provincia dal campo 69 della scheda B in sede di compilazione ex art. 32 L. 223/1990 aveva natura confessoria ed efficacia costitutiva, sicché l’assenza di un territorio pur servito con campo e.m. utile all’origine determinava rinuncia alla rivendicabilità dello stesso. Nelle precedenti disamine dell’argomento si rilevava come conseguisse da questa considerazione il fatto che l’introduzione ex post di una provincia ab origine volontariamente espunta dal campo 69 della scheda B per ragioni di convenienza economica, potrebbe essere interpretata come un immotivato ampliamento della sfera giuridica da parte della P.A. a danno di terzi legittimi utilizzatori dello spettro r.e. Del resto, sotto altro aspetto, la giurisprudenza civile ha in più occasioni assegnato rilevanza di dichiarazione confessoria all’autolimitazione del servizio indicata nella scheda tecnica B, sia che essa derivasse dall’assenza di una provincia al campo 69 (“province interessate dal servizio di radiodiffusione”), dalla qualificazione del campo 70 (“tipo di servizio”) o dal contenuto dei campi da 71 a 79 (“località escluse deliberatamente dal servizio”) . A riguardo, si richiamano le differenti nozioni di “area di copertura” e di “area di servizio” (o “bacino di utenza”), generalmente utilizzate, impropriamente, come sinonimi. Il protocollo ITU-R BS.638, recante termini e definizioni usati nella pianificazione delle frequenze per il broadcast sonoro, al capitolo 3 contiene, infatti, la nota 1 che precisa che la “area di copertura” di un impianto trasmittente è determinata esclusivamente dalle condizioni tecniche specificate, a prescindere da considerazioni amministrative o regolamentari. La Recommendation ITU-R V.573-4 definisce “area di copertura o cattura (di una stazione terrestre)” la “zona associata ad una stazione trasmittente per un dato servizio e per una specifica frequenza al cui interno, sotto specifiche condizioni tecniche , le radiocomunicazioni possono essere realizzate con una o diverse stazioni riceventi”. La cd. “area di servizio”, secondo la citata Rec. ITU-R V.573-4 (Nota 4) ha invece la stessa base tecnica del termine “area di copertura”, ma include anche gli aspetti amministrativi. Ben si può sostenere, pertanto, che, in sede di accertamento giuridico del servizio di un impianto di radiodiffusione sonora, si debba considerare ogni limitazione di servizio spontaneamente dichiarata in sede di compilazione delle schede tecniche B e C . Con l’auspicio che quella che s’appalesa come una vexata quaestio possa trovare definizione con una pronuncia chiarificatrice dell’organo superiore di giustizia amministrativa che la D.G.P.G.S.R. ha preannunciato essere adito per la riforma della sentenza del TAR Veneto, si rimanda per eventuali approfondimenti sull’argomento alla giurisprudenza dottrinale e giudiziale trattata nelle precedenti dissertazioni (cfr. SIT Online su www.newslinet.it). (M.L. per NL)
 

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