Scade a dicembre la norma della L. 223/1990 relativa alla comproprietà di giornali e tv. Congelata dal 30 aprile una mini-proposta di proroga

Il rischio è che Berlusconi decida di mangiarsi tutta la torta. A dicembre,  infatti, scadrà la norma, contenuta nella Legge Mammì (L. 223/1990), che fa divieto  ai titolari di concessioni televisive nazionali di possedere anche giornali di una certa  tiratura.

Il pastrocchio lo si deve alla famigerata Legge Gasparri del 2004  (L. 112/2004) che, dietro il paravento del digitale, aveva consolidato il duopolio Raiset e posto dicembre 2010 come data di scadenza della norma. La L. 223/1990, come gli operatori del settore sanno bene, fu approvata ai tempi del Caf (Craxi-Andreotti-Forlani) per stabilizzare lo status quo, in pratica procedendo ad una legificazione. Per evitare, però, che editori spregiudicati  fagocitassero il settore dei mass media, il legislatore del 1990  pose alcuni paletti. Come l’articolo 15, rubricato “Divieto di posizioni dominanti nell’ambito dei mezzi di comunicazione di massa e obblighi dei concessionari”, che così disponeva: "Al fine di evitare posizioni dominanti nell’ambito dei mezzi di comunicazione di massa è fatto divieto di essere titolare: a) di una concessione per radiodiffusione televisiva in ambito nazionale, qualora si abbia il controllo di imprese editrici di quotidiani la cui tiratura annua abbia superato nell’anno solare precedente il 16 per cento della tiratura complessiva dei giornali quotidiani in Italia; b) di più di una concessione per radiodiffusione televisiva in ambito nazionale, qualora si abbia il controllo di imprese editrici di quotidiani la cui tiratura superi l’8 per cento della tiratura complessiva dei giornali in Italia; c) di più di due concessioni per radiodiffusione televisiva in ambito nazionale, qualora si abbia il controllo di imprese editrici di quotidiani la cui tiratura complessiva sia inferiore a quella prevista dalla lettera b)". E Berlusconi, che ne aveva già tre insieme ad una conclamata presenza nel settore della carta stampata? Se ne sarebbe occupata negli anni la Corte Costituzionale, le cui sentenze, però, sarebbero rimaste inascoltate, almeno fino ai giorni nostri. Ad ogni modo, Berlusconi fu costretto a cedere la proprietà del Giornale ma, per fortuna, non ebbe problemi a trovare un acquirente: l’editore di riferimento del Giornale divenne il fratello Paolo. Anche se, come tutti sappiamo, e come Travaglio ieri è tornato ad illustrare nel corso della puntata di Annozero pre-sospensione, l’interlocutore per dipendenti, concorrenti e quant’altro, resta ed è sempre restato Silvio, il fratello maggiore. Ad ogni modo, Gasparri, nel 2004, aveva pensato bene di mettere una scadenza alla regola, tant’è che, se lo scenario non dovesse cambiare, dal dicembre 2010 tutti i paletti cadrebbero. Tra le tante proposte depositate in parlamento e poi dimenticate, però, ve n’è una, che lì giace dal 30 aprile di quest’anno, firmata dall’ex ministro Paolo Gentiloni, dall’Idv Giuseppe Giulietti e dall’Udc Roberto Rao. La proposta, poche e semplici righe, proroga la caduta delle restrizioni al 31 dicembre del 2015. Ma se e quando verrà discussa è tutto da vedere. Repubblica, intanto, alcune settimane fa, ha prospettato uno scenario apocalittico: il Cav che compra addirittura il Corriere della Sera; eventualità non così remota, qualora i vertici di Rcs dovessero cedere a proposte economiche nei margini di manovra del premier. Certo, però, il buonsenso lo impedirebbe. E poi, a ben guardare, non sarebbe così clamorosa un’eventuale “apertura” ad incroci tv-giornali; come si è visto, anche ai tempi della Mammì, Berlusconi riuscì ad aggirare la legge cedendo le sue quote del Giornale al fratello. Dovesse venirgli il pallino di comprare il Corriere, un fratello o un parente disponibile lo troverebbe sempre. (G.C. per NL)

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