Tlc, elettrosmog: Cds sulla legittimità regolamenti comunali insediamento impianti tlc

Con sentenza depostata nello scorso mese di giugno Consiglio di Stato ha riconosciuto validi alcuni limiti fissati dai regolamenti comunali per l’utilizzo di siti già oggetto di insediamenti radioelettrici.

La vicenda de qua prende le mosse da una domanda presentata al Comune competente da un operatore televisivo per ottenere l’autorizzazione, ai sensi dell’art. 87 del d.lgs. n. 259/2003, all’installazione di un ripetitore di segnale DVB-H in un immobile sito nella relativa circoscrizione territoriale. Nel merito, il Comune aveva negato alla società istante l’autorizzazione all’installazione del ripetitore in quanto la richiesta si sarebbe posta in contrasto con il Regolamento comunale per l’installazione di impianti di telefonia cellulare. L’operatore di rete impugnato, davanti al T.A.R. competente, tale diniego, nonché il presupposto regolamento comunale, sostenendone l’illegittimità, vedeva tuttavia respinto il proprio ricorso sulla scorta della ritenuta applicabilità alla richiesta del network provider del Regolamento del Comune, concernente l’installazione di impianti di telefonia cellulare, valutando quindi corretto l’operato dell’ente locale. Il gestore di rete appellava quindi la sentenza ritenendola erronea sotto diversi profili. Al riguardo, preliminarmente osservato che il Regolamento comunale per l’installazione degli impianti di telefonia cellulare non consentiva la collocazione di nuovi impianti nell’immobile in parola, già sede di un emettitore di altro gestore di telefonia, affrontava come prima questione la contestata applicazione delle disposizioni del citato Regolamento comunale anche alla fattispecie riguardante l’installazione di un ripetitore di segnale DVB-H. In proposito, secondo il Consiglio di Stato, ben aveva fatto il Comune ad applicare anche alla richiesta dell’operatore di rete il Regolamento comunale per l’installazione degli impianti di telefonia cellulare, posto che “Come ha evidenziato il T.A.R. nella sentenza appellata, infatti, l’impianto per il quale (…) ha chiesto l’autorizzazione prevede l’emissione di segnali radiotelevisivi in forma digitale, con la tecnica DVB-H (digital video broadcasting – handheld) che consente la ricezione dei programmi televisivi su apparati mobili (e quindi anche sui telefoni cellulari), e produce emissioni elettromagnetiche che per intensità e frequenza, ai fini della regolamentazione comunale, non possono ritenersi sostanzialmente diverse da quelle prodotte dagli impianti di trasmissione per la telefonia cellulare”. antenne%20foto%20traliccio%20interno%20dal%20basso - Tlc, elettrosmog: Cds sulla legittimità regolamenti comunali insediamento impianti tlc“Del resto – proseguivano i giudici di secondo grado – la ratio ispiratrice del citato Regolamento comunale, come si dirà poi più ampiamente, è quella di disciplinare la collocazione degli impianti che producono l’emissione di frequenze elettromagnetiche al fine di minimizzarne i possibili effetti pregiudizievoli per il territorio e per la popolazione. Ciò trova esplicita conferma nell’inserimento tra i procedimenti soggetti a necessaria autorizzazione, ai sensi dell’art. 87, comma 1, del d.lgs. n. 259 del 2003, anche di quelli aventi ad oggetto le stazioni radio base per le «reti di diffusione, distribuzione e contribuzione dedicate alla televisione digitale terrestre» e nella circostanza che (…) del citato Regolamento comunale, nel disciplinare i procedimenti autorizzatori per i quali è richiesta l’autorizzazione, ai sensi dell’art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003, fa riferimento alla installazione di «infrastrutture per impianti radioelettrici», in modo ampio e generale”. Sotto tale aspetto, per i supremi giudici, si doveva ritenere quindi legittimo il diniego opposto dal Comune, in applicazione della suddetta disciplina regolamentare, alla richiesta di autorizzazione fatta dall’operatore di rete. Sul punto, il CdS osservava come la legge n. 36/2001 , aveva, fra l’altro, disciplinato l’esercizio delle funzioni relative all’individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per la telefonia mobile, degli impianti radioelettrici e degli impianti per radiodiffusione, ed aveva assegnato ai Comuni il potere di adottare un regolamento «per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici» (art. 8, comma 6). Tale potere, secondo i giudici di ultime cure, “è espressione dell’autonoma e fondamentale competenza che i Comuni hanno nella disciplina dell’uso del territorio e può tradursi nell’introduzione di regole poste a tutela di zone e beni di particolare pregio paesaggistico, o ambientale, o storico artistico, ovvero, per ciò che riguarda la minimizzazione dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, nell’individuazione di siti che, per destinazione d’uso e qualità degli utenti, possano essere considerati “sensibili” alle immissioni radioelettriche, e quindi inidonei alle installazioni degli impianti”. Sebbene tale disposizione preceda l’entrata in vigore del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al d.lgs. n. 259 del 1 agosto 2003, spiega il CdS nella sentenza disaminata, “la giurisprudenza ha chiarito che la citata disposizione dettata dall’art. 8, comma 6, della legge n. 36 del 2001 trova pacifica applicazione anche nei procedimenti, riguardanti le installazioni di infrastrutture di comunicazione elettronica, disciplinati ora dall’art. 87 del d.lgs. n. 259 del 1° agosto 2003”. Sulla base di tale normativa e delle ulteriori disposizioni dettate, in materia di esposizione ai campi elettrici e magnetici, dalla legge regionale di riferimento, il Comune aveva, quindi, inteso disciplinare la futura collocazione degli impianti di comunicazione elettronica, attraverso un apposito regolamento che dettava la disciplina generale per il rilascio delle autorizzazioni per l’installazione di impianti radio base di telefonia mobile, prevedeva regole generali (ed astratte) di regolamentazione dei procedimenti per la corretta installazione degli impianti, e costituiva il parametro per valutare la legittimità degli atti autorizzativi. Quanto ai contenuti che, in generale, poteva avere il regolamento comunale previsto dall’art. 8, comma 6, della legge n. 36/2001, per i giudici “la giurisprudenza ha affermato che, nel disciplinare il corretto insediamento nel territorio degli impianti, i comuni possono dettare regole a tutela di particolari zone e beni di pregio paesaggistico o ambientale o storico artistico, o anche per la protezione dall’esposizione ai campi elettromagnetici di zone sensibili (scuole, ospedali etc.). I comuni non possono però imporre limiti generalizzati all’installazione degli impianti se tali limiti sono incompatibili con l’interesse pubblico alla copertura di rete del territorio nazionale”. antenne%20grattacielo%20breda - Tlc, elettrosmog: Cds sulla legittimità regolamenti comunali insediamento impianti tlcIn conseguenza non erano stati ritenuti legittimi limiti alla localizzazione degli impianti di telefonia mobile, eventualmente contenuti nella disciplina regolamentare comunale, di carattere generale, e riguardanti intere ed estese porzioni del territorio comunale, in assenza di una plausibile ragione giustificativa. Né si era ritenuto possibile imporre limiti di carattere generale giustificati da un’esigenza di tutela generalizzata della popolazione dalle immissioni elettromagnetiche, dal momento che a tale funzione provvedeva lo Stato attraverso la fissazione di determinati parametri, il rispetto dei quali è verificato dai competenti organi tecnici. Del resto, anche la Corte costituzionale, nell’esaminare la legittimità costituzionale di disposizioni dettate (con legge) dalla Regione Lombardia che prevedevano distanze minime da una serie di siti sensibili, aveva affermato, con le sentenze n. 331/2003 e n. 307/2003, il principio che tali disposizioni sono illegittime se pongono limiti generali che, in particolari condizioni di concentrazione urbanistica di luoghi specialmente protetti, potrebbero addirittura rendere impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni, con la conseguenza che i «criteri di localizzazione» si trasformerebbero in «limitazioni alla localizzazione». Mentre le disposizioni poste a tutela di siti sensibili sono legittime se comunque consentono «una sempre possibile localizzazione alternativa» e non «l’impossibilità della localizzazione». In proposito, la stessa Sezione esaminante del CdS aveva di recente affermato che “si deve ritenere consentito ai Comuni, nell’esercizio dei loro poteri di pianificazione territoriale, di raccordare le esigenze urbanistiche con quelle di minimizzazione dell’impatto elettromagnetico, ai sensi dell’ultimo inciso del comma 6 dell’art. 8 della legge n. 36 del 2001”. Nel regolamento comunale possono, infatti, essere ammessi anche limiti di carattere generale all’installazione degli impianti purché sia comunque garantita una possibile localizzazione alternativa degli stessi, in modo da rendere possibile la copertura di rete del territorio nazionale e, in conseguenza, “possono ritenersi legittime anche disposizioni che non consentono (in generale) la localizzazione degli impianti nell’area del centro storico (o in determinate aree del centro storico) o nelle adiacenze di siti sensibili (come scuole ed ospedali), purché sia garantita la copertura di rete, anche nel centro storico e nei siti sensibili, con impianti collocati in altre aree”. Sulla base delle esposte considerazioni, secondo il CdS, non potevano “ritenersi illegittime le disposizioni contenute nel regolamento del Comune (…) che limitano (o impediscono) la collocazione di nuovi impianti in determinate aree del territorio comunale posto che comunque tali limitazioni non è stato dimostrato che impediscono la realizzazione della rete delle infrastrutture elettroniche”. In particolare, la funzionalità del servizio non poteva dirsi compromessa per il divieto imposto nell’area individuata dall’operatore di rete per la collocazione del suo impianto tenuto conto che il divieto posto sulla singola particella, puntualmente individuata, non impediva al network provider di partecipare al procedimento, volto all’individuazione di siti alternativi decentrati ove collocare l’impianto. La circostanza (chiarita dal Comune) che, prima della nuova pianificazione urbanistica impositiva della preclusione sulla particella in questione, ubicata in una zona altamente abitata del centro urbano, vi fosse già posizionato un impianto di proprietà di altro gestore e che tale struttura era stata oggetto di diverse petizioni da parte della cittadinanza volte ad ottenere una sua delocalizzazione in un luogo con minore densità abitativa, rendeva peraltro esplicite le ragioni, che non apparivano per i giudici manifestamente illogiche, che avevano determinato la prescrizione regolamentare impositiva del divieto di nuove installazioni in quel sito. Infine, con un terzo motivo di appello, il ricorrente sosteneva che il T.A.R. aveva omesso di pronunciarsi sul motivo con il quale aveva sostenuto che sulla sua domanda si era oramai formato il silenzio assenso, ai sensi dell’art. 87 del codice delle comunicazioni. Anche tale motivo, tuttavia, non risultava ad avviso dei giudicanti fondato, posto che, “ai sensi dell’art. 87, comma 5, del d.lgs. n. 259/2003, il termine per la formazione del silenzio assenso (90 giorni dalla presentazione dell’istanza, ai sensi del comma 9 dello stesso articolo) risulta sospeso ove vengano richieste integrazioni della documentazione prodotta. In tal caso il termine ricomincia a decorrere dall’avvenuta integrazione della documentazione richiesta”. Nel caso di specie, il Comune aveva richiesto una integrazione della domanda presentata, in relazione alla verifica della regolarità del progetto con il Regolamento comunale, ma tale integrazione non risultava poi inviata, sicché non poteva essersi formato il silenzio assenso sulla richiesta in questione. Per le ragioni suesposte, l’appello doveva essere respinto. (M.L. per NL)

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