Tv. D.Lgs attuazione direttiva 2007/65/CE : audizione in Parlamento del presidente dell’Agcom

Audizione tempestiva, quella di Calabrò, visto che l’Agcom stava per inviare una segnalazione al Governo sul controverso d.lgs., che l’invito del Parlamento ha reso superflua.

Di seguito i testi delle audizioni al Senato (26/01) ed alla Camera (28/01).
 
Senato della Repubblica – 8^ Commissione lavori pubblici, comunicazioni (Presidente Sen. Luigi Grillo)
  

"Signor Presidente, Onorevoli Senatori, è con sentito e sostanziale apprezzamento che ringrazio la Commissione per aver dato all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni l’opportunità di fornire il proprio contributo di analisi e valutazione, anche tecnica, alla vostra riflessione sullo schema di decreto legislativo che dà attuazione alla Direttiva 2007/65/CE sui servizi di media audiovisivi. L’Autorità – non avendo avuto altra opportunità – stava per inviare al riguardo una segnalazione al Governo in base alla legge n. 249 del 1997 (art. 1, comma 6, lett. c, n. 1), ma, a seguito del vostro invito, abbiamo ritenuto assorbente l’audizione in Parlamento[1].
 
La nuova Direttiva
 
Com’è noto, la Direttiva 2007/65/CE, “Servizi di media audiovisivi”, modifica la Direttiva Televisioni senza frontiere (TSF)[2], con lo scopo di istituire un quadro moderno, flessibile e semplificato per i contenuti audiovisivi, e di adeguarli allo sviluppo tecnologico e di mercato.
 
Il settore televisivo, infatti, sta vivendo un momento di radicale cambiamento a causa dell’affermazione di nuove piattaforme trasmissive e di nuove modalità di fruizione dei contenuti offerti al pubblico. In tutti gli Stati d’Europa (e non solo) è in atto il passaggio dalla televisione analogica a quella digitale terrestre, ed ormai il numero delle famiglie digitali ha superato quelle che ricevono solo la Tv analogica.
 
Posizione dell’AGCOM
 
Le considerazioni che esporrò si svilupperanno, per così dire, per linee interne; atterranno cioè alla rispondenza delle norme dello schema di decreto in esame agli indirizzi comunitari.
 
Fatta salva la competenza primaria del Parlamento a giudicare la conformità del decreto alla legge delega, obiettivo dell’Autorità è, infatti, di agevolare l’apprezzamento analitico della Commissione sulle condizioni alle quali v’è armonia tra il quadro normativo interno, inclusivo dell’impianto regolamentare di competenza dell’Autorità, e la cornice comunitaria, definita dagli obblighi di risultato posti con lo strumento della direttiva e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.
 
È questo un compito nel quale questa Autorità si esercita abitualmente in un continuo confronto con gli ambienti comunitari, che ha registrato nel tempo una continua evoluzione.
 
In relazione alla nuova Direttiva che gli Stati membri sono ora impegnati a recepire, l’evoluzione di fatto della partecipazione delle Autorità trova una formale consacrazione nella previsione dell’art. 23-ter[3].
 
La Direttiva (Considerando 65[4] e Considerando 66[5]) afferma il principio che gli Stati membri dovrebbero affidare compiti di regolazione e autorizzazione a Autorità indipendenti. L’indipendenza dell’Autorità a cui vengono affidati i compiti di regolazione si pone infatti come un caposaldo della tutela del pluralismo e della concorrenza nell’ordinamento interno degli Stati membri.
 
Ebbene, dirò subito che lo schema di recepimento oggi all’esame del Parlamento, come espliciterò meglio in seguito, non appare corrispondere adeguatamente a queste indicazioni comunitarie.
 
Il recepimento della Direttiva poteva essere l’occasione per ridisegnare un quadro organico della materia televisiva: rilevo, purtroppo, che questa occasione rischia di essere persa perché lo schema di decreto accentua invece ancora di più la bipartizione delle competenze, mantenendo inoltre la materia delle autorizzazioni, con l’unica eccezione di quelle satellitari, sotto il controllo dell’Esecutivo.
 
Mentre in Francia e in UK il legislatore nazionale ha senza esitazioni di sorta affidato i compiti di attuazione della Direttiva alle rispettive Autorità indipendenti, nel caso italiano si assiste così ad una separazione di competenze tra Esecutivo e Autorità e, in alcuni casi, addirittura, ad una sottrazione di competenze (quote europee) che si disallinea dal quadro comunitario, insistendo in quell’infelice frammentazione di competenza tra Autorità ed Esecutivo fatta dalla legge n. 66 del 2001 che sottrasse all’Agcom la competenza in materia di rilascio dei titoli abilitativi.
 
Considerazioni
 
Ciò premesso, mi soffermerò, in primo luogo, su alcuni aspetti che coinvolgono competenze dirette dell’Autorità nella materia audiovisiva, passando poi ad esaminare alcuni profili definitori che possono avere una ricaduta sulle relative norme di merito, quali le definizioni di pubblicità, autopromozione, programma e palinsesto televisivo, ed alcuni aspetti più specificamente legati alla normativa applicabile agli obblighi di programmazione di opere europee.
 
In secondo luogo, rispetto ad alcuni temi non direttamente discendenti dalla Direttiva ma ugualmente toccati dallo schema di decreto, formulerò alcune notazioni in merito alle disposizioni in materia di diritto d’autore, sia sotto l’aspetto relativo alla nuova disciplina comunitaria in materia di comunicazioni elettroniche adottata il 19 dicembre 2009 che sotto quello inerente la diversa iniziativa governativa in materia di tassazione di alcune apparecchiature.
 
Competenze dell’Autorità in materia audiovisiva
 
In materia di trasmissioni transfrontaliere, la norma dell’art. 2, comma 4, dello schema di decreto riflette correttamente i criteri della Direttiva per l’individuazione della giurisdizione degli Stati membri sulle emittenti extra-comunitarie che ne utilizzino servizi di up-link satellitare o di fornitura di capacità satellitare.
 
Si prende favorevolmente atto che il provvedimento attribuisce all’Autorità compiti di vigilanza e sanzione in caso di trasmissione di contenuti provenienti da altri Stati suscettibili di ledere i principi fondamentali posti dalla Direttiva, quali la tutela dei minori e della dignità umana, conferendole il potere di disporre la sospensione provvisoria di ricezione di tali trasmissioni secondo l’articolata procedura indicata nell’art. 3, che prevede un’interlocuzione con la Commissione europea.
 
Senonchè si deve segnalare che al comma 8 di tale articolo manca il riferimento alle emittenti di origine extracomunitaria riconducibili alla giurisdizione italiana ai sensi del citato art. 2, comma 4, limitandosi l’art. 3, comma 8, ad incidere sul diverso caso delle emittenti non riconducibili alla giurisdizione di alcuno Stato membro ma i cui contenuti siano ricevuti direttamente o indirettamente dal pubblico italiano.
 
Al fine di consentire all’Autorità di esercitare efficacemente i propri poteri, si suggerisce, pertanto, di aggiungere al primo rigo del citato comma 8, dopo le parole “servizi di media” le seguenti: “soggetti alla giurisdizione italiana ai sensi dell’art. 2, comma 4”.
 
In materia di tutela dei minori lo schema di decreto affida all’Autorità (art. 9, comma 5) il compito di adottare, con procedure di co-regolamentazione, la disciplina di dettaglio contenente l’indicazione degli accorgimenti tecnici idonei ad escludere che i minori vedano programmi classificabili a visione solo per adulti, o film, anche a pagamento, vietati ai minori di anni 18; ciò anche sulla base del Considerando 45 della Direttiva che individua tra le misure da adottare per la tutela dello sviluppo fisico, mentale e morale dei minori, l’uso di numeri di identificazione personale (PIN) e sistemi di filtraggio e identificazione.
 
In considerazione delle attribuzioni dell’Autorità, suscita però forte perplessità la previsione dell’articolo 9, comma 2, che affida esclusivamente al Comitato di applicazione del Codice Media e Minori il compito di proporre criteri per il sistema di classificazione dei contenuti ad accesso condizionato che ciascun fornitore di servizi di media audiovisivi o di servizi ad accesso condizionato sarà tenuto ad adottare. Tali criteri, secondo la previsione del citato comma 2, vanno approvati con decreto ministeriale.
 
Stante il raccordo esistente, in base alla normativa vigente, tra i compiti del Comitato di applicazione del Codice Media e Minori e i compiti di vigilanza e sanzionatori in materia di tutela dei minori affidati all’Autorità, si ritiene che debba invece essere previsto un ruolo attivo dell’Autorità sui criteri di classificazione dei contenuti.
 
Ciò anche in base alle linee guida sul contenuto degli obblighi del servizio pubblico radiotelevisivo per il prossimo contratto di servizio con la Rai del triennio 2010-2012, approvate dall’Autorità d’intesa con il Ministero dello sviluppo economico il 12 novembre 2009, nelle quali è stato previsto un sistema di segnaletica dei contenuti (programmi per tutti, sconsigliato ai minori di anni 12, sconsigliato ai minori di anni 16) che la Rai dovrà adottare previa consultazione con l’Autorità e il Comitato Media e Minori.
 
In materia di product placement (art. 15) lo schema di decreto , sulla base dei principi e criteri direttivi della legge delega, ha stabilito i requisiti necessari affinchè sia consentito l’inserimento di prodotti in determinati programmi ( opere cinematografiche, film e serie televisive, programmi di intrattenimento leggero, con esclusione di programmi per bambini), demandando la disciplina applicativa dei principi ivi enunciati a procedure di auto-regolamentazione da parte dei produttori, delle emittenti , delle concessionarie di pubblicità e di altri soggetti interessati e prevedendo che “le procedure di autoregolamentazione” siano semplicemente comunicate all’Autorità (comma 5).
 
Al riguardo si osserva che, secondo il Considerando 36 della Direttiva, l’autoregolamentazione costituisce un’iniziativa volontaria che permette agli operatori economici e alle parti sociali di adottare fra di loro e per loro stessi orientamenti comuni; essa può svolgere un ruolo efficace a complemento dei meccanismi legislativi ed amministrativi in vigore. La coregolamentazione, invece, costituisce un collegamento giuridico tra l’autoregolamentazione e il legislatore nazionale, in conformità con le tradizioni giuridiche degli Stati membri.
 
La scelta effettuata a favore della (sola) autoregolamentazione su una materia così nuova e di sicuro impatto sui consumatori, non appare in linea con il pertinente quadro giuridico comunitario, né con quello nazionale attualmente in vigore in materia di pubblicità.
 
In primis, l’Autorità non avrebbe alcun potere di irrogare una sanzione amministrativa per la violazione di una norma autoregolamentare sul product placement, dovendo limitarsi a sanzionare solo la violazione dei principi contenuti nel decreto legislativo (in forza dell’articolo 51 del Testo Unico della radiotelevisione).
 
Inoltre appare messo in discussione il principio, contenuto nella legge istitutiva dell’Autorità (art. 1, comma 6, lett. b, n. 5) della legge 249/97), in forza del quale è affidato all’Autorità stessa il compito di emanare i regolamenti attuativi delle disposizioni di legge in materia di pubblicità sotto qualsiasi forma e di televendite.
 
Questo in netta controtendenza col ruolo più pregnante che – come ho detto – la Direttiva assegna alle Autorità indipendenti degli Stati membri ed a quello che sta avvenendo negli altri Paesi europei[6].
 
Su questo tema, pertanto, il decreto legislativo avrebbe dovuto assegnare all’Autorità un ruolo adeguato nell’individuazione della disciplina di dettaglio, anche al fine di consentire l’espletamento delle conseguenti attività di vigilanza e sanzionatorie.
 
Più in generale, in ordine alla disciplina sulla pubblicità , definita agli articoli 10 (comunicazioni commerciali), 11 (interruzioni pubblicitarie) e 12 (limiti di affollamento) dello schema di decreto, si prende atto che il Governo, in assenza di specifici criteri direttivi nella legge delega, rifacendosi alla potestà riconosciuta dall’art. 3 della Direttiva agli Stati membri di adottare norme più particolareggiate o più rigorose, ha effettuato la scelta di mantenere sostanzialmente inalterato il quadro vigente per la televisione in chiaro e di prevedere tetti più restrittivi per la pubblicità sulle emittenti a pagamento.
 
Nel nostro ordinamento i tetti pubblicitari sono fissati dalla legge.
 
Peraltro, in coerenza con l’ordinamento comunitario, le norme primarie dettate dal legislatore devono essere integrate da una regolamentazione di dettaglio che secondo la legge n. 249/97 spetta a questa Autorità adottare. L’Autorità ha, infatti, un potere regolamentare in materia pubblicitaria che, come riconosciuto dal TAR del Lazio (sentenza n. 9731/2008), include “il compito di tradurre in disposizioni immediatamente operative i principi dettati dalla normativa primaria, per essa dovendosi ragionevolmente intendere non solo quella nazionale ma anche quella comunitaria alla quale ogni Stato membro è tenuto a dare attuazione”.
 
Si ritiene, pertanto, che tale potere regolamentare andrebbe utilmente richiamato in relazione all’attuazione delle norme di dettaglio relative alla pubblicità, sì da assicurare la conformazione tecnica dell’ordinamento interno all’ordinamento comunitario attraverso uno strumento flessibile, anche in relazione agli orientamenti interpretativi che andranno via via maturando in tema di pubblicità. Lo strumento regolatorio appare anche la modalità più adeguata per un fine tuning delle norme sull’affollamento pubblicitario alla luce dell’evoluzione del mercato.
 
Sarebbe anche opportuno che questa Autorità fosse investita di un compito di verifica, e di conseguente segnalazione al Governo, degli effetti derivanti sul complessivo mercato della raccolta pubblicitaria dalle misure previste dallo schema di decreto[7].
 
In materia di produzione audiovisiva europea si riscontra una positiva semplificazione del regime di norme minime applicabili per promuovere la produzione audiovisiva europea, la produzione indipendente e la relativa distribuzione della stessa.
 
Tuttavia la disciplina di dettaglio viene inopinatamente demandata al Ministero per quanto riguarda i servizi di media audiovisivi lineari (art. 16, comma 3), restando all’Autorità solo per quanto riguarda i servizi di media audiovisivi su richiesta (art. 16, commi 4 e 6). Ne deriva un disallineamento suscettibile di dar luogo a disomogeneità nelle modalità applicative della normativa in materia di quote europee di cui all’art 16.
 
Va ricordato che la regolamentazione di dettaglio in tale materia è stata esercitata dall’Autorità (mediante la deliberazione 9/99) fin dal recepimento della Direttiva 97/36/CE, di modifica della Direttiva 89/552/CEE mediante la legge 122 del 1998. Tale competenza è stata altresì confermata dall’articolo 44 del vigente Testo Unico, come modificato dalla legge finanziaria 2008 e dalla legge n. 31 del 2008 (c.d. legge “mille proroghe”).
 
Si noti, inoltre, che la competenza dell’Autorità in materia comprende la vigilanza sull’osservanza di tali obblighi, esercitata anche attraverso la trasmissione di una relazione, con cadenza biennale, alla Commissione europea, nonché la potestà sanzionatoria e quella di rilasciare le apposite deroghe agli obblighi in materia di quote, sulla base dei regolamenti dalla stessa adottati.
 
In tale quadro appare distonico lo spostamento di competenze in materia di quote di investimento in opere europee realizzate da produttori indipendenti, in contrasto col rafforzamento del ruolo delle Autorità indipendenti previsto dalla Direttiva, e anche con l’esigenza di assicurare omogeneità tra i compiti di regolazione , di vigilanza e sanzionatori dell’Autorità in tale materia.
 
In materia di produzione audiovisiva europea emergono ulteriori elementi meritevoli di riflessione.
 
In primis la soppressione dell’art. 6, e la sostituzione integrale dell’art. 44 del Testo unico comporta l’esclusione dei programmi trasmessi in pay-per-view dagli obblighi di promozione della produzione audiovisiva europea.
 
Secondo la giurisprudenza comunitaria[8], i programmi trasmessi in pay-per-view sono soggetti all’applicazione degli artt. 4 e 5 della Direttiva, indipendentemente dai regimi giuridici nazionali previsti in materia di titoli abilitativi. Correttamente l’attuale quadro normativo include esplicitamente tali programmi nell’ambito di applicazione della promozione audiovisiva europea (art. 6 e 44 del vigente Testo unico). E la regolamentazione[9] adottata dall’Autorità ne tiene espressamente conto.
 
L’art. 16 dello schema, interamente sostitutivo dell’art. 44 del Testo Unico, non menziona invece in modo esplicito i programmi trasmessi in pay-per-view. La definizione di tali programmi risiede nell’enunciazione di cui all’art. 4, comma 1, lett. g), dello schema, laddove viene definito il “palinsesto televisivo” e il “palinsesto radiofonico” come l’insieme, predisposto da un’emittente televisiva o radiofonica, analogica o digitale, di una serie di programmi unificati da un medesimo marchio editoriale e destinato alla fruizione del pubblico, diverso dalla trasmissione differita dello stesso palinsesto, dalle trasmissioni meramente ripetitive, ovvero dalla prestazione, a pagamento, di singoli programmi, o pacchetti di programmi, audiovisivi lineari, con possibilità di acquisto da parte dell’utente anche nei momenti immediatamente antecedenti all’inizio della trasmissione del singolo programma, o del primo programma, nel caso si tratti di un pacchetto di programmi.
 
L’attuale formulazione esclude i programmi trasmessi in pay-per-view dalla definizione di “palinsesto televisivo”. Di conseguenza, in mancanza di riferimento esplicito nell’art. 16, le emittenti televisive che trasmettono programmi in pay-per-view risulterebbero non assoggettate (forse per svista) alla disciplina relativa alla promozione delle opere europee e indipendenti, come invece la Direttiva espressamente richiede.
 
Una seconda considerazione deve essere fatta in materia di produzione audiovisiva indipendente.
 
L’art 44, comma 3, nella formulazione attualmente vigente, prevede l’attribuzione di quote dei diritti residuali ai produttori indipendenti[10].
 
L’art 16 dello schema sopprime tale disposizione, pur in mancanza di elementi innovativi da parte della Direttiva che possano giustificare un intervento di tal tipo.
 
Difatti la Direttiva conserva nel suo preambolo il “Considerando” della Direttiva 97/36/CE relativo all’individuazione dei produttori indipendenti, in forza del quale gli Stati membri sono invitati a tenere debitamente conto di criteri quali la proprietà della società di produzione, il numero dei programmi forniti alla stessa emittente e la proprietà dei diritti derivati .
 
A livello comunitario i produttori indipendenti godono generalmente di agevolazioni derivanti dall’applicazione della Direttiva Tv senza Frontiere, volte a dar loro la gestione dei “diritti secondari”. L’effetto di tali politiche nel corso dell’ultimo decennio è stato un incremento dei profitti e un aumento delle esportazioni di prodotto audiovisivo. La redditività dei produttori indipendenti è cresciuta dall’1,8% fino a oltre il 6%[11], proprio in virtù della gestione dei diritti secondari. All’interno di questo dato, le aziende italiane di produzione televisiva, in controtendenza, producono un fatturato medio più basso di quello dei maggiori Paesi della UE (10,3%, rispetto al 15,3% della Francia, al 18% della Germania e all’11% dell’U.K.).
 
In Italia, infatti, il finanziamento della produzione si appoggia quasi esclusivamente sull’apporto dei broadcasters che, pur essendo cresciuto da 200 a 500 milioni di euro tra il 1998 e il 2006, non appare sufficiente a dare stabilità e crescita all’industria.
 
Il legislatore nazionale, già all’art. 2, comma 4, della legge n. 122/98, successivamente confluito nel Testo unico, aveva previsto l’attribuzione ai produttori di quote di diritti residuali, allo scopo di sostenere le produzioni indipendenti , demandando all’Autorità di settore il compito di declinarne la disciplina attuativa. Cosa che l’Autorità ha fatto una prima volta con il regolamento adottato nel 2003[12], revisionato poi nel 2009[13] alla luce del mutamento del quadro tecnologico e di mercato.
 
Tra l’altro, la regolamentazione adottata dall’Autorità in esito a una lunga fase di consultazione pubblica alla quale hanno partecipato tutti i soggetti interessati, è pervenuta –come viene riconosciuto- ad un equo bilanciamento tra gli interessi in gioco (broadcasters e produttori) , prevedendo l’attribuzione di quote di diritti residuali in misura proporzionale alla partecipazione del produttore alle fasi di sviluppo e realizzazione dell’opera, e demandando, sull’esempio inglese (Code of Practice), ai codici di condotta adottati da ciascuna emittente televisiva l’individuazione delle modalità della negoziazione sui diritti con i produttori, sulla base dei principi contenuti nel regolamento.
 
Alla luce di ciò, l’Autorità segnala l’opportunità del mantenimento del regime regolamentare attualmente vigente, che verrebbe meno se il Testo Unico della radiotelevisione non contenesse una esplicita previsione sui diritti residuali dei produttori indipendenti.
 
La legge –semmai – potrebbe limitarsi ad indicare i criteri direttivi in materia di diritti soggettivi che l’Autorità dovrebbe seguire.
 
Per altro verso non sembrano trovare giustificazione né la riduzione della quota di investimenti in produzioni indipendenti stabilita in capo alla RAI (dal 15 al 10 per cento), né la sostanziale penalizzazione del cinema italiano, per il quale non è più prevista una sottoquota di garanzia.
 
Sempre in tema di competenze dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, si sottolinea come il quadro normativo comune istituito dalla Direttiva per i tutti i servizi di media audiovisivi, su qualsiasi piattaforma trasmissiva diffusi, induca a riflettere –come preannunciavo- se mantenere o meno inalterato l’attuale sistema amministrativo di rilascio delle autorizzazioni a trasmettere, che vede le autorizzazioni alla diffusione di contenuti radiotelevisivi via satellite rilasciate da questa Autorità e le autorizzazioni per la diffusione di contenuti radiotelevisivi sul digitale terrestre e via cavo rilasciate dal Ministero dello sviluppo economico.
 
Tanto più che la competenza a regolamentare la disciplina del rilascio delle autorizzazioni , sia per quanto riguarda il satellite, sia per quanto riguarda il digitale terrestre e il cavo, rimane necessariamente attribuita in toto a questa Autorità, la quale, secondo l’articolo 18, comma 2, dello schema di decreto, dovrà adeguare i propri regolamenti alla nuova disciplina introdotta dal decreto stesso in recepimento della Direttiva.
 
Trattandosi di attività tecnica di rilevante impatto sul pluralismo e che non presuppone alcun margine di discrezionalità amministrativa, sottopongo pertanto alla vostra valutazione se non sia più appropriato, ed in linea con l’acquis comunitario, che tutti i titoli abilitativi a diffondere contenuti radiotelevisivi sulle diverse piattaforme vengano rilasciati dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni[14].
 
Una semplificazione amministrativa a tal riguardo renderebbe più spediti i procedimenti e sarebbe anche fonte di efficienza e risparmio per la pubblica amministrazione.
 
Alcune osservazioni in merito alle definizioni contenute nell’articolo 4 dello schema di decreto.
 
Circa le definizioni di “programma”[15], di “palinsesto televisivo e palinsesto radiofonico”[16] e di “responsabilità editoriale”[17], si ritiene opportuno segnalare che la novità introdotta dallo schema in esame di due definizioni equivalenti (programma e palinsesto televisivo) potrebbe comportare difficoltà’ interpretative nell’applicazione della disciplina del Testo Unico. Al di là della seria confusione terminologica che può logicamente discendere dall’attribuzione di due significati distinti al medesimo termine (programma) all’interno dello schema di decreto[18], l’adozione di una nozione di “programma/palinsesto”[19] in parte difforme da quella comunitaria rischia di creare condizioni di incertezza giuridica quanto al campo di applicazione, al contenuto e alle concrete modalità di recepimento a livello nazionale delle norme della Direttiva (che si fondono proprio sulla nozione di “programma”, ed in particolare di quelle di cui al Capo II bis (che contiene le disposizioni applicabili a tutti i servizi media audiovisivi) ed al Capo IV (che contiene disposizioni in materia di pubblicità applicabili alle sole trasmissioni lineari), quali:
 
– la sponsorizzazione dei programmi [(art. 3 septies)];
 
– l’inserimento di prodotti all’interno di programmi [(art. 3octies)];
 
– la separazione della pubblicità dal resto dei programmi [( art. 10)];
 
– l’integrità dei programmi in caso di interruzioni pubblicitarie [(art. 11)];
 
– l’autopromozione relativa ai propri programmi [(art. 18)];
 
– la tutela dei minori;
 
– il diritto di rettifica.
 
Per altro verso la confusione terminologica potrebbe riflettersi sull’applicazione delle norme antitrust di cui all’art. 43 del Testo Unico, norme sostanzialmente non modificabili perché estranee alla materia del recepimento della Direttiva.
 
Sarebbe, pertanto, opportuna un’attenta riflessione sulle ricadute di tali definizioni in termini di applicazione delle norme surriferite. Esiste, infatti, il concreto rischio di produrre effetti d’incerta applicazione dell’intero corpus di regole comunitarie per il settore televisivo relative alle materie suddette.
 
La definizione di pubblicità come ““ogni forma di messaggio televisivo trasmesso dietro pagamento o altro compenso, ovvero a fini di autopromozione, da un’impresa pubblica o privata o da una persona fisica nell’ambito di un’attività commerciale, industriale, artigianale o di una libera professione, allo scopo di promuovere la fornitura, dietro pagamento, di beni o servizi, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni”, appare conforme alla correlativa definizione recata dalla Direttiva, che include l’autopromozione nella definizione di pubblicità (così superando anche sul piano formale le obiezioni sollevate dalla Commissione europea nelle procedure d’infrazione avviate nei confronti della Repubblica italiana n. 2007/2110, n. 2005/2240 e n. 2004/4303, che si sono chiuse con un’archiviazione anche grazie alle modifiche regolamentari medio tempore apportate dall’Autorità).
 
Suscita, quindi, perplessità la conservazione nello schema di una definizione autonoma di autopromozione – “gli annunci dell’emittente, anche analogica, relativi ai propri programmi e ai prodotti collaterali da questi direttamente derivati” – che potrebbe riaprire il contenzioso con la Commissione europea, in quanto l’autopromozione è esclusa solo dall’applicazione dei tetti pubblicitari, ma risponde a tutte le altre regole sulla pubblicità.
 
Al fine di fugare possibili incertezze, si riterrebbe quindi utile la soppressione dell’art. 4, comma 1, lett. nn), dello schema di decreto.
 
Sempre in materia di definizioni è opportuno mantenere l’attuale formulazione di “telepromozione” prevista dal vigente Testo Unico che trova corrispondenza nella Comunicazione interpretativa relativa a taluni aspetti delle disposizioni della Direttiva Televisione senza frontiere riguardanti la pubblicità televisiva adottata dalla Commissione Europea nel 2004.
 
Altre considerazioni
 
L’art. 17, lett. cc), dello schema di decreto introduce la necessità di un’apposita autorizzazione per la “diffusione continua in diretta o “live streaming”, e su internet o “web casting”.
 
Quello di Internet è un problema tanto effettivo quanto di improbo approccio.
 
Internet è una rete decentrata, partecipativa e cooperativa, aperta al nuovo.
 
E’ vero che, se con Internet il pianeta è diventato un villaggio globale, ancor più che con la TV, i rischi sono proporzionali.
 
Ma con Internet si pongono simultaneamente quattro problemi difficilmente conciliabili tra di loro: l’apertura, la tutela della privacy, la tutela del diritto d’autore e la sicurezza. Senza l’apertura non avremmo probabilmente saputo nulla di vicende che avvengono in varie parti del mondo sotto regimi autoritari. Riguardo alla privacy basta ricordare l’immissione in rete di foto o video non destinati alla circolazione (ad esempio, quelli fatti da un fidanzato o da un amante durante un rapporto intimo), nonché il problema immenso dei contatti via rete da parte dei pedofili. Quanto alla sicurezza sono note le intromissioni di hackers nei sistemi informativi e di comunicazione della NATO e del Pentagono. E c’è il problema dell’utilizzazione dei siti per attività criminose, per immagini pornografiche, o per l’incitazione alla violenza. Circa il diritto d’autore si verifica questo paradosso: proprio nel momento in cui, tramite la possibilità per chiunque d’immettere in rete propri prodotti, si esalta la creatività, si vanifica la tutela del diritto d’autore (e quindi la remunerazione dei prodotti dell’ingegno), in quanto l’abuso di scaricare da Internet prodotti audio, audiovisivo, letterari è difficilmente reprimibile.
 
Nell’Europarlamento ha subìto una battuta d’arresto il pacchetto TLC proposto dal Consiglio dell’Unione europea che prevedeva che venisse staccato l’accesso a Internet a chi fosse stato colto a scaricare illegalmente (e quindi gratis) una canzone, un film, un video, ecc.. In base alla soluzione di compromesso raggiunta[20], tale misura potrà essere assunta dall’Autorità competente nel rispetto dei diritti fondamentali della persona e del giusto procedimento, garantendo un efficace sindacato giurisdizionale.
 
Sganciandosi da tale iter, la Francia aveva ritenuto di poter procedere unilateralmente e risolutamente su un percorso operativo. Il Parlamento francese ha approvato a maggio dell’anno scorso una legge (legge Hadopi) contro la pirateria on-line che prevedeva un crescendo di sanzioni a danno di chi scarica illegalmente da Internet opere audiovisive coperte da copyright. Senonché il Consiglio costituzionale francese ha dichiarato l’illegittimità delle disposizioni della legge Hadopi che prevedevano l’intervento diretto dell’autorità amministrativa[21]. La legge conseguentemente emendata (Hadopi II) è stata successivamente approvata dal Parlamento francese.
 
Anche la Gran Bretagna è tentata di adottare la linea dura sulla pirateria informatica, con un’iniziativa legislativa che però fin adesso non ha avuto un seguito.
 
Solo i Paesi a regime autoritario hanno attuato interventi limitativi sulla rete[22].
 
La norma dell’art. 17, lett. cc, dello schema di decreto pone quindi il nostro Paese in una situazione unica nel mondo occidentale. Nello stesso tempo la misura appare di dubbia efficacia, dato che i siti Internet si rigenerano come le teste dell’Idra.
 
Vengono in rilievo, comunque, alcune considerazioni di quadro.
 
Secondo il Considerando 18 della Direttiva, la definizione di servizi di media audiovisivi dovrebbe escludere tutti i servizi la cui finalità principale non è la fornitura di programmi, vale a dire i servizi nei quali il contenuto audiovisivo è meramente incidentale e non ne costituisce la finalità principale. È il caso, ad esempio, dei siti Internet che contengono elementi audiovisivi a titolo puramente accessorio, quali elementi grafici animati, brevi spot pubblicitari o informazioni relative a un prodotto o a un servizio non audiovisivo. Per tali motivi, appaiono ugualmente esclusi dall’ambito di applicazione della Direttiva i motori di ricerca.
 
La definizione di “servizio di media audiovisivo” recata dall’articolo 4, lett a) dello schema di decreto, che include “i servizi, anche veicolati mediante siti Internet, che comportano la fornitura o la messa a disposizione di immagini animate, sonore o non, nei quali il contenuto audiovisivo non abbia carattere meramente accidentale”, dovrebbe quindi essere meglio coordinata con il Considerando che ho appena citato, per evitare confusioni su un tema così delicato come quello di Internet.
 
C’è il rischio, infatti, di un’estensione degli obblighi contenuti nello schema di decreto a tutti i servizi che forniscono immagini tramite Internet, con conseguente impatto su mercati emergenti quali la IPTV e la Web TV. Cosa che risulterebbe anche in potenziale contrasto con la nuova disciplina comunitaria sulle comunicazioni elettroniche che richiede l’adozione di un approccio estremamente cauto nei confronti dei mercati emergenti, prediligendo un’assenza di regolamentazione piuttosto che l’imposizione di obblighi che ne pregiudichino lo sviluppo, i quali, tra l’altro, non possono essere imposti se non a seguito di un’approfondita analisi, svolta dall’Autorità, sulle caratteristiche dei mercati.
 
I problemi cui ho accennato concernenti il diritto d’autore fanno comprendere perché lo schema di decreto se ne occupi.
 
Al riguardo lo schema investe direttamente della sua tutela questa Autorità.
 
L’art. 6, infatti, rubricato appunto “Protezione del diritto d’autore”, al comma 3 attribuisce ad essa la competenza ad “emana(re) le disposizioni regolamentari necessarie per rendere effettiva l’osservanza dei limiti e dei divieti di cui al presente articolo”.
 
Questa Autorità risulta ad oggi già normativamente investita (ai sensi dell’art.182 bis della legge n. 633/41 come emendata dalla legge 248/00) di compiti di vigilanza (in coordinamento con la SIAE, ma agendo ciascuna “nell’ambito delle rispettive competenze”), al fine di “prevenire ed accertare violazioni delle prescrizioni in materia di diritto d’autore”[23].
 
L’Autorità ha quindi già oggi competenza in ordine alle attività di vigilanza sulla tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica, sia in quanto unico ente super partes titolare della vigilanza e della regolamentazione nel settore delle comunicazioni, sia perché proprio in virtù di tale prerogativa è stata investita dalla legge n. 248/2000 delle attività di prevenzione e accertamento delle violazioni del diritto d’autore.
 
Tanto premesso, l’Autorità apprezza la scelta del Governo di rafforzare il suo ruolo di organo istituzionalmente deputato alla tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica.
 
Tuttavia si ritiene che la materia del diritto d’autore debba essere oggetto di un’autonoma riflessione legislativa a tutto campo, trattandosi di un tema estremamente complesso, che coinvolge, tra l’altro -come prima accennavo-, direttive diverse da quella oggetto del presente recepimento.
 
In particolare, vengono in rilievo in tale materia, così come del resto prevede lo stesso articolo 6 dello schema di decreto, la Direttiva 20/2001/CE sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore[24] e la Direttiva 2004/48/CE sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale[25], nonché la citata recentissima Direttiva 2009/140/CE in materia di accesso alla rete.
 
L’approccio proposto nel decreto si basa sulla legge n. 633 del 1941 ed appare di difficile applicazione nel contesto dell’evoluzione tecnologica e del mercato dei contenuti digitali. Ora, affidare all’Autorità compiti di vigilanza su un settore così vasto, come quello di Internet, senza prevedere strumenti adeguati e moderni, rischia di rendere inapplicabile la norma e frustrante il perseguimento delle sue violazioni.
 
In conclusione, da un lato non si può tacere l’esigenza di un approccio più ampio a tale complessa materia, che tuteli cioè il diritto d’autore in tutte le sue forme, e dall’altro lato occorre valutare con attenzione la sede legislativa propria.
 
È opportuna, dunque, una riflessione complessiva sul fenomeno di Internet, da compiere anche alla luce del prossimo recepimento del nuovo pacchetto di direttive europee sulle reti di comunicazione elettronica entrato in vigore il 19 dicembre 2009 e dell’individuazione degli strumenti più appropriati e proporzionati per proteggere i contenuti protetti da copyright veicolati attraverso Internet.
 
Internet è planetario.
 
Data la sua pervasività – alla quale, come dicevo, solo Paesi autoritari riescono a frapporre barriere – l’approccio al problema dovrebbe essere transnazionale.
 
Sarebbe opportuno un ripensamento più realistico da parte dell’Unione europea. Ma addirittura il problema è di tale portata che non è esagerato pensare che se ne dovrebbe occupare l’ONU.
 
Con l’occasione si segnala un’altra iniziativa del Governo, nell’ambito dei settori di competenza dell’Autorità, in parte legata alla tematica del diritto d’autore, e cioè il decreto del Ministro per i beni e le attività culturali del 30 dicembre 2009 recante “Determinazione del compenso per la riproduzione privata di fonogrammi e di videogrammi ai sensi dell’art. 71 septies della legge 22 aprile 1941 n. 633”.
 
Al riguardo si osserva che la diffusione dei collegamenti a larga banda dipende da più fattori industriali e legislativi, come sottolineato anche dall’Autorità nella propria relazione annuale. In particolare, la penetrazione di sistemi informatici presso le utenze residenziali e business appare determinante per la domanda stessa di servizi a larga banda. Inoltre di recente si è assistito ad un forte impulso della diffusione dei servizi dati in mobilità in banda larga.
 
Pertanto, l’imposizione di un onere economico aggiuntivo legato al possesso di tali dispositivi comporterebbe un freno alla diffusione degli apparati stessi e in conseguenza è in controtendenza rispetto all’obiettivo di sviluppo della larga banda perseguito dall’Italia; obiettivo ormai largamente condiviso.
 
In tale ambito, di cui non si sottace l’importanza, l’Autorità ritiene necessario un intervento armonizzato con analoghe iniziative europee, anche in considerazione della dimensione transnazionale di tale industria.
 
Altrimenti si creerebbero condizioni di disfavore per le imprese operanti in Italia.
 
Segnalo infine l’opportunità di prevedere nel decreto legislativo in esame una norma di rango primario relativa all’ordinamento automatico dei programmi (il cosiddetto LCN). L’ordinamento automatico è direttamente legato alla possibilità dei cittadini (più volte richiamata dalla Direttiva) di fruire dei contenuti innovativi della programmazione digitale. La norma potrebbe affidare all’Autorità il compito di predisporre un piano per la numerazione automatica dei programmi, in particolare per il digitale terrestre. Com’è noto l’anarchia in tema di numerazione automatica sta provocando disagi ai cittadini nelle zone dov’è avvenuto il passaggio al digitale. L’Autorità sta intervenendo ma manca un consolidamento del nostro potere d’intervento nella normativa primaria.
 
Corrado Calabrò
 
[1] In passato, ai fini dell’adozione dell’attuale Testo Unico della radiotelevisione (decreto legislativo 31.7.2005 n. 177), questa Autorità era stata invece intrinsecamente coinvolta, avendo il Ministero delle Comunicazioni raggiunto con essa una previa intesa ai sensi dell’art. 16 della legge 112/2004.
 
[2] Adottata nel 1989 ed emendata una prima volta nel 1997.
 
[3] Art. 23-ter della Direttiva: “Gli Stati membri adottano le misure necessarie per scambiare tra loro e comunicare alla Commissione le informazioni necessarie ai fini dell’applicazione delle disposizioni della presente direttiva, in particolare degli articoli 2, 2 bis e 3, segnatamente mediante i loro competenti organismi di regolamentazione indipendenti.”
 
[4] Considerando 65 della Direttiva: “Conformemente agli obblighi imposti dal trattato agli Stati membri, questi sono responsabili dell’attuazione e dell’applicazione efficace della presente direttiva. Essi sono liberi di scegliere gli strumenti appropriati in funzione delle loro rispettive tradizioni giuridiche e delle strutture istituite, segnatamente la forma dei loro competenti organismi di regolamentazione indipendenti, per poter svolgere il proprio lavoro, nell’attuazione della presente direttiva, in modo imparziale e trasparente. Più precisamente, gli strumenti scelti dagli Stati membri dovrebbero contribuire alla promozione del pluralismo dei mezzi di comunicazione.”
 
[5] Considerando 66 della Direttiva: “Per garantire la corretta applicazione della presente direttiva è necessaria una stretta collaborazione tra i competenti organismi di regolamentazione degli Stati membri e la Commissione. Del pari, una stretta collaborazione tra gli Stati membri e tra gli organismi di regolamentazione degli Stati membri è particolarmente importante per l’impatto che le emittenti televisive stabilite in uno Stato membro potrebbero avere su un altro Stato membro. Qualora nel diritto nazionale siano previste procedure di autorizzazione e sia interessato più di uno Stato membro, è auspicabile che tra i rispettivi organismi abbiano luogo contatti prima del rilascio di tali autorizzazioni. La collaborazione in questione dovrebbe riguardare tutti i settori coordinati dalla direttiva 89/552/CEE, come modificata dalla presente direttiva, in particolare dagli articoli 2, 2 bis e 3.”
 
[6] Basti citare il caso del Belgio, dove il CSA della Comunità francese ha approvato il 17 dicembre 2009, sulla base del decreto di recepimento della direttiva 2007/65/CE, una raccomandazione relativa al product placement ch’è il frutto di una collaborazione tra il Regolatore e gli editori.
 
[7] Un’ipotesi, questa, non sconosciuta all’ordinamento, se solo si pensi che l’art. 8, commi 16 e 17, della legge n. 223 del 1990 (cd legge Mammì) aveva previsto per la fase successiva alla prima applicazione (che doveva durare fino al 1992), che i tetti pubblicitari della Rai ( più bassi rispetto ai concessionari privati) venissero fissati annualmente, sentito il Garante per la radiodiffusione e l’editoria.
 
Comma 16. “Entro il 30 giugno di ciascun anno il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, di concerto con il Ministro delle partecipazioni statali e sentiti il Garante ed il Consiglio dei ministri, stabilisce il limite massimo degli introiti pubblicitari quale fonte accessoria di proventi che la concessionaria pubblica potrà conseguire nell’anno successivo. Tale limite viene fissato applicando, a quello stabilito per l’anno precedente, la variazione percentuale prevista per il gettito pubblicitario radiotelevisivo per l’anno in corso. Ove il gettito pubblicitario previsto si discosti da quello effettivo, il limite massimo degli introiti pubblicitari per l’anno successivo terrà conto dell’aumento o della diminuzione verificatisi”.
 
Comma 17. “Le disposizioni di cui ai commi 6 e 16 del presente articolo e la normativa di cui alla legge 14 aprile 1975, n. 103 articolo 15, hanno validità fino al 31 dicembre 1992. In tempo utile il Garante propone, nella relazione annuale di cui al comma 13 dell’articolo 6, in relazione alle nuove dimensioni comunitarie e all’andamento del mercato pubblicitario, le necessarie ed opportune modificazioni alla suddetta normativa. Il Governo provvede alle conseguenti iniziative legislative.”
 
L’iniziativa del Garante non ebbe però seguito e i tetti pubblicitari della Rai furono mantenuti nella misura del 4% settimanale e del 12% orario per effetto di successivi decreti-legge, della Convenzione Stato-Rai e, da ultimo, della legge 112/2004 e del Testo Unico della radiotelevisione.
 
[8] Sentenza del 2 giugno 2005, nella causa C-89/94, Mediakabel.
 
[9] Delibera n. 66/09/CONS del 13 febbraio 2009, recante “Regolamento in materia di obblighi di programmazione ed investimento a favore di opere europee e di opere di produttori indipendenti adottato ai sensi degli articoli 6 e 44 del decreto legislativo 31 luglio 2007, n. 177”
 
[10] La previsione era originariamente contenuta nell’art. 2, comma 4, della legge n. 122/98.
 
[11] Fonte OBS per la Commissione europea.
 
[12] Delibera n. 185/03/CSP.
 
[13] Delibera n. 60/09/CSP.
 
[14] L’art. 18, comma 1, dello schema di decreto prevede sì l’allineamento alla nuova disciplina dei titoli abilitativi rilasciati in forza della precedente normativa, secondo criteri di semplificazione ed unificazione, ma, sulla base della bipartizione attuale, demanda tale allineamento al Ministero dello sviluppo economico e all’Autorità, ciascuno per la parte di rispettiva competenza.
 
[15] “una serie di immagini animate, sonore o non, che costituiscono un singolo elemento nell’ambito di un palinsesto o di un catalogo stabilito da un fornitore di servizi di media, la cui forma ed il cui contenuto sono comparabili alla forma ed al contenuto della radiodiffusione televisiva. Non si considerano programmi le trasmissioni meramente ripetitive o consistenti in immagini fisse.”
 
[16] “l’insieme, predisposto da un’emittente televisiva o radiofonica, analogica o digitale, di una serie di programmi unificati da un medesimo marchio editoriale e destinato alla fruizione del pubblico, diverso dalla trasmissione differita dello stesso palinsesto, dalle trasmissioni meramente ripetitive, ovvero dalla prestazione, a pagamento, di singoli programmi, o pacchetti di programmi, audiovisivi lineari, con possibilità di acquisto da parte dell’utente anche nei momenti immediatamente antecedenti all’inizio della trasmissione del singolo programma, o del primo programma, nel caso si tratti di un pacchetto di programmi”
 
[17] “l’esercizio di un controllo effettivo sia sulla selezione dei programmi, ivi inclusi i programmi-dati, sia sulla loro organizzazione in un palinsesto cronologico, nel caso delle radiodiffusioni televisive o radiofoniche, o in un catalogo, nel caso dei servizi di media audiovisivi a richiesta. All’interno del presente testo unico, l’espressione “programmi televisivi” deve intendersi equivalente a quella “palinsesti televisivi” di cui alla lettera g). Ai fini della presente nozione, per “controllo effettivo” si intende la possibilità di assumere decisioni circa l’inserimento o la rimozione di contenuti, la collocazione, le modalità di presentazione, l’attribuzione di codici o la definizione di altre modalità di reperimento da parte dell’utente nell’ambito di un palinsesto o catalogo”
 
[18] La nozione di “programma televisivo” all’interno dello schema di decreto è definita all’art. 4, comma 1, lett h, (“All’interno del presente Testo Unico, l’espressione programmi televisivi deve intendersi equivalente a quella di “palinsesti televisivi” di cui alla lettera g”), identificandola (“deve intendersi equivalente”) con quella di “palinsesto televisivo” di cui alla precedente lettera g) (“L’insieme predisposto da un’emittente televisiva, analogica o digitale, di una serie di programmi unificati da un medesimo marchio editoriale e destinato alla fruizione del pubblico, diverso dalla trasmissione differita dello stesso palinsesto, dalle trasmissioni meramente ripetitive, ovvero dalla prestazione, a pagamento, di singoli programmi, o pacchetti di programmi, audiovisivi lineari, con possibilità di acquisto da parte dell’utente anche nei momenti immediatamente antecedenti all’inizio della trasmissione del singolo programma, o del primo programma, nel caso si tratti di un pacchetto di programmi”.
 
[19] La nozione di “programma televisivo/palinsesto” di cui allo schema di decreto è peraltro ardua da ricondurre a quella di “programma” di cui all’art. 1, lett. b) della Direttiva, che intende il programma, invece, solo come un “singolo elemento nell’ambito di un palinsesto”: “Una serie di immagini animate, sonore o non, che costituiscono un singolo elemento nell’ambito di un palinsesto o di un catalogo stabilito da un fornitore di servizi di media la cui forma ed il cui contenuto sono comparabili alla forma ed al contenuto della radiodiffusione televisiva”).
 
Contemporaneamente, inoltre, nello schema, all’art. 4, comma 1, lett. e) figura anche un’altra definizione di programma, questa, però, più coerente con quella comunitaria: (Una serie di immagini animate, sonore o non, che costituiscono un singolo elemento nell’ambito di un palinsesto o di un catalogo stabilito da un fornitore di servizi di media, la cui forma ed il cui contenuto sono comparabili alla forma e al contenuto della radiodiffusione televisiva. Non si considerano programmi le trasmissioni meramente o consistenti in immagini fisse”).
 
[20] Art. 1, comma 3, lettera b), della Direttiva 2002/21/CE, come emendata dalla cd. Direttiva “better regulation” 2009/140/CE.
 
[21] Il che, ovviamente, non significa che venga meno l’illiceità del fatto di chi usa la rete per appropriarsi indebitamente di opere altrui o addirittura per farne indebito commercio. Ma il suo comportamento potrà essere perseguito solo dall’autorità giudiziaria.
 
[22] L’intervento più efficace e duraturo è stato quello attuato in Cina. In un primo tempo, d’intesa con Internet, il governo cinese ha imposto un filtro alle notizie che potevano pervenire in rete in quel Paese. Successivamente ha addirittura stabilito che ogni computer posseduto in Cina debba essere “schermato”. In questi giorni, poi, ha imposto limitazioni e condizionamenti a Google. Il che ha indotto Google a minacciare l’interruzione del servizio e ha provocato la reazione del Segretario di Stato USA, Hillary Clinton.
 
[23] Proprio in virtù di tale competenza, l’Autorità ha sottoscritto due accordi di collaborazione con la SIAE, in date 6 luglio e 10 maggio 2007, e svolto attività di vigilanza. Più di recente, l’Autorità ha appena concluso un’indagine conoscitiva sulle competente e sulle possibilità d’intervento in tema di violazioni del diritto d’autore on-line, i cui risultati saranno successivamente resi noti.
 
[24] Recepita dal decreto legislativo n. 68 del 2003.
 
[25] Recepita dal decreto legislativo 16 marzo 2006, n. 140.
 
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Camera dei deputati – IX Commissione Trasporti, Poste e Telecomunicazione (Presidente On. Mario Valducci) e VII Commissione cultura, scienza, istruzione (Presidente On. Valentina Aprea)
  
"Onorevoli Presidenti, Onorevoli Deputati, grazie per aver dato all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni l’opportunità di fornire il proprio contributo alla vostra riflessione sullo schema di decreto legislativo che dà attuazione alla Direttiva 2007/65/CE sui servizi di media audiovisivi[1].
 
La nuova Direttiva
 
Com’è noto, la Direttiva 2007/65/CE, “Servizi di media audiovisivi”, modifica la Direttiva Televisioni senza frontiere (TSF)[2], con lo scopo di istituire un quadro moderno, flessibile e semplificato per i contenuti audiovisivi, e di adeguarli allo sviluppo tecnologico e di mercato.
 
Posizione dell’AGCOM
 
Le considerazioni che esporrò si svilupperanno, per così dire, per linee interne; atterranno cioè alla rispondenza delle norme dello schema di decreto in esame agli indirizzi comunitari.
 
Fatta salva la competenza primaria del Parlamento a giudicare la conformità del decreto alla legge delega, obiettivo dell’Autorità è, infatti, di agevolare l’apprezzamento analitico della Commissione sulle condizioni alle quali v’è armonia tra il quadro normativo interno, inclusivo dell’impianto regolamentare di competenza dell’Autorità, e la cornice comunitaria, definita dagli obblighi di risultato posti con lo strumento della direttiva e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.
 
È questo un compito nel quale questa Autorità si esercita abitualmente in un continuo confronto con gli ambienti comunitari, che ha registrato nel tempo una continua evoluzione.
 
La Direttiva (Considerando 65[3] e Considerando 66[4]) afferma il principio che gli Stati membri dovrebbero affidare compiti di regolazione e autorizzazione a Autorità indipendenti. L’indipendenza dell’Autorità a cui vengono affidati i compiti di regolazione si pone infatti come un caposaldo della tutela del pluralismo e della concorrenza nell’ordinamento interno degli Stati membri.
 
Ebbene, come ho detto al Senato, lo schema di recepimento oggi all’esame del Parlamento, come espliciterò meglio in seguito, non appare corrispondere adeguatamente a queste indicazioni comunitarie.
 
Penso che l’interlocuzione tra il Parlamento e il Governo offrirà modo per una giusta collimazione. Pur con questa fiducia, non posso fare a meno di osservare che il recepimento della Direttiva poteva essere l’occasione per ridisegnare un quadro organico della materia televisiva: rilevo, purtroppo, che questa occasione rischia di essere persa perché lo schema di decreto accentua invece ancora di più la bipartizione delle competenze, mantenendo inoltre la materia delle autorizzazioni, con l’unica eccezione di quelle satellitari, sotto il controllo dell’Esecutivo.
 
Mentre in Francia e in UK il legislatore nazionale ha senza esitazioni di sorta affidato i compiti di attuazione della Direttiva alle rispettive Autorità indipendenti, nel caso italiano si assiste così ad una separazione di competenze tra Esecutivo e Autorità e, in alcuni casi, addirittura, ad una sottrazione di competenze (quote europee) che si disallinea dal quadro comunitario, insistendo in quell’infelice frammentazione di competenza tra Autorità ed Esecutivo fatta dalla legge n. 66 del 2001 che sottrasse all’Agcom la competenza in materia di rilascio dei titoli abilitativi.
 
Considerazioni
 
Ciò premesso, mi soffermerò, in primo luogo, su alcuni aspetti che coinvolgono competenze dirette dell’Autorità nella materia audiovisiva, passando poi ad esaminare alcuni profili definitori che possono avere una ricaduta sulle relative norme di merito, quali le definizioni di pubblicità, autopromozione, programma e palinsesto televisivo, ed alcuni aspetti più specificamente legati alla normativa applicabile agli obblighi di programmazione di opere europee.
 
In secondo luogo, rispetto ad alcuni temi non direttamente discendenti dalla Direttiva ma ugualmente toccati dallo schema di decreto, formulerò alcune notazioni in merito alle disposizioni in materia di diritto d’autore, sia sotto l’aspetto relativo alla nuova disciplina comunitaria in materia di comunicazioni elettroniche adottata il 19 dicembre 2009 che sotto quello inerente la diversa iniziativa governativa in materia di tassazione di alcune apparecchiature.
 
Competenze dell’Autorità in materia audiovisiva
 
Al comma 8 di tale articolo manca il riferimento alle emittenti di origine extracomunitaria riconducibili alla giurisdizione italiana ai sensi del citato art. 2, comma 4, limitandosi l’art. 3, comma 8, ad incidere sul diverso caso delle emittenti non riconducibili alla giurisdizione di alcuno Stato membro ma i cui contenuti siano ricevuti direttamente o indirettamente dal pubblico italiano.
 
Al fine di consentire all’Autorità di esercitare efficacemente i propri poteri, si suggerisce, pertanto, di aggiungere al primo rigo del citato comma 8, dopo le parole “servizi di media” le seguenti: “soggetti alla giurisdizione italiana ai sensi dell’art. 2, comma 4”.
 
In materia di tutela dei minori lo schema di decreto affida all’Autorità (art. 9, comma 5) il compito di adottare, con procedure di co-regolamentazione, la disciplina di dettaglio contenente l’indicazione degli accorgimenti tecnici idonei ad escludere che i minori vedano programmi classificabili a visione solo per adulti, o film, anche a pagamento, vietati ai minori di anni 18.
 
In considerazione delle attribuzioni dell’Autorità, suscita però forte perplessità la previsione dell’articolo 9, comma 2, che affida esclusivamente al Comitato di applicazione del Codice Media e Minori il compito di proporre criteri per il sistema di classificazione dei contenuti ad accesso condizionato che ciascun fornitore di servizi di media audiovisivi o di servizi ad accesso condizionato sarà tenuto ad adottare. Tali criteri, secondo la previsione del citato comma 2, vanno approvati con decreto ministeriale.
 
Stante il raccordo esistente, in base alla normativa vigente, tra i compiti del Comitato di applicazione del Codice Media e Minori e i compiti di vigilanza e sanzionatori in materia di tutela dei minori affidati all’Autorità, si ritiene che debba invece essere previsto un ruolo attivo dell’Autorità sui criteri di classificazione dei contenuti, così come previsto per il sistema di segnaletica che la Rai dovrà adottare in base alle linee guida sul contenuto degli obblighi di servizio pubblico radiotelevisivo per il prossimo contratto di servizio con la Rai del triennio 2010-2012, nelle quali è stato previsto un sistema di segnaletica dei contenuti (programmi per tutti, sconsigliato ai minori di anni 12, sconsigliato ai minori di anni 16) che la Rai dovrà adottare previa consultazione con l’Autorità e il Comitato Media e Minori.
 
In materia di product placement (art. 15) lo schema di decreto, sulla base dei principi e criteri direttivi della legge delega, ha stabilito i requisiti necessari affinchè sia consentito l’inserimento di prodotti in determinati programmi (opere cinematografiche, film e serie televisive, programmi di intrattenimento leggero, con esclusione di programmi per bambini), demandando la disciplina applicativa dei principi ivi enunciati a procedure di auto-regolamentazione da parte dei produttori, delle emittenti, delle concessionarie di pubblicità e di altri soggetti interessati e prevedendo che “le procedure di autoregolamentazione” siano semplicemente comunicate all’Autorità (comma 5).
 
La scelta effettuata a favore della (sola) autoregolamentazione su una materia così nuova e di sicuro impatto sui consumatori, non appare in linea con il pertinente quadro giuridico comunitario, né con quello nazionale attualmente in vigore in materia di pubblicità.
 
In primis, l’Autorità non avrebbe alcun potere di irrogare una sanzione amministrativa per la violazione di una norma autoregolamentare sul product placement, dovendo limitarsi a sanzionare solo la violazione dei principi contenuti nel decreto legislativo (in forza dell’articolo 51 del Testo Unico della radiotelevisione).
 
Inoltre appare messo in discussione il principio, contenuto nella legge istitutiva dell’Autorità (art. 1, comma 6, lett. b, n. 5) della legge 249/97), in forza del quale è affidato all’Autorità stessa il compito di emanare i regolamenti attuativi delle disposizioni di legge in materia di pubblicità sotto qualsiasi forma e di televendite.
 
Questo in netta controtendenza col ruolo più pregnante che – come ho detto – la Direttiva assegna alle Autorità indipendenti degli Stati membri ed a quello che sta avvenendo negli altri Paesi europei[5].
 
Su questo tema, pertanto, il decreto legislativo avrebbe dovuto assegnare all’Autorità un ruolo adeguato nell’individuazione della disciplina di dettaglio, anche al fine di consentire l’espletamento delle conseguenti attività di vigilanza e sanzionatorie.
 
Più in generale, in ordine alla disciplina sulla pubblicità , definita agli articoli 10 (comunicazioni commerciali), 11 (interruzioni pubblicitarie) e 12 (limiti di affollamento) dello schema di decreto, si prende atto che il Governo, in assenza di specifici criteri direttivi nella legge delega, rifacendosi alla potestà riconosciuta dall’art. 3 della Direttiva agli Stati membri di adottare norme più particolareggiate o più rigorose, ha effettuato la scelta di mantenere sostanzialmente inalterato il quadro vigente per la televisione in chiaro e di prevedere tetti più restrittivi per la pubblicità sulle emittenti a pagamento.
 
Nel nostro ordinamento i tetti pubblicitari sono fissati dalla legge.
 
Peraltro, in coerenza con l’ordinamento comunitario, le norme primarie dettate dal legislatore devono essere integrate da una regolamentazione di dettaglio che secondo la legge n. 249/97 spetta a questa Autorità adottare. L’Autorità ha, infatti, un potere regolamentare in materia pubblicitaria che, come riconosciuto dal TAR del Lazio (sentenza n. 9731/2008), include “il compito di tradurre in disposizioni immediatamente operative i principi dettati dalla normativa primaria, per essa dovendosi ragionevolmente intendere non solo quella nazionale ma anche quella comunitaria alla quale ogni Stato membro è tenuto a dare attuazione”.
 
Si ritiene, pertanto, che tale potere regolamentare andrebbe utilmente richiamato in relazione all’attuazione delle norme di dettaglio relative alla pubblicità, sì da assicurare la conformazione tecnica dell’ordinamento interno all’ordinamento comunitario attraverso uno strumento flessibile, anche in relazione agli orientamenti interpretativi che andranno via via maturando in tema di pubblicità. Lo strumento regolatorio appare anche la modalità più adeguata per un fine tuning delle norme sull’affollamento pubblicitario alla luce dell’evoluzione del mercato.
 
Sarebbe anche opportuno che questa Autorità fosse investita di un compito di verifica, e di conseguente segnalazione al Governo, degli effetti derivanti sul complessivo mercato della raccolta pubblicitaria dalle misure previste dallo schema di decreto[6].
 
In materia di produzione audiovisiva europea si riscontra una positiva semplificazione del regime di norme minime applicabili per promuovere la produzione audiovisiva europea, la produzione indipendente e la relativa distribuzione della stessa.
 
Tuttavia la disciplina di dettaglio viene demandata al Ministero per quanto riguarda i servizi di media audiovisivi lineari (art. 16, comma 3), restando all’Autorità solo per quanto riguarda i servizi di media audiovisivi su richiesta (art. 16, commi 4 e 6). Ne deriva un disallineamento suscettibile di dar luogo a disomogeneità nelle modalità applicative della normativa in materia di quote europee di cui all’art 16.
 
Va ricordato che la regolamentazione di dettaglio in tale materia è stata esercitata dall’Autorità (mediante la deliberazione 9/99) fin dal recepimento della Direttiva 97/36/CE, di modifica della Direttiva 89/552/CEE mediante la legge 122 del 1998. Tale competenza è stata altresì confermata dall’articolo 44 del vigente Testo Unico, come modificato dalla legge finanziaria 2008 e dalla legge n. 31 del 2008 (c.d. legge “mille proroghe”).
 
Si noti, inoltre, che la competenza dell’Autorità in materia comprende la vigilanza sull’osservanza di tali obblighi, esercitata anche attraverso la trasmissione di una relazione, con cadenza biennale, alla Commissione europea.
 
In tale quadro appare distonico lo spostamento di competenze in materia di quote di investimento in opere europee realizzate da produttori indipendenti, in contrasto col rafforzamento del ruolo delle Autorità indipendenti previsto dalla Direttiva, e anche con l’esigenza di assicurare omogeneità tra i compiti di regolazione , di vigilanza e sanzionatori dell’Autorità in tale materia.
 
In materia di produzione audiovisiva europea emergono ulteriori elementi meritevoli di riflessione.
 
Secondo la giurisprudenza comunitaria[7], i programmi trasmessi in pay-per-view sono soggetti all’applicazione degli artt. 4 e 5 della Direttiva, indipendentemente dai regimi giuridici nazionali previsti in materia di titoli abilitativi.
 
L’art. 16 dello schema, interamente sostitutivo dell’art. 44 del Testo Unico, non menziona invece più in modo esplicito i programmi trasmessi in pay-per-view. La definizione di tali programmi risiede nell’enunciazione di cui all’art. 4, comma 1, lett. g), dello schema, laddove viene definito il “palinsesto televisivo” e il “palinsesto radiofonico” come l’insieme, predisposto da un’emittente televisiva o radiofonica, analogica o digitale, di una serie di programmi unificati da un medesimo marchio editoriale e destinato alla fruizione del pubblico, diverso dalla trasmissione differita dello stesso palinsesto, dalle trasmissioni meramente ripetitive, ovvero dalla prestazione, a pagamento, di singoli programmi, o pacchetti di programmi, audiovisivi lineari, con possibilità di acquisto da parte dell’utente anche nei momenti immediatamente antecedenti all’inizio della trasmissione del singolo programma, o del primo programma, nel caso si tratti di un pacchetto di programmi.
 
L’attuale formulazione esclude i programmi trasmessi in pay-per-view dalla definizione di “palinsesto televisivo”. Di conseguenza, in mancanza di riferimento esplicito nell’art. 16, le emittenti televisive che trasmettono programmi in pay-per-view risulterebbero non assoggettate (forse per svista) alla disciplina relativa alla promozione delle opere europee e indipendenti, come invece la Direttiva espressamente richiede.
 
Una seconda considerazione deve essere fatta in materia di produzione audiovisiva indipendente.
 
L’art 44, comma 3, nella formulazione attualmente vigente, prevede l’attribuzione di quote dei diritti residuali ai produttori indipendenti[8].
 
L’art 16 dello schema sopprime tale disposizione, pur in mancanza di elementi innovativi da parte della Direttiva che possano giustificare un intervento di tal tipo[9].
 
A livello comunitario i produttori indipendenti godono generalmente di agevolazioni derivanti dall’applicazione della Direttiva Tv senza Frontiere, volte a dar loro la gestione dei “diritti secondari”. L’effetto di tali politiche nel corso dell’ultimo decennio è stato un incremento dei profitti e un aumento delle esportazioni di prodotto audiovisivo. La redditività dei produttori indipendenti è cresciuta dall’1,8% fino a oltre il 6%[10], proprio in virtù della gestione dei diritti secondari. All’interno di questo dato, le aziende italiane di produzione televisiva, in controtendenza, producono un fatturato medio più basso di quello dei maggiori Paesi della UE (10,3%, rispetto al 15,3% della Francia, al 18% della Germania e all’11% dell’U.K.).
 
Il legislatore nazionale, già all’art. 2, comma 4, della legge n. 122/98, successivamente confluito nel Testo unico, aveva previsto l’attribuzione ai produttori di quote di diritti residuali, allo scopo di sostenere le produzioni indipendenti , demandando all’Autorità di settore il compito di declinarne la disciplina attuativa. Cosa che l’Autorità ha fatto una prima volta con il regolamento adottato nel 2003[11], revisionato poi nel 2009[12] alla luce del mutamento del quadro tecnologico e di mercato.
 
Tra l’altro, la regolamentazione adottata dall’Autorità in esito a una lunga fase di consultazione pubblica alla quale hanno partecipato tutti i soggetti interessati, è pervenuta –come viene ampiamente riconosciuto- ad un equo bilanciamento tra gli interessi in gioco (broadcasters e produttori) , prevedendo l’attribuzione di quote di diritti residuali in misura proporzionale alla partecipazione del produttore alle fasi di sviluppo e realizzazione dell’opera, e demandando, sull’esempio inglese (Code of Practice), ai codici di condotta adottati da ciascuna emittente televisiva l’individuazione delle modalità della negoziazione sui diritti con i produttori, sulla base dei principi contenuti nel regolamento.
 
Alla luce di ciò, l’Autorità segnala l’opportunità del mantenimento del regime regolamentare attualmente vigente, che verrebbe meno se il Testo Unico della radiotelevisione non contenesse una esplicita previsione sui diritti residuali dei produttori indipendenti.
 
La legge –semmai – potrebbe limitarsi ad indicare i criteri direttivi in materia di diritti soggettivi che l’Autorità dovrebbe seguire.
 
Per altro verso non sembrano trovare giustificazione né la riduzione della quota di investimenti in produzioni indipendenti stabilita in capo alla RAI (dal 15 al 10 per cento), né la sostanziale penalizzazione del cinema italiano, per il quale non è più prevista una sottoquota di garanzia.
 
Sempre in tema di competenze dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, si sottolinea come il quadro normativo comune istituito dalla Direttiva per i tutti i servizi di media audiovisivi, su qualsiasi piattaforma trasmissiva diffusi, induca a riflettere –come preannunciavo- se mantenere o meno inalterato l’attuale sistema amministrativo di rilascio delle autorizzazioni a trasmettere, che vede le autorizzazioni alla diffusione di contenuti radiotelevisivi via satellite rilasciate da questa Autorità e le autorizzazione per la diffusione di contenuti radiotelevisivi sul digitale terrestre e via cavo rilasciate dal Ministero dello sviluppo economico.
 
Tanto più che la competenza a regolamentare la disciplina del rilascio delle autorizzazioni , sia per quanto riguarda il satellite, sia per quanto riguarda il digitale terrestre e il cavo, rimane necessariamente attribuita in toto a questa Autorità.
 
Trattandosi di attività tecnica di rilevante impatto sul pluralismo e che non presuppone alcun margine di discrezionalità amministrativa, sottopongo pertanto alla vostra valutazione se non sia più appropriato, ed in linea con l’acquis comunitario, che tutti i titoli abilitativi a diffondere contenuti radiotelevisivi sulle diverse piattaforme vengano rilasciati dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni[13].
 
Una semplificazione amministrativa a tal riguardo renderebbe più spediti i procedimenti e sarebbe anche fonte di efficienza e risparmio per la pubblica amministrazione.
 
Alcune osservazioni in merito alle definizioni contenute nell’articolo 4 dello schema di decreto.
 
Circa le definizioni di “programma”[14], di “palinsesto televisivo e palinsesto radiofonico”[15] e di “responsabilità editoriale”[16], si ritiene opportuno segnalare che la novità introdotta dallo schema in esame di due definizioni equivalenti (programma e palinsesto televisivo) potrebbe comportare difficoltà’ interpretative nell’applicazione della disciplina del Testo Unico. Al di là della seria confusione terminologica che può logicamente discendere dall’attribuzione di due significati distinti al medesimo termine (programma) all’interno dello schema di decreto[17], l’adozione di una nozione di “programma/palinsesto”[18] in parte difforme da quella comunitaria rischia di creare condizioni di incertezza giuridica quanto al campo di applicazione, al contenuto e alle concrete modalità di recepimento a livello nazionale delle norme della Direttiva (che si fondono proprio sulla nozione di “programma”, ed in particolare di quelle di cui al Capo II bis (che contiene le disposizioni applicabili a tutti i servizi media audiovisivi) ed al Capo IV (che contiene disposizioni in materia di pubblicità applicabili alle sole trasmissioni lineari), quali:
 
– la sponsorizzazione dei programmi [(art. 3 septies)];
 
– l’inserimento di prodotti all’interno di programmi [(art. 3octies)];
 
– la separazione della pubblicità dal resto dei programmi [( art. 10)];
 
– l’integrità dei programmi in caso di interruzioni pubblicitarie [(art. 11)];
 
– l’autopromozione relativa ai propri programmi [(art. 18)];
 
– la tutela dei minori;
 
– il diritto di rettifica.
 
Per altro verso la confusione terminologica potrebbe riflettersi sull’applicazione delle norme antitrust di cui all’art. 43 del Testo Unico, norme sostanzialmente non modificabili perché estranee alla materia del recepimento della Direttiva.
 
Sarebbe, pertanto, opportuna un’attenta riflessione sulle ricadute di tali definizioni in termini di applicazione delle norme surriferite. Esiste, infatti, il concreto rischio di produrre effetti d’incerta applicazione dell’intero corpus di regole comunitarie per il settore televisivo relative alle materie suddette.
 
La definizione di pubblicità come ““ogni forma di messaggio televisivo trasmesso dietro pagamento o altro compenso, ovvero a fini di autopromozione, da un’impresa pubblica o privata o da una persona fisica nell’ambito di un’attività commerciale, industriale, artigianale o di una libera professione, allo scopo di promuovere la fornitura, dietro pagamento, di beni o servizi, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni”, appare conforme alla correlativa definizione recata dalla Direttiva, che include l’autopromozione nella definizione di pubblicità (così superando anche sul piano formale le obiezioni sollevate dalla Commissione europea nelle procedure d’infrazione avviate nei confronti della Repubblica italiana n. 2007/2110, n. 2005/2240 e n. 2004/4303, che si sono chiuse con un’archiviazione anche grazie alle modifiche regolamentari medio tempore apportate dall’Autorità).
 
Suscita, quindi, perplessità la conservazione nello schema di una definizione autonoma di autopromozione – “gli annunci dell’emittente, anche analogica, relativi ai propri programmi e ai prodotti collaterali da questi direttamente derivati” – che potrebbe riaprire il contenzioso con la Commissione europea, in quanto l’autopromozione è esclusa solo dall’applicazione dei tetti pubblicitari, ma risponde a tutte le altre regole sulla pubblicità.
 
Al fine di fugare possibili incertezze, si riterrebbe quindi utile la soppressione dell’art. 4, comma 1, lett. nn), dello schema di decreto.
 
Sempre in materia di definizioni è opportuno mantenere l’attuale formulazione di “telepromozione” prevista dal vigente Testo Unico che trova corrispondenza nella Comunicazione interpretativa relativa a taluni aspetti delle disposizioni della Direttiva Televisione senza frontiere riguardanti la pubblicità televisiva adottata dalla Commissione Europea nel 2004.
 
Altre considerazioni
 
L’art. 17, lett. cc), dello schema di decreto introduce la necessità di un’apposita autorizzazione per la “diffusione continua in diretta o “live streaming”, e su internet o “web casting”.
 
Come ho osservato in più occasioni, e da ultimo avantieri al Senato, quello di Internet è un problema tanto effettivo quanto di improbo approccio.
 
Internet è una rete decentrata, partecipativa e cooperativa, aperta al nuovo.
 
E’ vero che, se con Internet il pianeta è diventato un villaggio globale, ancor più che con la TV, i rischi sono proporzionali.
 
Ma con Internet si pongono simultaneamente quattro problemi difficilmente conciliabili tra di loro: l’apertura, la tutela della privacy, la tutela del diritto d’autore e la sicurezza. Senza l’apertura non avremmo probabilmente saputo nulla di vicende che avvengono in varie parti del mondo sotto regimi autoritari. Riguardo alla privacy basta ricordare l’immissione in rete di foto o video non destinati alla circolazione (ad esempio, quelli fatti da un fidanzato o da un amante durante un rapporto intimo), nonché il problema immenso dei contatti via rete da parte dei pedofili. Quanto alla sicurezza sono note le intromissioni di hackers nei sistemi informativi e di comunicazione della NATO e del Pentagono. E c’è il problema dell’utilizzazione dei siti per attività criminose, per immagini pornografiche, o per l’incitazione alla violenza. Circa il diritto d’autore si verifica questo paradosso: proprio nel momento in cui, tramite la possibilità per chiunque d’immettere in rete propri prodotti, si esalta la creatività, si vanifica la tutela del diritto d’autore (e quindi la remunerazione dei prodotti dell’ingegno), in quanto l’abuso di scaricare da Internet prodotti audio, audiovisivo, letterari è difficilmente reprimibile.
 
Nell’Europarlamento ha subìto una battuta d’arresto il pacchetto TLC proposto dal Consiglio dell’Unione europea che prevedeva che venisse staccato l’accesso a Internet a chi fosse stato colto a scaricare illegalmente (e quindi gratis) una canzone, un film, un video, ecc.. In base alla soluzione di compromesso raggiunta[19], tale misura potrà essere assunta dall’Autorità competente nel rispetto dei diritti fondamentali della persona e del giusto procedimento, garantendo un efficace sindacato giurisdizionale.
 
Sganciandosi da tale iter, la Francia aveva ritenuto di poter procedere unilateralmente e risolutamente su un percorso operativo. Il Parlamento francese ha approvato a maggio dell’anno scorso una legge (legge Hadopi) contro la pirateria on-line che prevedeva un crescendo di sanzioni a danno di chi scarica illegalmente da Internet opere audiovisive coperte da copyright. Senonché il Consiglio costituzionale francese ha dichiarato l’illegittimità delle disposizioni della legge Hadopi che prevedevano l’intervento diretto dell’autorità amministrativa[20]. La legge conseguentemente emendata (Hadopi II) è stata successivamente approvata dal Parlamento francese.
 
Anche la Gran Bretagna è tentata di adottare la linea dura sulla pirateria informatica, con un’iniziativa legislativa che però fin adesso non ha avuto un seguito.
 
Solo i Paesi a regime autoritario hanno attuato interventi limitativi sulla rete[21].
 
La norma dell’art. 17, lett. cc, dello schema di decreto pone quindi il nostro Paese in una situazione unica nel mondo occidentale. Una cosa è chiudere alcuni servizi per questioni di sicurezza, privacy ecc., con interventi ex post, altro è stabilire un condizionamento preventivo e generalizzato frapponendo il filtro – peraltro meramente burocratico – dell’autorizzazione ex ante. Nello stesso tempo la misura appare di dubbia efficacia, dato che i siti Internet si rigenerano come le teste dell’Idra.
 
Vengono in rilievo, comunque, alcune considerazioni di quadro.
 
Secondo il Considerando 18 della Direttiva, la definizione di servizi di media audiovisivi dovrebbe escludere tutti i servizi la cui finalità principale non è la fornitura di programmi, vale a dire i servizi nei quali il contenuto audiovisivo è meramente incidentale e non ne costituisce la finalità principale. È il caso, ad esempio, dei siti Internet che contengono elementi audiovisivi a titolo puramente accessorio, quali elementi grafici animati, brevi spot pubblicitari o informazioni relative a un prodotto o a un servizio non audiovisivo. Per tali motivi, appaiono ugualmente esclusi dall’ambito di applicazione della Direttiva i motori di ricerca.
 
La definizione di “servizio di media audiovisivo” recata dall’articolo 4, lett a) dello schema di decreto, che include “i servizi, anche veicolati mediante siti Internet, che comportano la fornitura o la messa a disposizione di immagini animate, sonore o non, nei quali il contenuto audiovisivo non abbia carattere meramente accidentale”, dovrebbe quindi essere meglio coordinata con il Considerando che ho appena citato, per evitare confusioni su un tema così delicato come quello di Internet.
 
I problemi cui ho accennato concernenti il diritto d’autore fanno comprendere perché lo schema di decreto se ne occupi.
 
Al riguardo lo schema investe direttamente della sua tutela questa Autorità.
 
L’art. 6, infatti, rubricato appunto “Protezione del diritto d’autore”, al comma 3 attribuisce ad essa la competenza ad “emana(re) le disposizioni regolamentari necessarie per rendere effettiva l’osservanza dei limiti e dei divieti di cui al presente articolo”.
 
Questa Autorità risulta ad oggi già normativamente investita (ai sensi dell’art.182 bis della legge n. 633/41 come emendata dalla legge 248/00) di compiti di vigilanza (in coordinamento con la SIAE, ma agendo ciascuna “nell’ambito delle rispettive competenze”), al fine di “prevenire ed accertare violazioni delle prescrizioni in materia di diritto d’autore”[22].
 
Tanto premesso, l’Autorità apprezza la scelta del Governo di rafforzare il suo ruolo di organo istituzionalmente deputato alla tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica.
 
Tuttavia si ritiene che la materia del diritto d’autore debba essere oggetto di un’autonoma riflessione legislativa a tutto campo, trattandosi di un tema estremamente complesso, che coinvolge, tra l’altro -come prima accennavo-, direttive diverse da quella oggetto del presente recepimento.
 
In particolare, vengono in rilievo in tale materia la Direttiva 20/2001/CE sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore[23] e la Direttiva 2004/48/CE sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale[24], nonché la citata recentissima Direttiva 2009/140/CE in materia di accesso alla rete.
 
L’approccio proposto nel decreto si basa sulla legge n. 633 del 1941 ed appare di difficile applicazione nel contesto dell’evoluzione tecnologica e del mercato dei contenuti digitali. Ora, affidare all’Autorità compiti di vigilanza su un settore così vasto, come quello di Internet, senza prevedere strumenti adeguati e moderni, rischia di rendere inapplicabile la norma e frustrante il perseguimento delle sue violazioni.
 
In conclusione, da un lato non si può tacere l’esigenza di un approccio più ampio a tale complessa materia, che tuteli cioè il diritto d’autore in tutte le sue forme, e dall’altro lato occorre valutare con attenzione la sede legislativa propria.
 
È opportuna, dunque, una riflessione complessiva sul fenomeno di Internet, da compiere anche alla luce del prossimo recepimento del nuovo pacchetto di direttive europee sulle reti di comunicazione elettronica entrato in vigore il 19 dicembre 2009 e dell’individuazione degli strumenti più appropriati e proporzionati per proteggere i contenuti protetti da copyright veicolati attraverso Internet.
 
Internet è planetario.
 
Data la sua pervasività – alla quale, come dicevo, solo Paesi autoritari riescono a frapporre barriere – l’approccio al problema dovrebbe essere transnazionale.
 
Sarebbe opportuno un ripensamento più realistico da parte dell’Unione europea. Ma addirittura il problema è di tale portata che non è esagerato pensare che se ne dovrebbe occupare l’ONU.
 
Sono in corso colloqui tra gli Stati Uniti, il Giappone e l’Unione europea per cercare di concordare delle linee comuni.
 
Con l’occasione si segnala un’altra iniziativa del Governo, nell’ambito dei settori di competenza dell’Autorità, in parte legata alla tematica del diritto d’autore, e cioè il decreto del Ministro per i beni e le attività culturali del 30 dicembre 2009 recante “Determinazione del compenso per la riproduzione privata di fonogrammi e di videogrammi ai sensi dell’art. 71 septies della legge 22 aprile 1941 n. 633”.
 
Al riguardo si osserva che la diffusione dei collegamenti a larga banda dipende da più fattori industriali e legislativi, come sottolineato anche dall’Autorità nella propria relazione annuale. In particolare, la penetrazione di sistemi informatici presso le utenze residenziali e business appare determinante per la domanda stessa di servizi a larga banda. Inoltre di recente si è assistito ad un forte impulso della diffusione dei servizi dati in mobilità in banda larga.
 
Pertanto, l’imposizione di un onere economico aggiuntivo legato al possesso di tali dispositivi comporterebbe un freno alla diffusione degli apparati stessi e in conseguenza è in controtendenza rispetto all’obiettivo di sviluppo della larga banda perseguito dall’Italia; obiettivo ormai largamente condiviso.
 
In tale ambito, di cui non si sottace l’importanza, l’Autorità ritiene necessario un intervento armonizzato con analoghe iniziative europee, anche in considerazione della dimensione transnazionale di tale industria.
 
Altrimenti si creerebbero condizioni di disfavore per le imprese operanti in Italia.
 
Segnalo infine l’opportunità (è un’opportunità incalzante) di prevedere nel decreto legislativo in esame una norma di rango primario relativa all’ordinamento automatico dei programmi (il cosiddetto LCN). L’ordinamento automatico è direttamente legato alla possibilità dei cittadini (più volte richiamata dalla Direttiva) di fruire dei contenuti innovativi della programmazione digitale. La norma potrebbe affidare all’Autorità il compito di predisporre un piano per la numerazione automatica dei programmi, in particolare per il digitale terrestre. Com’è noto l’anarchia in tema di numerazione automatica sta provocando disagi ai cittadini nelle zone dov’è avvenuto il passaggio al digitale. L’Autorità sta intervenendo ma manca un consolidamento del nostro potere d’intervento nella normativa primaria.
 
Corrado Calabrò
 
 
 
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[1] In passato, ai fini dell’adozione dell’attuale Testo Unico della radiotelevisione (decreto legislativo 31.7.2005 n. 177), questa Autorità era stata invece intrinsecamente coinvolta, avendo il Ministero delle Comunicazioni raggiunto con essa una previa intesa ai sensi dell’art. 16 della legge 112/2004.
 
[2] Adottata nel 1989 ed emendata una prima volta nel 1997.
 
[3] Considerando 65 della Direttiva: “Conformemente agli obblighi imposti dal trattato agli Stati membri, questi sono responsabili dell’attuazione e dell’applicazione efficace della presente direttiva. Essi sono liberi di scegliere gli strumenti appropriati in funzione delle loro rispettive tradizioni giuridiche e delle strutture istituite, segnatamente la forma dei loro competenti organismi di regolamentazione indipendenti, per poter svolgere il proprio lavoro, nell’attuazione della presente direttiva, in modo imparziale e trasparente. Più precisamente, gli strumenti scelti dagli Stati membri dovrebbero contribuire alla promozione del pluralismo dei mezzi di comunicazione.”
 
[4] Considerando 66 della Direttiva: “Per garantire la corretta applicazione della presente direttiva è necessaria una stretta collaborazione tra i competenti organismi di regolamentazione degli Stati membri e la Commissione. Del pari, una stretta collaborazione tra gli Stati membri e tra gli organismi di regolamentazione degli Stati membri è particolarmente importante per l’impatto che le emittenti televisive stabilite in uno Stato membro potrebbero avere su un altro Stato membro. Qualora nel diritto nazionale siano previste procedure di autorizzazione e sia interessato più di uno Stato membro, è auspicabile che tra i rispettivi organismi abbiano luogo contatti prima del rilascio di tali autorizzazioni. La collaborazione in questione dovrebbe riguardare tutti i settori coordinati dalla direttiva 89/552/CEE, come modificata dalla presente direttiva, in particolare dagli articoli 2, 2 bis e 3.”
 
[5] Basti citare il caso del Belgio , dove il CSA della Comunità francese ha approvato il 17 dicembre 2009, sulla base del decreto di recepimento della direttiva 2007/65/CE, una raccomandazione relativa al product placement ch’è il frutto di una collaborazione tra il Regolatore e gli editori.
 
[6] Un’ipotesi, questa, non sconosciuta all’ordinamento, se solo si pensi che l’art. 8, commi 16 e 17, della legge n. 223 del 1990 (cd legge Mammì) aveva previsto per la fase successiva alla prima applicazione (che doveva durare fino al 1992), che i tetti pubblicitari della Rai ( più bassi rispetto ai concessionari privati) venissero fissati annualmente, sentito il Garante per la radiodiffusione e l’editoria.
 
Comma 16. “Entro il 30 giugno di ciascun anno il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, di concerto con il Ministro delle partecipazioni statali e sentiti il Garante ed il Consiglio dei ministri, stabilisce il limite massimo degli introiti pubblicitari quale fonte accessoria di proventi che la concessionaria pubblica potrà conseguire nell’anno successivo. Tale limite viene fissato applicando, a quello stabilito per l’anno precedente, la variazione percentuale prevista per il gettito pubblicitario radiotelevisivo per l’anno in corso. Ove il gettito pubblicitario previsto si discosti da quello effettivo, il limite massimo degli introiti pubblicitari per l’anno successivo terrà conto dell’aumento o della diminuzione verificatisi”.
 
Comma 17. “Le disposizioni di cui ai commi 6 e 16 del presente articolo e la normativa di cui alla legge 14 aprile 1975, n. 103 articolo 15, hanno validità fino al 31 dicembre 1992. In tempo utile il Garante propone, nella relazione annuale di cui al comma 13 dell’articolo 6, in relazione alle nuove dimensioni comunitarie e all’andamento del mercato pubblicitario, le necessarie ed opportune modificazioni alla suddetta normativa. Il Governo provvede alle conseguenti iniziative legislative.”
 
L’iniziativa del Garante non ebbe però seguito e i tetti pubblicitari della Rai furono mantenuti nella misura del 4% settimanale e del 12% orario per effetto di successivi decreti-legge, della Convenzione Stato-Rai e, da ultimo, della legge 112/2004 e del Testo Unico della radiotelevisione.
 
[7] Sentenza del 2 giugno 2005, nella causa C-89/94, Mediakabel.
 
[8] La previsione era originariamente contenuta nell’art. 2, comma 4, della legge n. 122/98.
 
[9] Difatti la Direttiva conserva nel suo preambolo il “Considerando” della Direttiva 97/36/CE relativo all’individuazione dei produttori indipendenti, in forza del quale gli Stati membri sono invitati a tenere debitamente conto di criteri quali la proprietà della società di produzione, il numero dei programmi forniti alla stessa emittente e la proprietà dei diritti derivati.
 
[10] Fonte OBS per la Commissione europea.
 
[11] Delibera n. 185/03/CSP.
 
[12] Delibera n. 60/09/CSP.
 
[13] L’art. 18, comma 1, dello schema di decreto prevede sì l’allineamento alla nuova disciplina dei titoli abilitativi rilasciati in forza della precedente normativa, secondo criteri di semplificazione ed unificazione, ma, sulla base della bipartizione attuale, demanda tale allineamento al Ministero dello sviluppo economico e all’Autorità, ciascuno per la parte di rispettiva competenza.
 
[14] “una serie di immagini animate, sonore o non, che costituiscono un singolo elemento nell’ambito di un palinsesto o di un catalogo stabilito da un fornitore di servizi di media, la cui forma ed il cui contenuto sono comparabili alla forma ed al contenuto della radiodiffusione televisiva. Non si considerano programmi le trasmissioni meramente ripetitive o consistenti in immagini fisse.”
 
[15] “l’insieme, predisposto da un’emittente televisiva o radiofonica, analogica o digitale, di una serie di programmi unificati da un medesimo marchio editoriale e destinato alla fruizione del pubblico, diverso dalla trasmissione differita dello stesso palinsesto, dalle trasmissioni meramente ripetitive, ovvero dalla prestazione, a pagamento, di singoli programmi, o pacchetti di programmi, audiovisivi lineari, con possibilità di acquisto da parte dell’utente anche nei momenti immediatamente antecedenti all’inizio della trasmissione del singolo programma, o del primo programma, nel caso si tratti di un pacchetto di programmi”
 
[16] “l’esercizio di un controllo effettivo sia sulla selezione dei programmi, ivi inclusi i programmi-dati, sia sulla loro organizzazione in un palinsesto cronologico, nel caso delle radiodiffusioni televisive o radiofoniche, o in un catalogo, nel caso dei servizi di media audiovisivi a richiesta. All’interno del presente testo unico, l’espressione “programmi televisivi” deve intendersi equivalente a quella “palinsesti televisivi” di cui alla lettera g). Ai fini della presente nozione, per “controllo effettivo” si intende la possibilità di assumere decisioni circa l’inserimento o la rimozione di contenuti, la collocazione, le modalità di presentazione, l’attribuzione di codici o la definizione di altre modalità di reperimento da parte dell’utente nell’ambito di un palinsesto o catalogo”
 
[17] La nozione di “programma televisivo” all’interno dello schema di decreto è definita all’art. 4, comma 1, lett h, (“All’interno del presente Testo Unico, l’espressione programmi televisivi deve intendersi equivalente a quella di “palinsesti televisivi” di cui alla lettera g”), identificandola (“deve intendersi equivalente”) con quella di “palinsesto televisivo” di cui alla precedente lettera g) (“L’insieme predisposto da un’emittente televisiva, analogica o digitale, di una serie di programmi unificati da un medesimo marchio editoriale e destinato alla fruizione del pubblico, diverso dalla trasmissione differita dello stesso palinsesto, dalle trasmissioni meramente ripetitive, ovvero dalla prestazione, a pagamento, di singoli programmi, o pacchetti di programmi, audiovisivi lineari, con possibilità di acquisto da parte dell’utente anche nei momenti immediatamente antecedenti all’inizio della trasmissione del singolo programma, o del primo programma, nel caso si tratti di un pacchetto di programmi”.
 
[18] La nozione di “programma televisivo/palinsesto” di cui allo schema di decreto è peraltro ardua da ricondurre a quella di “programma” di cui all’art. 1, lett. b) della Direttiva, che intende il programma, invece, solo come un “singolo elemento nell’ambito di un palinsesto”: “Una serie di immagini animate, sonore o non, che costituiscono un singolo elemento nell’ambito di un palinsesto o di un catalogo stabilito da un fornitore di servizi di media la cui forma ed il cui contenuto sono comparabili alla forma ed al contenuto della radiodiffusione televisiva”).
 
Contemporaneamente, inoltre, nello schema, all’art. 4, comma 1, lett. e) figura anche un’altra definizione di programma, questa, però, più coerente con quella comunitaria: (Una serie di immagini animate, sonore o non, che costituiscono un singolo elemento nell’ambito di un palinsesto o di un catalogo stabilito da un fornitore di servizi di media, la cui forma ed il cui contenuto sono comparabili alla forma e al contenuto della radiodiffusione televisiva. Non si considerano programmi le trasmissioni meramente o consistenti in immagini fisse”).
 
[19] Art. 1, comma 3, lettera b), della Direttiva 2002/21/CE, come emendata dalla cd. Direttiva “better regulation” 2009/140/CE.
 
[20] Il che, ovviamente, non significa che venga meno l’illiceità del fatto di chi usa la rete per appropriarsi indebitamente di opere altrui o addirittura per farne indebito commercio. Ma il suo comportamento potrà essere perseguito solo dall’autorità giudiziaria.
 
[21] L’intervento più efficace e duraturo è stato quello attuato in Cina. In un primo tempo, d’intesa con Internet, il governo cinese ha imposto un filtro alle notizie che potevano pervenire in rete in quel Paese. Successivamente ha addirittura stabilito che ogni computer posseduto in Cina debba essere “schermato”. In questi giorni, poi, ha imposto limitazioni e condizionamenti a Google. Il che ha indotto Google a minacciare l’interruzione del servizio e ha provocato la reazione del Segretario di Stato USA, Hillary Clinton.
 
[22] Proprio in virtù di tale competenza, l’Autorità ha sottoscritto due accordi di collaborazione con la SIAE, in date 6 luglio e 10 maggio 2007, e svolto attività di vigilanza. Più di recente, l’Autorità ha appena concluso un’indagine conoscitiva sulle competente e sulle possibilità d’intervento in tema di violazioni del diritto d’autore on-line, i cui risultati saranno successivamente resi noti.
 
[23] Recepita dal decreto legislativo n. 68 del 2003.
 
[24] Recepita dal decreto legislativo 16 marzo 2006, n. 140.

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