Afghanistan, il Senato conferma: a morte Sayed

La votazione a favore della condanna del giornalista non ha valore formale ma potrebbe influenzare non poco l’operato dei giudici. Ieri manifestazione in piazza a Kabul, e Karzai tace


Morire “in nome di Allah”, in nome di Dio. Morire per delle frasi ironiche e provocatorie, diffuse in rete e tra i banchi dell’Università di Balkh. È questo che il Senato afgano, in una votazione tenutasi lo scorso 30 gennaio a Kabul, ha deciso sia il modo giusto per punire Sayed Parwiz Kaambakhsh, ventitreenne giornalista e studente universitario, da tre mesi in carcere per aver diffuso delle frasi inneggianti alla parità sessuale e denigratorie nei confronti del profeta Maometto e degli insegnamenti coranici.
Appena dieci giorni fa, dopo tre mesi di carcerazione preventiva, il giovane Sayed aveva assistito al pronunciamento del Tribunale di primo appello di Kabul, che lo aveva condannato alla pena capitale (cfr. http://www.newslinet.it/shownews.php?nid=3976&h=afghanistan) per aver definito Maometto “un assassino e un adultero” e per aver provocato l’opinione pubblica chiedendosi come mai le donne non potessero avere quattro mariti per la religione islamica, dal momento che è vero il contrario. Oltretutto, Sayed è fratello minore di Sayed Yaqub Ibrahim, noto giornalista dissidente, poco gradito ai signori della guerra afgani, ai “saggi” conoscitori del Corano ed anche al Parlamento, eletto democraticamente ma infarcito di filo-talebani, guerrafondai e produttori-commercianti di droga. Dopo la sentenza del Tribunale, un alone di silenzio era sceso sulla questione, con il presidente Hamid Karzai che si era solo limitato ad assicurare la condanna, non definitiva, si sarebbe facilmente potuta ribaltare nei due processi d’appello. Senza ricordare, come ben sanno i circoli della stampa locale e le associazioni non governative in favore della libertà di stampa afgane, che su questioni come queste il presidente ha il diritto di veto: può decidere, in sostanza, della vita di Sayed. Il voto dell’altro ieri in Senato ha confermato, invece, l’intenzione di punire il “reato” del giovane giornalista e, pur non avendo alcuna validità formale, si teme possa pesantemente influenzare il giudizio delle corti d’appello chiamate a decidere se confermare o meno la sentenza di condanna. Da Kabul fanno sapere che in aula erano presenti solo 75 senatori su 120 al momento della votazione e che il verdetto, firmato dal presidente Sibghatullah Mojaddedi, abbia trovato quasi tutti d’accordo. Ieri c’è stata, intanto, una manifestazione a Kabul, indetta da alcune organizzazioni umanitarie in difesa del giovane e della libertà d’opinione. Anche i Paesi dell’Ue, Inghilterra in testa, si sono mossi per persuadere Karzai a fare in modo che una tale lesione dei diritti umani non vada fino in fondo e che il ragazzo sia liberato. Il quotidiano filo-laburista “The Independent” ha anche messo in atto una petizione (http://www.independent.co.uk/news/world/asia/sign-our-petitionbrbr-we-the-undersigned-urge-the-uk-foreign-office-to-put-all-possible-pressure-on-the-afghan-government-to-prevent-the-execution-of-sayed-pervez-kambaksh-brbr-775954.html), attraverso le pagine del quotidiano e tramite il sito internet, in favore di Sayed: sono state già raccolte 13.500 firme. (Giuseppe Colucci per NL)

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