Case di giornalisti perquisite nell’ambito dell’inchiesta “toghe lucane”

Abitazioni messe a soqquadro tra Puglia, Basilicata e Roma. Tra queste anche quella di un inviato del “Corriere” che dice: è un atto intimidatorio. Secondo il suo legale l’accusa è assurda


Polizia, magistratura e carta stampata immischiate in una vicenda dai contorni poco chiari. Sono state perquisite, durante la giornata di ieri, le abitazioni e gli uffici di diversi giornalisti, tra Roma, Matera e Bari. Il cronista del “Corriere”, Carlo Vulpino, Emanuele e Nino Grilli, editore e direttore del quotidiano di Matera, “Il resto”, Gianloreto Carbone, della trasmissione televisiva “Chi l’ha visto” e, infine, Pasquale Zacheo: sono questi i nomi degli indagati per il capo di cui si dirà di seguito, che ieri hanno visto le proprie abitazioni e i propri posti di lavoro messi in subbuglio dagli agenti di polizia che cercavano documenti, prove, qualsiasi cosa potesse comprovare la tesi del pubblico ministero di Matera, Annunziata Cazzetta. Il pm, infatti, ha avviato un’inchiesta nei confronti di questa schiera di soggetti, i quali sarebbero accusati di associazione a delinquere finalizzata alla diffamazione a mezzo stampa e alla violazione del segreto istruttorio. Per il giornalista del “Corriere”, Carlo Vulpino, infine, l’accusa pare francamente eccessiva: concorso morale in associazione a delinquere. In sostanza avrebbe istigato gli altri indagati a diffamare. Queste gravissime accuse, per le quali i colleghi sono stati trattati alla stregua di criminali, traggono origine dalla denuncia presentata da Emilio Nicola Buccico, sindaco di Matera, senatore di Alleanza Nazionale ed ex membro del Csm, indagato a sua volta dal pm di Catanzaro, Luigi De Magistris (foto), nell’ambito dell’inchiesta denominata “toghe lucane”. La presunta diffamazione sarebbe avvenuta, a mezzo stampa, per fare in modo che Buccico ritirasse la sua candidatura a sindaco di Matera (carica che attualmente ricopre). Insomma, un caso molto intricato, che il legale di Vulpino non ha esitato a definire assurdo e per cui lo stesso cronista ha parlato di “atto intimidatorio”, anche in considerazione del fatto che le forze dell’ordine avrebbero portato via dalla sua abitazione (lui era assente al momento della perquisizione, perché si trovava sul Gargano per raccontare dell’emergenza incendi), oltre al pc personale del giornalista e a suoi documenti di lavoro, anche i portatili di sua moglie e dei suoi figli. Quattro in totale. La gravità della situazione, intanto, ha persino spinto la Fnsi a diffondere una nota che suona come un duro atto d’accusa: “Appare incredibile che giornalisti impegnati nel loro lavoro professionale, per questo, possano essere considerati una banda associata per delinquere. Il diritto di svolgere inchieste giornalistiche che non può essere deciso da fonti diverse da quelle dell’autonomia professionale e non può essee conculcato da operazioni che, allo stato attuale, appaiono fuori dalla realtà. Non vorremmo che l’enormità dell’ipotesi di reato formulata abbia come effetto l’azzeramento dell’informazione sulla vicenda delle toghe lucane”. (Giuseppe Colucci per NL)

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