Slitta a fine anno l’accordo quadro tra gli stati membri sul trattamento dei dati personali durante le indagini penali

Diversi sono i punti di disaccordo
 

Lo scorso giugno si è riunito il Consiglio dei Ministri GAI – consiglio a cui partecipano i Ministri della Giustizia oppure degli Affari Interni dei Paesi Membri – al fine di raggiungere l’accordo quadro circa l’adozione di uno strumento legislativo comunitario che disciplini la tutela dei dati personali nell’ambito della cooperazione giudiziaria penale e dell’attività di polizia. Benché la necessità di detta normativa fosse emersa durante la commissione europea dell’ottobre del 2005, non si è ancora riusciti a raggiungere un accordo definitivo, posto che i paesi membri, durante la riunione del giugno scorso, si sono limitati a firmare una dichiarazione di intenti diretta al raggiungimento di un accordo non oltre il finire dell’anno. Peraltro, per tener fede a detta promessa, sarà necessario che gli stati europei raggiungano un’intesa su alcuni punti critici relativi alla disciplina del trattamento dei dati personali nell’ambito dei procedimenti penali e dei diritti di informazione e controllo concessi all’interessato sui dati che lo riguardano. In particolare, le questioni sulle quali è avvenuto lo scontro, e sulle quali sarà necessario trovare un punto d’incontro, sono i seguenti. Il primo attiene alla definizione dell’ambito di applicazione della decisione quadro di cui si tratta: da un lato si sono, infatti, schierati i paesi anglosassoni, che vorrebbero applicare detta disciplina solo ai dati trasmessi tra gli stati membri, mentre dall’altro lato, si pone il blocco latino, che vorrebbe applicarla a tutti i dati conservati a livello nazionale. La seconda questione concerne l’individuazione della regola da applicare in caso di trasmissione dei dati a paesi terzi, problema che trova una certa rilevanza nella lotta al terrorismo. Segnatamente, mentre alcuni paesi vorrebbero che la trasmissione dei dati fosse possibile solo nei confronti di quei paesi che garantiscono lo stesso livello di adeguatezza nella tutela, altri stati, come l’Italia, sono di diverso avviso, sostenendo la cooperazione investigativa e giudiziaria antiterrorismo. Insomma, pare che vi siano due opposti orientamenti, da un lato, i paesi che mirano a privilegiare la riservatezza delle informazioni personali dei propri cittadini, evitando di diffonderli se non casi strettamente necessari, mentre dall’altro, coloro i quali difendono la priorità della cooperazione e della collaborazione a livello internazionale. La soluzione alla problematica in questione, probabilmente, dovrà cercare di contemperare al meglio i due diritti contrapposti tra loro, tenuto conto del noto fenomeno della globalizzazione e della velocità con lui le informazioni circolano, e a cui si può accedere, grazie agli strumenti informatici di ultima generazione. (D.A. per NL)

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