Diritto e internet. La distinzione tra host provider e content provider nell’evoluzione delle leggi e della giurisprudenza

E’ oramai un dato acquisito il fatto che la terza dimensione dello scambio di informazioni quale è internet estenda la cerchia delle problematiche connesse alla consumazione dei reati ed alla lesione di diritti ed interessi in ambito civilistico.

In proposito, la responsabilità dell’ISP, nelle sue differenziate vesti di hosting e content provider, incide inevitabilmente sulla valutazione del soggetto al quale deve essere imputato l’evento dannoso e nondimeno sulle modalità idonee a rimuovere l’eventuale circostanza antigiuridica. L’orientamento dei giudici (soprattutto quelli di merito) appare estremamente altalenante e talvolta indeciso nell’interpretazione delle norme e dei principi presenti nel nostro ordinamento.La giurisprudenza di legittimità, dal canto suo, cerca di ricomporre tali antinomie ermeneutiche e legislative anche adattando discipline al margine della materia. Passando in rassegna una brevissima serie di pronunce, si riscontra come oramai sia a tutti ben chiara la differenza tra il prestatore di servizi internet che semplicemente offre uno spazio web ai propri utenti e quello che – direttamente o indirettamente – predispone i contenuti da offrire alla platea degli internauti.  Sostanzialmente, la diversità si riverbera sull’eventuale titolo di responsabilità rinvenibile in comportamenti valutati come illeciti. La circostanza di dover considerare e controllare il nuovo mondo della rete, di fatto, amplia il raggio d’azione della diffamazione e della violazione del diritto d’autore, per poi approdare, in certi casi, nei nuovi reati cosiddetti "informatici" ancorati alla recente disciplina sul cybercrime (legge 48/2008 "Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica, fatta a Budapest il 23 novembre 2001, e norme di adeguamento dell’ordinamento interno"). Nei casi in cui si debba valutare il coinvolgimento diretto di un fornitore di servizi internet per illeciti che a vario titolo transitano per il suo plafond di contenuti, il nodo gordiano da sciogliere pare si annidi intorno all’istituto giuridico della responsabilità per fatto altrui, tema assai scottante e delicato posto ai margini dello stato di diritto. Notoriamente, questo è il capo d’imputazione contestato al direttore di una testata giornalistica per la presenza di contenuti ritenuti diffamatori proposti dalla sua pubblicazione. La responsabilità, qui, trae la propria origine nell’omesso controllo sul lavoro dei collaboratori editoriali.  Prendendo le mosse da queste scarne considerazioni, taluna giurisprudenza di merito, in ambito civilistico, ha in passato equiparato il provider al direttore di giornale, attribuendogli la colpa per l’illecita offerta di contenuti ritenuti abusivi in tema di nomi e marchi alla stregua della legge sul diritto d’autore (cfr. Tribunale di Napoli, 8 agosto 1996). Ulteriormente, in ambito penalistico, si è utilizzato il rimedio cautelare consistente nel sequestro delle attrezzature del provider quali mezzo per la diffusione di un certo dato ritenuto diffamatorio (cfr. decreto del Procuratore della Repubblica di Vicenza del 23 giugno 1998). Così argomentando, si sono in passato verificati notevoli sconfinamenti in un ambito – quello della stampa – valutabile ex post come scarsamente attinente a buona parte dell’universo internet. A tal proposito, tutte le disposizioni e le cautele rinvenibili nelle disposizioni regolamentatrici dell’informazione ufficiale, dovrebbero essere applicate in ambiente web ai soli periodici effettivamente registrati. Non sembra opportuno inflazionare una disciplina così peculiare estendendola a differenti realtà che con la società dell’informazione non hanno niente a che fare.  Più articolata, un’altra, audace, pronuncia (Tribunale di Bologna, 26 novembre 2001) che opera la finzione di far assumere la veste di content provider al fornitore di servizi di hosting laddove questi non consenta l’identificazione del soggetto autore della pubblicazione controversa. Tale protezione dell’anonimato, al fine di poter rimediare agli illeciti on line commessi da ignoti gestori di siti, fa scaturire vieppiù l’applicazione analogica – sempre secondo la pronuncia sopra ricordata ed ai soli fini civilistici – dell’art. 11 della legge sulla stampa (n. 47/1948), in base al quale "Per i reati commessi col mezzo della stampa sono civilmente responsabili, in solido con gli autori del reato e fra di loro, il proprietario della pubblicazione e l’editore", cosicché il soggetto leso della pubblicazione ad opera di autore "nascosto" ha facoltà di chiedere un risarcimento per i danni patiti direttamente all’ISP. Attualmente, in base alla ricordata normativa d’ispirazione europea sui crimini informatici, appare verosimile configurare in capo all’hosting provider il solo obbligo di rimozione dei contenuti illeciti dietro sollecitazione dell’autorità giudiziaria. In proposito, infatti, la più recente ed illuminata giurisprudenza di merito (cfr. Tribunale di Mantova, sentenza 24 novembre 2009), avvalendosi delle disposizioni del d.lgs. 70/2003 "Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno", giunge a distinguere nettamente la figura del content provider da quella dell’host provider. In questo caso, il giudice adito per un caso di diffamazione sul web, ritiene sussistente "la responsabilità risarcitoria del primo e l’irresponsabilità del secondo per gli illeciti eventualmente posti in essere on line, salvo l’obbligo dell’host provider di rimuovere il dato illecito di terzi di cui sia venuto a conoscenza". Infine, per quanto concernente le lesioni del diritto d’autore perpetrate sul web, si ritiene opportuno dare conto del rimedio avallato recentemente dalla Corte di Cassazione che ha confermato la legittimità del sequestro della illecita pubblicazione on-line con conseguente oscuramento del sito (nazionale o estero non rileva se l’illecito si consuma in Italia) senza attribuire alcuna responsabilità al provider – se mero fornitore di servizi – per contenuti riconducibili a terzi (V. Cassazione, III sez. penale, sent. 1055/2009 in www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com). Tutto ciò considerato, ci pare di poter affermare che se le norme già presenti nel nostro ordinamento ricevessero la dovuta applicazione, il legislatore non avrebbe bisogno di appesantire ulteriormente l’opera ermeneutica dei giudici. (Stefano Cionini per NL)

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