Esiste un futuro per le tv locali?

Qualche riflessione in un momento di transizione nella vita delle stazioni televisive locali. La strada al DTT è l’unica speranza di sopravvivenza. L’apparato tv deve avere il controllo dei decoder e non viceversa


Ieri abbiamo avuto modo di dialogare a lungo ed approfonditamente con l’amministratore di una delle più importanti televisioni locali italiane sul presente e sul futuro della categoria. L’incontro ci ha permesso di registrare una serie di pacate riflessioni che meritano un’esposizione su queste pagine per la lucidità delle stesse. La prima considerazione ha riguardato il fatturato, o meglio il trend della raccolta pubblicitaria: il momento è duro, anche se meno peggio di altri nel recente passato. Richieste incessanti di dilazioni di pagamento da parte dei clienti più fedeli (che, come tali, non possono essere rifiutate) rendono difficile conseguire un equilibrio finanziario, mentre sul fronte della raccolta si percepisce un preoccupante spostamento di alcuni big spender su scala ultralocale verso altri mezzi, quali, in primis, la cartellonistica. Tuttavia, in difficoltà non sarebbero tanto le emittenti provinciali, che, anzi, in molti casi vivrebbero un’età dell’oro, quanto le superstation o comunque le maxilocali, colpite dalla competizione dei colossi nazionali e soprattutto dal fenomeno Sky senza poter (più) contare sul valore aggiunto (inaggredibile dai player nazionali) del radicamento sul territorio. In pratica, le tv provinciali sarebbero molto più corteggiate rispetto alle emittenti regionali o interregionali dagli inserzionisti, per via della loro forte presenza sul territorio. Quella delle superstation televisive appare come la classica ibridità che scontenta tutti: il pubblico, al quale non sono in grado di offrire un prodotto competitivo con le reti RAI e Mediaset e la piattaforma sat di Murdoch mentre la sovradimensione diffusiva impedisce la focalizzazione sul locale che aggiungerebbe valore alla missione editoriale; gli inserzionisti, verso i quali si collocano più come pulci ultralocali che colossi infra-areali. Lo scenario descritto motiva il sostanziale fallimento della norma di legge che pure ha consentito alle superstation di trasformarsi in nazionali: una previsione legislativa che, viceversa, in ambito radiofonico troverebbe grande successo. Il secondo spunto di riflessione riguarda il digitale. Dopo non averci creduto, ormai l’obiettivo numerico sembra l’unica via di uscita dalla morsa dei colossi Rai, Mediaset e Sky. L’incessante crescita degli abbonati di Sky, ha determinato una progressiva fidelizzazione degli ascoltatori sulla ricezione satellitare: in pratica, gli utenti una volta assuefatti al telecomando di Murdoch difficilmente tornano sull’analogico o sul digitale terrestre, concentrandosi sull’abbondante offerta della pay tv. Sul fronte della televisione digitale terrestre si va più o meno, pur con percentuali di sviluppo differenti, nella stessa direzione: chi si avvale del decoder si lega ad esso e raramente torna sull’analogico. Ergo, chi viene intercettato dalla ricerca automatica dei decoder consolida posizioni di vantaggio in questa delicata fase di assestamento della tecnologia. Naturale conseguenza di ciò è che coloro che sono presenti sul territorio con potenti segnali analogici senza però un’equivalenza digitale rischiano di subire forti pregiudizi per il prossimo futuro. Un terzo motivo di attenta valutazione è poi l’inevitabile vanificazione della presintonizzazione analogica faticosamente conseguita in decenni di attività in ambito di migrazione delle trasmissioni in tecnica numerica. I decoder DTT, come noto, assegnano, infatti, una sequenza ai segnali ricevuti sulla base di criteri di natura tecnica (ordine di sintonizzazione dei canali dal primo VHF all’ultimo UHF) che prescindono da qualsiasi logica di opportunità editoriale (classica sequenza Raiuno, Raidue, Raitre, Retequattro, Canale 5, Italia 1, ecc.) e che, generalmente, solo con complessità possono poi essere ordinati dall’utente, soprattutto in considerazione del fatto che in occasione di un aggiornamento dei canali ricevuti la riorganizzazione attuata viene vanificata. Il problema è evidentemente serio e meriterebbe una riflessione anche da parte dei produttori dei ricevitori digitali. Altro problema tecnico è la necessaria integrazione delle piattaforme digitali satellitare e terrestre nel televisore, possibilmente con l’unificazione in un unico telecomando. Solo attraverso un unico strumento di controllo integrato delle piattaforme concorrenti nella mano dell’utente le due tecnologie potranno concorrere ad armi sostanzialmente pari. Oggi, paradossalmente, chi controlla il televisore è il telecomando di Sky in ambito della DT Sat ed il telecomando del ricevitore DTT per il terrestre, mentre il telecomando del tv viene normalmente messo in un cassetto. Ciò è evidentemente pericolosissimo, poiché Sky non ha nessun interesse a favorire l’utilizzo del suo strumento di controllo per la ricezione di segnali analogici o DTT (prova ne è che è quasi impossibile controllare la tv analogica o DTT attraverso il telecomando di Sky, pur teoricamente predisposto a ciò). Occorre quindi che il televisore riprenda il comando dei decoder (sat o DTT) che gli spetta, cosicché i medesimi possano essere diretti da un telecomando neutrale rispetto alle due piattaforme. E ciò non può che passare da un’integrazione nel tv di entrambi i decoder, limitando il potere di Murdoch in ciò (Sky deve solo fornire la tessera, non pilotare le scelte dell’utente). Un quarto motivo di lucida analisi riguarda l’improcrastinabile necessità di concludere accordi per la reciproca ospitalità nei rispettivi mux per favorire la migrazione digitale, che appare, in questa fase, l’arma più importante di cui dispongono le emittenti locali per cercare di reggere la guerra di posizionamento con i colossi editoriali citati. Quinto spunto di dibattito attiene alla necessità di testare nuove tecnologie, ovviamente in primis Internet. Soluzioni come la piattaforma Mogulus.com potrebbero infatti a breve stravolgere la modalità di fare televisione, così come l’opportunità del podcast dei programmi storici o delle news locali merita assoluta attenzione. Sesto ed ultimo motivo di riflessione riguarda poi l’opportunità di ridisegnare la propria missione imprenditoriale in chiave di carrier digitale di iniziative altrui, non necessariamente da coltivare in sede locale. In questo ambito si potrebbe ipotizzare una possibilità di business alternativa che consenta di superare o limitare la pericolosa dipendenza dai contributi statali che la maggioranza delle emittenti hanno conseguito.

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