Evasione fiscale. Il principio del ne bis in idem non cede di fronte all’accertamento del reato

Con la sent. n. 626 del 12/01/2009, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione stabilisce che per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti non può essere in nessun caso configurata la continuazione se trattasi di medesimo periodo d’imposta.

La questione trae origine dall’applicazione della pena concordata di due mesi di reclusione, in aumento di quella irrogata da un precedente giudice per la fattispecie di evasione fiscale, riferita alla stessa dichiarazione dei redditi. Segnatamente, il rappresentante legale di una società per azioni veniva ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 2 del D.Lgs 74/2000 per aver appostato nel bilancio costi fittizi documentati dalla produzione di fatture emesse da c.d. società cartiere, ovvero soggetti giuridici che sostanzialmente non esercitano una vera e propria attività, ma vengono utilizzati esclusivamente per far figurare spese non realmente sostenute per l’acquisto di beni e servizi. Nel caso specifico, l’azienda creditrice figurava quale ente off-shore utilizzato per gli scopi descritti nel conteggio relativo alla autoliquidazione di imposte sul reddito e di valore aggiunto per l’anno 2003. La fattispecie all’esame della Suprema Corte presentava la particolarità che, nonostante il periodo d’imposta preso a riferimento dall’indagine dei magistrati del Pubblico Ministero – intervenuti l’uno a distanza di un anno dall’altro – fosse il medesimo, erano state irrogate dal Tribunale di Brescia due distinte pene presupponendo nel secondo procedimento, svoltosi nelle forme del patteggiamento, la continuazione del reato già in precedenza accertato da altro magistrato. La difesa eccepiva innanzi al Supremo Collegio che, essendo già stato condannato il contribuente infedele per la medesima fattispecie, a nulla rilevava “la circostanza che la fattura oggetto del procedimento fosse diversa da quella di cui alla sentenza del 25 gennaio 2007, posto che la dichiarazione era unica”. La Cassazione accoglieva tali doglianze avvallando la lettura configurata dal legale e forniva una tanto lucida quanto succinta motivazione nella quale, in buona sostanza, non faceva altro che applicare una norma probabilmente sfuggita al giudice a quo. Il principio è sancito nell’art. 649 c.p.p. rubricato “Divieto di un secondo giudizio”, a mente del quale “L’imputato prosciolto o condannato con sentenza o con decreto penale divenuti irrevocabili, non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato(…)”. L’interpretazione fornita da Piazza Cavour, difatti, si colloca proprio nel solco tracciato dal codice di rito, vieppiù, rafforzata dall’enunciazione di altro precetto normativo presente nel successivo art. 8, comma 2, del testo assunto come violato con l’aggravante della continuazione dal giudice di prime cure. Tale disposizione, infatti, prescrive che “(…) l’emissione o il rilascio di più fatture o documenti per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta si considera come un solo reato”. Ciò posto, per il Giudice di ultima istanza era da considerarsi unico il reato anche nel caso in cui “(…)si utilizzino più fatture per aumentare i costi laddove la dichiarazione sia unica e relativa alla stessa imposta ed allo stesso periodo d’imposta” (cfr. C. Cass., III sez. pen., sent. n. 626/2009). Nello specifico del caso in esame, veniva altresì ritenuta irrilevante la circostanza in base alla quale si erano portate in detrazione più fatture fittizie in quanto “la registrazione di tali documenti rappresenta solo un’attività prodromica alla realizzazione del reato che si consuma nel momento in cui si registra in contabilità il singolo documento che poi sarà utilizzato per abbattere i costi”, dunque, a maggior ragione, “l’eventuale pluralità di reati non dipende dalla pluralità dei documenti utilizzati, ma dalla pluralità delle dichiarazioni relative a periodi d’imposta diversi” (cfr. C.Cass., cit.). In conclusione, la Cassazione si determinava per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata sulla scorta del fatto che – ex officio – il G.U.P. del patteggiamento avrebbe dovuto rilevare che si trattava del medesimo reato bloccando l’esercizio dell’azione penale per precedente giudicato. (S.C. per NL)
 
 

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