Frequenze tv, 600 reti all’assalto per scardinare il duopolio RaiSet

(Repubblica.it – di Stefano Carli) – Il tempo inizia a stringere e i problemi, invece di sciogliersi uno dopo l’altro, sembrano invece moltiplicarsi e c’è il rischio che tutto il calendario del passaggio dell’Italia dall’era della tv analogica a quella del digitale salti. Un rischio che nessuno vuole correre per tutta una complessa serie di ragioni.

E allora alla fine un accordo arriverà, anche se per ora tutti stanno sulle loro posizioni. C’è già però una novità di rilievo: per la prima volta il fronte delle tv si spacca. Il fatto è che sembra non ci sia spazio per le ambizioni di tutti e qualcuno dovrà fare un passo indietro rinunciando ad alcune frequenze. Ma chi sarà? Sul fronte dei network nazionali i candidati saranno Rai e Mediaset, che in Sardegna e Val d’Aosta (dove il passaggio al digitale è già avvenuto) hanno 6 frequenze ciascuno? O, come si mormora a mezza bocca dalle parti del duopolio, è assurdo pensare che tutte le 560 emittenti locali possano disporre di un multiplex e moltiplicare per 6 i loro attuali canali?  Intanto però i vecchi equilibri sono saltati. Una volta c’era la Rai da una parte e dall’altra Mediaset che capeggiava l’esercito delle tv private: una fanteria d’assalto composta da centinaia di emittenti che faceva massa d’urto. Una santa alleanza sancita dal fatto che in Frt, l’associazione «storica» delle tv private italiane, c’erano tutti, Mediaset, Telecom e circa 180 emittenti medie e mediopiccole. Le posizioni più estreme hanno invece trovato nel tempo rappresentanza nell’altra associazione, l’AerantiCorallo, che raggruppa oltre 300 emittenti. Oggi le due associazioni vanno d’amore e d’accordo, fanno documenti comuni, si presentano assieme alle trattative e temono che i due grandi, ma soprattutto Mediaset, vogliano allargarsi a spese loro. La contrapposizione era finora rimasta nell’ombra. In Sardegna e Val d’Aosta, le due uniche regioni finora «all digital» le tv locali sono poche e si è trovato posto per tutti. Anche grazie al fatto che lì il piano del governo aveva fatto emergere solo due frequenze di dividendo digitale: spazio per nuovi operatori entranti. Una condizione che l’Ue ha chiesto per non aprire la procedure d’infrazione sull’Italia in seguito al pasticcio della legge Gasparri che impediva di comprare frequenze a soggetti che non ne avessero già, blindando di fatto il settore contro la possibilità di ingresso di nuovi soggetti. Ma 2 sole frequenze sono troppo poche, ha detto la Ue: ne servono almeno 5. E da alcune settimane di 5 frequenze da liberare parla esplicitamente Paolo Romani, sottosegretario alle Comunicazioni, di fatto il ministro del settore. Quindi, facendo i conti, se in Sardegna Rai e Mediaset hanno 6 frequenze, e dunque 6 multiplex ciascuna, Telecom 4, Gruppo Espresso 2, H3g per la tv mobile, DFree di Tarak Ben Ammar, ReteCapri e Europa7 una ciascuno, si arriva a 20 frequenze per le tv nazionali. Aggiungendo le 5 di dividendo digitale si arriva a 25. Quante ne restano alle locali? Il nodo è questo. In teoria le frequenze disponibili sono 55. Ma questo solo dove non ci sono interferenze con altri paesi. Paradossalmente le interferenze non ci sono in Piemonte, perché le Alpi fanno barriera: i nostri segnali e quelli francesi su una stessa frequenza non si scontrano. Il problema c’è invece sulla costa Tirrenica, perché sul mare i segnali radioelettrici corrono. Andrà già meglio in Campania e Sicilia. Sarà invece molto peggio di adesso nelle regioni della costa adriatica, che dovranno vedersela con le tv di tutta la costa balcanica e dovranno contrattare duramente con Slovenia, Croazia, Montenegro e Albania: non a caso sono le regioni lasciate per ultime. Quante sono le frequenze utilizzabili nel Lazio? Di sicuro non 55, ma quante? 50? O, come temono alcuni, una quarantina a malapena? Un problema che all’estero non hanno. In Francia il digitale usa 26 frequenze e ne ha liberate 9 (i canali da 61 a 69) per la banda larga delle telecom. In Gran Bretagna i multiplex attivi sono solo 6 e tra poco saliranno a 7. Da noi si deve ancora finire di fare i conti con l’eredità del Far West degli anni Ottanta. Il fatto è che nel frattempo si è consolidato il concetto che le frequenze sono patrimonio delle emittenti che le usano. E che, d’altra parte, specie per le più grandi, le hanno letteralmente acquistate dai precedenti utilizzatori pagano fiori di soldi. La valutazione di una frequenza nazionale, è a tutt’oggi sui 120150 milioni di euro e a questa valutazione si stanno tuttora concludendo transazioni tra tv per comprarsi pezzi di copertura del territorio. Insomma, un caos. Secondo il dato più aggiornato del catasto tv, in Italia operano 584 tv locali. Di queste 115 sono emittenti senza fini di lucro, cosiddette di comunità. Quelle commerciali sono 469. Uno studio di Value Partners sui bilanci del 2006 rileva che i ricavi aggregati del settore sono sui 500 milioni. La metà delle società riesce a chiudere in utile per una cifra totale sui 40 milioni, l’altra metà ne perde, complessivamente circa 20. «Le società che hanno una dimensione non puramente locale sono il 10% spiega Alessandro Araimo, responsabile del settore tv in Value Partners Tutti ora hanno un problema in più. Il digitale sta aumentando l’offerta nazionale e rischia di comprimere lo spazio per le emittenti locali. In più hanno il problema dei costi per la digitalizzazione. Per tutti il principale asset economico è dato proprio dalla patrimonializzazione delle frequenze». Il Lazio sarà il primo grande banco di prova. Ufficialmente è accreditato di 38 emittenti locali, ma calcoli ufficiosi parlano di un numero ancora più alto: contando anche le emittenti di altre regioni che sconfinano si arriva quasi a raddoppiare quella cifra. «Non sono tutte emittenti regionali, non hanno tutte bisogno ognuna di una frequenza su tutta la regione spiega Marco Rossignoli, presidente di AerantiCorallo Molte sono tv cittadine, molte altre coprono una sola provincia. Con 50 frequenze c’è posto per tutti». Già, ma se poi fossero di meno? Tanto per dire: tre frequenze, i canali 21, 45 e 57 sono assegnati al Vaticano. Oggi non li usa, tanto che sul 21 a Roma si riceve La7 di Telecom Italia. Ma in fase di assegnazione vanno tolti dal conto. «Non è un problema delle tv locali chiosa Rossignoli ma di quelle nazionali. Non è scritto da nessuna parte che le tv nazionali debbano essere 20. C’è invece il diritto di ogni emittente locale a continuare a trasmettere. Se poi ci sarà spazio per 20 nazionali più 5 per i nuovi ingressi da mettere a gara bene, se no si ridurranno le nazionali. Non è neanche detto che se Mediaset e Rai hanno 6 multiplex in Sardegna debbano averne 6 ovunque. Possono operare anche con 5 ciascuno». L’idea di fondo è che ogni tv locale debba diventare operatore di rete. Ognuna continuerà a trasmettere i propri contenuti anche in digitale e con la capacità di trasmissione in eccesso potrà sviluppare nuovi business. Nuovi canali (stanno anche nascendo delle pay tv locali sul digitale), nuovi servizi in collaborazione con le comunità locali. O potranno anche rivendere la trasmissione: a nuovi soggetti, locali o nazionali; magari anche alle telecom per fare la banda larga mobile. O forse alla stessa Mediaset. Ma è certo che non hanno intenzione di regalare tutto questo a nessuno. Nelle more di questo groviglio il processo dello switch off è entrato in stallo. In Piemonte e TrentinoAlto Adige si è chiuso il tavolo tecnico che si limita a raccogliere il numero di emittenti presenti nel territorio e che ha censito che le frequenze occupate sono tutte e 55, ossia il totale. Il verbale finale passa all’Authority e poi al ministero delle Comunicazioni per un secondo tavolo con gli operatori. E’ in questo secondo passaggio che si assegnano le frequenze. E’ già difficile immaginare che il ministero possa accettare i risultati di Piemonte e TrentinoAlto Adige. C’è chi pensa che con l’obiettivo di portare da 2 a 5 il dividendo digitale perfino gli assetti di Sardegna e Val d’Aosta potrebbero venire rivisti. Il Lazio è ancora a zero e manca anche quel primo minimo passaggio. Ed entro maggio dovrebbe invece essere tutto pronto se si vuol mantenere il calendario fissato e spegnere gli impianti analogici ai primi del prossimo novembre.

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