Giornalisti – Le contorsioni di giudizio della Cassazione (sez. lavoro) sui poteri dell’Inpgi: una sentenza dà carta bianca all’Istituto di decidere quel che vuole, ma altre tre sono di segno opposto

La Corte costituzionale: sul cumulo le casse seguono la disciplina Inps


Ricerca di Franco Abruzzo /presidente OgL

Milano, 11 settembre 2006. L’Inpgi sbandiera ai quattro venti una recente sentenza della sezione lavoro della Cassazione, che ha accolto il suo punto di vista, mentre altre tre sentenze della stessa sezione le hanno dato torto (come documentiamo). La Corte costituzione ha negato (con la sentenza 437/2002) alla Cassa ragionieri di far quel che credeva sul cumulo: questa sentenza vale per tutte le casse e, quindi, anche per l’Inpgi. Con la sentenza 137/2006 la Corte costituzionale ha sancito che “i pensionati di anzianità possono cumulare l’assegno con i redditi di lavoro dipendente (o autonomo)”. Ovviamente l’Inpgi continua ad eludere i vincoli posti dalla Consulta. Questa la rassegna della sentenze della Cassazione (sezione lavoro):

12 maggio 2006. “Ha il potere di adottare autonome deliberazioni in materia di regime sanzionatorio”

In caso di omesso o ritardato pagamento di contributi previdenziali all’ Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani (INPGI), privatizzato ai sensi del d.lgs. n.509 del 1994, la disciplina sanzionatoria prevista dall’art. 116 della legge n. 388 del 2000 non si applica automaticamente, poiché l’istituto, per assicurare l’equilibrio dl proprio bilancio (obbligo previsto dall’art. 2 del citato D.Lgs.), ha il potere di adottare autonome deliberazioni in materia di regime sanzionatorio e di condono per inadempienze contributive (ed in questo quadro rientra anche la possibilità di modulare il contenuto ed il tempo iniziale di efficacia del predetto art.116) – deliberazioni da assoggettare ad approvazione ministeriale ai sensi dell’art.3, comma 7 del d.lgs. n.509 (art.4, Comma sesto-bis della legge n.140 del 1997) – pur avendo l’istituto l’obbligo, alla stregua dell’art. 76 della predetta legge n.388 del 2000, di coordin are l’esercizio di questo potere con le norme che regolano il regime delle prestazioni e dei contributi delle forme di previdenza sociale obbligatoria, sia generali che sostitutive. (Cass. civ. Sez. lavoro, 12-05-2006, n. 11023)

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5 aprile 2005. “Le casse privatizzate non hanno il potere di incidere sulla normativa in materia di contributi e prestazioni”.

La disciplina di cui all’art. 2 del decr. lgs. 509/1994 “è stata senza dubbio profondamente innovata dall’art. 3, comma 12 della legge 335/1995”, il quale dispone che “nel rispetto dei principi di autonomia affermati dal decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 … allo scopo di assicurare l’equilibrio di bilancio … sono adottati dagli enti medesimi provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento e di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio pro rata”. E’ pertanto da una lettura combinata delle due disposizioni che può ricostruirsi in che modo l’INPGI è autorizzata a muoversi (rectius, in quali direzioni l’ente è legittimato ad eserc itare la propria autonomia), al fine di garantire l’equilibrio di bilancio.

In tema di potestà normativa degli enti previdenziali privatizzati, le disposizioni in tema di privatizzazione dei soggetti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza (artt. 2 e 3 D.Lgs. n. 509 del 1994) non hanno attribuito agli enti privatizzati il potere di incidere sulla disciplina sostanziale di tali assicurazioni (v. Corte Cost. n. 248 del 1995 e sent. n. 15 del 1999), né sulla normativa in materia di contributi e prestazioni, salvi i poteri di cui essi, eventualmente, già disponessero, sulla base della normativa preesistente. La legge n. 335 del 1995 ha, poi, perfezionato le disposizioni dirette alla garanzia di stabilità di bilancio dei predetti enti, attribuendo incisivi poteri in materia di contributi e prestazioni quali si evincono dal riferimento, sub art. 3, comma 12, legge n. 335 del 1995 citata, alla “riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di d eterminazione del trattamento pensionistico, nel rispetto del principio del pro rata, in relazione alle anzianità già maturate rispetto all’introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti”. Ne consegue che, alla stregua del tenore letterale della menzionata disposizione, i poteri attribuiti riguardano i criteri di determinazione della misura dei trattamenti pensionistici e non anche i requisiti per l’accesso ai medesimi o per la loro concreta fruizione. Né tale conclusione è smentita dalla successiva disposizione dello stesso comma, in materia di pensionamenti anticipati di anzianità, per i quali è prevista, con efficacia retroattiva, l’estensione di disposizioni sui requisiti minimi di età e di contribuzione di cui dall’art. 1, commi 17 e 18, della citata legge n. 335 del 1995. (Cass. civ. Sez. lavoro, 05-04-2005, n. 7010; FONTI Mass. Giur. It., 2005; CED Cassazione, 2005).

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25 novembre 2004. “Gli enti previdenziali privatizzati non possono adottare, in funzione dell’obiettivo di assicurare equilibri di bilancio e stabilità delle rispettive gestioni, provvedimenti che – lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico – impongano un massimale (tetto) allo stesso trattamento”.

La Suprema Corte (Cass., 25 novembre 2004, n. 22240) ha avuto modo di precisare che l’autonomia accordata all’Inpgi, oltre ad essere gravata dal vincolo finalistico della garanzia di equilibrio del bilancio, risulta ulteriormente circoscritta dalla definizione dei tipi di provvedimento che l’ente è legittimato ad adottare in funzione del perseguimento del predetto obiettivo. Si tratta – precisa la Corte – di un numerus clausus, considerato che la legge autorizza esclusivamente provvedimenti che comportino variazione delle aliquote contributive; riparametrazione dei coefficienti di rendimento; o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico.

Gli enti previdenziali privatizzati non possono adottare, in funzione dell’obiettivo di assicurare equilibri di bilancio e stabilità delle rispettive gestioni, provvedimenti che – lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico – impongano un massimale (tetto) allo stesso trattamento, e, come tali, risultino peraltro incompatibili con il rispetto del principio del pro rata, in relazione alle anzianità già maturate rispetto all’introduzione delle modifiche derivanti dagli stessi provvedimenti (nella specie, è stata dichiarata l’illegittimità della delibera 28 giugno 1997 del comitato dei delegati della Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri e dei periti commerciali, approvata con D.M. 31 luglio 1997, che aveva introdotto un tetto al trattamento pensionistico).

L’autonomia degli stessi enti, tuttavia, incontra i limiti imposti – oltre che dalla stessa disposizione che la prevede (articolo 2 decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, cit., spec. comma 1, appunto), anche – dalla previsione specifica (nel secondo periodo dello stesso articolo 3, comma 12, legge 8 agosto 1995, n. 335, cit.) dei provvedimenti che gli enti possono adottare in funzione, appunto, dell’obiettivo perseguito.

Si tratta – come è stato riferito – dei “provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti”.

Ne risulta, quindi, non solo la definizione dei tipi di provvedimento da adottare – identificati, appunto, in base al loro contenuto (“variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico”) – ma anche la imposizione del “rispetto del principio del pro rata (…)”.

Coerentemente, l’autonomia degli enti previdenziali privatizzati può esercitarsi – entro gli stessi limiti – nella scelta, cioè, di uno di quei provvedimenti ed, in ogni caso, nel “rispetto del principio del pro rata (…)”.

Esula, tuttavia, dal novero (una sorta di numerus clausus) degli stessi provvedimenti – e risulta incompatibile, peraltro, con il “rispetto del principio del pro rata (…)” – qualsiasi provvedimento degli enti previdenziali privatizzati (quale, nella specie, la delibera 28 giugno 1997 del Comitato dei delegati della Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri e dei periti commerciali, approvata con decreto 31 luglio 1997 del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, cit.), che introduca – a prescindere dal “criterio di determinazione del trattamento pensionistico” – il massimale (tetto), quale limite esterno, dello stesso trattamento.

Intanto la imposizione di un massimale (tetto) – al trattamento pensionistico a carico dell’ente previdenziale privatizzato – non integra, all’evidenza, né una “variazione delle aliquote contributive”, né una “riparametrazione dei coefficienti di rendimento”. Alla stessa conclusione deve pervenirsi, tuttavia, con riferimento ad “ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico”.

La previsione relativa – aggiunta, in via emendativa, al testo originario del disegno di legge (A.S. n. 1953, A.C. n. 2649, 12^ legislatura), nel corso dell’esame parlamentare – intende riferirsi, infatti, a tutti i provvedimenti, che – al pari di quelli specificamente identificati nominatim (di “variazione delle aliquote contributive”, appunto, e di “riparametrazione dei coefficienti di rendimento”) – incidano su “ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico”.

Ne esula, quindi, qualsiasi provvedimento, che – lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico – imponga, comunque, un massimale (tetto) allo stesso trattamento – già determinato, in base ai criteri ad esso applicabili – quale limite esterno della sua misura. (Cass. civ. Sez. lavoro, 25-11-2004, n. 22240).

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9 maggio 2002. “L’Inpgi, che esercita una funzione pubblica, deve applicare la legge 388/2000”.

“Gli enti di previdenza privatizzati esercitano una funzione pubblica. Nell’attività da loro svolta si applica il sistema sanzionatorio previsto dalla legge in caso di inadempienza agli obblighi di versamento dei contributi previdenziali. La normativa di legge concernente il sistema sanzionatorio da applicare in caso di inadempienza agli obblighi di versamento di contributi previdenziali si applica anche agli enti di previdenza privatizzati, quale l’Inpgi”. E’ questo il senso della sentenza della Sezione lavoro della Cassazione civile n. 6680 del 9 maggio 2002 (Pres. Trezza, Rel. Maiorano) resa pubblica dal sito www.legge-e-giustizia.it diretto dall’avvocato Domenico D’Amati. La sentenza vede prevalere la Rai (assistita dagli avvocati Renato Scognamiglio e Grande Franzo) e soccombere l’Istituto. In sostanza l’Inpgi deve applicare l’articolo 116 della legge 388/2000, che contiene “misure per favorire l’emersione del lavoro irregolare” e che concede “sconti” sulle sanzioni che le aziende devono pagare agli istituti previdenziali per il ritardato pagamento dei contributi e dei premi. Franco Abruzzo ha dichiarato al riguardo: “Se l’Istituto è tenuto ad applicare l’articolo 116 della legge 388/2000, deve osservare anche l’articolo 72, che prevede la libertà di cumulo tra pensione e redditi da lavoro autonomo o dipendente”.

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La Corte costituzionale (sentenza 437/2002) limita l’autonomia delle casse privatizzate ritenendo prevalente il diritto all’uguaglianza sulle esigenze di bilancio.

E’ noto che i ragionieri possono cumulare pensione di anzianità e reddito da lavoro dipendente o autonomo. Questo principio, fissato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 437/2002, vale ovviamente per i professionisti (medici, commercialisti, giornalisti, veterinari, chimici, etc) iscritti nelle altre Casse previdenziali trasformate dal dlgs n. 509/1994 in Fondazioni (è il caso dell’Inpgi) o in Associazioni di diritto privato. Gli avvocati avevano già spuntato un’analoga sentenza (n. 73/1992) dalla Consulta. Nella sentenza n. 437/2002 si legge: “E’, infatti, da osservare anzitutto che il perseguimento dell’obiettivo tendenziale dell’equilibrio di bilancio non può essere assicurato da parte degli enti previdenziali delle categorie professionali …. con il ricorso ad una normativa che, trattando in modo ingiustificatamente diverso situazioni sostanzialmente uguali, si traduce in una violazione dell’art. 3 (pari dignità sociale e uguaglianza, ndr) della Costituzione. L’iscrizione ad albi o elenchi per lo svolgimento di determinate attività è, infatti, prescritta a tutela della collettività ed in particolare di coloro che dell’opera degli iscritti intendono avvalersi”. L’ordinamento in sostanza non consente la politica dei due pesi e delle due misure. Il principio della pari dignità sociale e dell’uguaglianza vince. Sempre. Non sono ammessi trattamenti differenziati tra ragionieri e giornalisti sul piano pensionistico.

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