Giustizia – Giudizio civile: illegittimo subordinare l’azione giudiziale al preventivo reclamo amministrativo

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 296/2008 affronta il tema della cd


NORMA – QUOTIDIANO D’INFORMAZIONE GIURIDICA – Newsletter n. 34 del 04/08/2008

Il principio generale dell’accesso immediato alla giurisdizione ordinaria può essere ragionevolmente derogato da norme ordinarie, di stretta interpretazione, solo in presenza di “interessi generali” o di pericoli di abusi o di interessi sociali o di superiori finalità di giustizia. In assenza di questi presupposti è illegittima la disciplina che subordini la possibilità di promuovere contro l’amministrazione azioni giudiziali al previo esperimento di rimedi di natura amministrativa.

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 296/2008 affronta il tema della cd “giurisdizione condizionata”, concernente quelle disposizioni che, in deroga al principio generale dell’accesso immediato alla tutela giurisdizionale, subordinano la promovibilità dell’azione giudiziale alla previa attivazione di rimedi di natura amministrativa.
Si tratta generalmente di norme ispirate da finalità deflattive del contenzioso, cui negli anni il legislatore ha fatto un ricorso piuttosto frequente, tale da originare un vero e proprio filone giurisprudenziale in merito.
In merito l’orientamento della giurisprudenza costituzionale ammette la legittimità in via di principio di forme di accesso alla giurisdizione condizionate al previo esperimento di rimedi di carattere amministrativo (sentt. n. 87/1962; n. 107/1963; n. 47/1964; n. 39/1969; n. 87/1969; n. 130/1970; n. 46/1974), allorché tale vincolo sia configurato in modo da assumere natura processuale sia quale obbligo preliminare da cui dipenda la trattazione o decisione del merito, sia quale presupposto giurisdizionale di carattere generale, ovvero ancora condizione di proponibilità della domanda (in particolare, sent. n. 107/1963).
Nella maggior parte delle fattispecie tuttavia la Corte ha rilevato che un tal genere di norme realizza una grave compressione del diritto di difesa garantito dall’art. 24, Cost. e, piu specificamente, della tutela giurisdizionale dei diritti contro gli atti della pubblica amministrazione, incondizionatamente garantita dall’art. 113, e sproporzionata rispetto all’esigenza di consentire all’amministrazione la possibilità di esaminare preventivamente le doglianze degli utenti al fine di accertarne l’eventuale fondatezza, evitando lunghe e dispendiose procedure giudiziarie, e assume il carattere di privilegio ingiustificato. Ciò comporta altresì l’insanabile contrasto con l’art. 3, Cost. sotto il profilo del principio di eguaglianza delle parti del contratto, al quale deve conformarsi la disciplina del rapporto degli utenti con l’amministrazione postale in quanto rapporto di natura contrattuale fondamentalmente soggetto al regime del diritto privato (cfr. sentenze nn. 303 e 1104 del 1988).
In particolare la pronuncia in esame origina da una questione di legittimità costituzionale promossa dal Giudice di pace di Roma in ordine all’art. 15, comma primo, dell’allegato al regio decreto-legge 11 ottobre 1934 n. 1948 (Nuovo testo delle condizioni e tariffe per il trasporto delle persone sulle ferrovie dello Stato), convertito in legge 4 aprile 1935 n. 911 (Conversione in legge del R.D.L. 11 ottobre 1934 n. 1948, concernente l’approvazione di nuove “Condizioni e tariffe per il trasporto delle persone sulle Ferrovie dello Stato”), nella parte in cui, salvo il caso di danno alla persona del viaggiatore, non prevede che possono essere promosse contro l’Amministrazione le azioni basate sulle disposizioni dello stesso regio decreto se l’avente diritto, non abbia presentato reclamo in via amministrativa e non siano trascorsi 120 giorni dalla presentazione del reclamo stesso. Ad avviso del rimettente la citata disposizione collide insanabilmente con l’art. 3 della Costituzione, in relazione al principio di uguaglianza delle parti, considerata la natura tipicamente privatistica del contratto di trasporto ferroviario, nonché con l’art. 24 della Costituzione, in quanto, tale norma costituirebbe una condizione di proponibilità fortemente lesiva del diritto di difesa.
Poiché il reclamo deve essere presentato, a pena di decadenza, entro il termine perentorio stabilito (120 gg.), è chiaro che la disciplina denunciata prevede una condizione di proponibilità, la quale, se non adempiuta entro il detto termine, comporta la decadenza dell’azione giudiziaria.
Alla luce di ciò la Corte, richiamando il proprio costante orientamento in merito, ribadisce che il principio generale è quello dell’accesso immediato alla giurisdizione ordinaria, che può essere ragionevolmente derogato da norme ordinarie, di stretta interpretazione (sentenza n. 403/2007), solo in presenza di “interessi generali” o di pericoli di abusi (sentenze nn. 403/2007 e 82/1992) o di interessi sociali (sentenza n. 251/2003) o di superiori finalità di giustizia (sentenza n. 406/1993); circostanze che sono state ravvisate nel caso di controversie nascenti da rapporti di lavoro (sentenza n. 82/1992) o di assicurazioni obbligatorie (sentenza n. 251/2003), ma che non possono certo ravvisarsi nel caso di controversie con le Ferrovie, come non sono stati ravvisati in tema di attivazione di linea telefonica (sentenza n. 403/2007) e in tema di ricorsi alle poste (sentenza n. 15/1991).
Alla luce di simili premesse è giocoforza ritenere che, data l’assenza di detti presupposti, la disciplina in esame si sostanzia in “una condizione di proponibilità che menoma fortemente il diritto di difesa garantito dall’art. 24 della Costituzione”, poiché realizza “un privilegio ingiustificato, come tale lesivo del principio di uguaglianza stabilito dall’art. 3 della Costituzione”.
Peraltro nella fattispecie l’adeguamento della norma impugnata ai principi costituzionali, non può realizzarsi attraverso una interpretazione che porti a considerare la condizione di proponibilità dell’azione giudiziaria prevista dalla normativa esaminata come condizione di mera procedibilità, né può ritenersi che detta disciplina consenta comunque “all’interessato la scelta tra il preventivo esperimento del reclamo in via amministrativa (fatta salva, nel contempo, la successiva attivazione dell’impugnativa innanzi al magistrato) oppure l’immediato ricorso all’azione giudiziaria”.

Dario Immordino

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