Il giornalismo italiano nella bufera del mancato rinnovo del contratto presenta storie minori che minori non sono

Interpellanza bipartisan al Senato: il caso Telepace punto per punto. La Tv del Papa non può vivere senza la redazione romana!


Ordine dei giornalisti della Lombardia

Il 5 ottobre 2006 l’emittente Telepace ha annunciato la drastica contrazione dell’attività giornalistica e la chiusura degli spazi informativi della redazione romana, a decorrere da lunedì 9 ottobre 2006. La chiusura del notiziario (l’unico interamente dedicato alla giornata del Papa e della Santa Sede) e del programma “Speciale Interviste” (più di 150 Capi di Stato e di Governo, tra cui alcuni dei massimi protagonisti del nostro tempo, da Arafat a Rabin, da Gorbaciov a Mandela), ha suscitato stupore nella stampa italiana e internazionale, inducendo l’autorevole “Le Monde” ad occuparsene con un lungo articolo (“La télévision du Pape quitte Rome”, del 1° novembre 2006).

Pubblichiamo il testo ufficiale dell’interpellanza bipartisan presentata al Senato sul caso Telepace. Contiene una precisa ricostruzione degli eventi e pone una serie di domande ai Ministri delle Comunicazioni, della Giustizia e del Lavoro, facendo esplicito e specifico riferimento al ruolo del Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio, che nei prossimi giorni ascolterà il Direttore di Telepace. La battaglia di Piero Schiavazzi e dei suoi tre colleghi, minacciati di licenziamento, merita la solidarietà dei giornalisti italiani. Facciamo in modo che il diritto al lavoro dei 4 colleghi venga rispettato da chi si dice cristiano. Vivere da cristiani è un mestiere difficile. (F. Ab).

SENATO DELLA REPUBBLICA – RESOCONTO DEL 16/11/2006

Interpellanze

BACCINI, VALENTINO, ANTONIONE, QUAGLIARIELLO, BARELLI, MONTINO, GAGLIARDI, RUSSO SPENA, CICCANTI, CAPRILI – Ai Ministri delle comunicazioni, della giustizia e del lavoro e della previdenza sociale – Premesso che:

il 5 ottobre 2006 l’emittente Telepace ha annunciato la drastica contrazione dell’attività giornalistica e la chiusura degli spazi informativi della redazione romana, a decorrere da lunedì 9 ottobre 2006;

il 23 ottobre 2006 il direttore e fondatore dell’emittente, monsignor Guido Todeschini, in una lettera alla Federazione nazionale della stampa (FNSI), ha dichiarato l’intento di “cessare i rapporti” con i quattro giornalisti professionisti della redazione, motivandolo con la necessità di “ridurre i costi del lavoro” e di assegnare priorità economica alla spesa per “l’impegno satellitare dell’emittente”, a fronte di una “tendenza involutiva delle entrate”;

l’Associazione Stampa Romana, in un comunicato, ha subito definito la decisione di mons. Todeschini “un gravissimo atto ritorsivo contro un’intera redazione che aveva trovato la forza di ribellarsi alle vessazioni, alle ingiustizie, allo sfruttamento”;

il Presidente della Federazione nazionale della stampa, Franco Siddi, ha invitato le autorità competenti “a fare piena luce su ogni aspetto di una vicenda che assume pieghe grottesche”, dichiarando che “il dubbio che tutto ciò accada come ritorsione e ostilità verso i giornalisti appare sempre più evidente”;

la chiusura del notiziario (l’unico interamente dedicato alla giornata del Papa e della Santa Sede) e del programma “Speciale Interviste” (più di 150 Capi di Stato e di Governo, tra cui alcuni dei massimi protagonisti del nostro tempo, da Arafat a Rabin, da Gorbaciov a Mandela), ha suscitato stupore nella stampa italiana e internazionale, inducendo l’autorevole “Le Monde” ad occuparsene con un lungo articolo (“La télévision du Pape quitte Rome”, del 1° novembre 2006);

il TG dell’emittente, in onda alle 19,30 e alle 22,30, curato da Angela Ambrogetti, Simona De Santis ed Elisabetta Mancini, ha rappresentato per quindici anni una fonte quotidiana specialistica di notizie dal Vaticano, costantemente seguita e particolarmente apprezzata nelle sedi istituzionali e diplomatiche della Capitale;

le interviste domenicali di Telepace, curate da Piero Schiavazzi, hanno costituito un osservatorio privilegiato sullo sviluppo delle relazioni tra Italia e Santa Sede, ospitando nel tempo: 2 Presidenti della Repubblica (Cossiga, 1991; Ciampi, 1999); 4 Presidenti del Senato (Spadolini, 1993; Scognamiglio, 1994; Mancino, 2000; Pera, 2005); 4 Presidenti della Camera dei deputati (Napolitano, 1993, 1994; Pivetti 1995; Violante, 1998, 2000; Casini, 2002, 2006); 4 Presidenti del Consiglio dei ministri (Amato, 1992; Ciampi, 1993; Prodi, 1996; D’Alema, 1999); 5 Ministri degli affari esteri (Colombo, 1992; Andreatta, 1993; Agnelli, 1996; Dini, 1998, 2000; Fini, 2005);

il Decano del Corpo diplomatico presso la Santa Sede, Giovanni Galassi, ha espresso la “delusione” e il “malcontento” degli ambasciatori accreditati in Vaticano per la chiusura degli spazi informativi di Telepace;

quale riconoscimento della professionalità dei vaticanisti di Telepace, uno di loro è stato scelto dal Ministero degli affari esteri come curatore delle manifestazioni promosse dall’Italia in 40 città del mondo nel XXV anniversario del pontificato di Giovanni Paolo II;

nelle comunicazioni al Sindacato dei giornalisti, mons. Todeschini attribuisce la contrazione dell’attività giornalistica e la necessità dei licenziamenti ad un calo dell’80% delle offerte, che però riguarderebbe la sola sede di Roma, mentre la redazione di Verona, sede storica dell’emittente, non viene interessata dai tagli, come pure le redazioni di Gerusalemme e Fatima, che proseguono normalmente l’attività, sotto la guida del Direttore medesimo;

nel nuovo palinsesto di Telepace, inviato alla FNSI, i programmi cancellati appaiono peraltro sostituiti da produzioni più costose (dirette di cerimonie, concerti, convegni, collegamenti satellitari), offrendo paradossalmente l’immagine di un’emittente in espansione, non certo in crisi;

nonostante gli inviti “alla moderazione e al dialogo con i giornalisti”, rivolti ai dirigenti di Telepace dalle gerarchie ecclesiastiche, come riferito dagli organi di stampa, mons. Todeschini ha proseguito sulla strada dei licenziamenti, rifiutando il confronto con i propri dipendenti e dichiarando di non sentirsi obbligato a trattare con il sindacato;

l’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti (INPGI) e il Ministero del lavoro, nel primo trimestre dell’anno 2005, hanno condotto un’ispezione congiunta nella sede di Telepace di Roma, in via del Mascherino 69, accertando e contestando all’emittente molteplici inadempienze in fatto di versamenti previdenziali;

Telepace di Verona, nata nel 1977, è di proprietà della Fondazione “Artigiani della pace”;

Telepace di Roma, costituita nel 1990, è di proprietà dell’Associazione Amici di Telepace (già ditta individuale “Telepace di don Guido Todeschini”). Dal 1996 il canale trasmette anche su satellite e ha raggiunto progressivamente il mondo intero;

le due emittenti hanno un’unica programmazione, trasmessa sul satellite dalla sede di Roma e presentata sulla stampa come “palinsesto di Telepace”;

nel 2004 sono state aperte le redazioni di Gerusalemme e Fatima, che afferiscono amministrativamente alla Fondazione di Verona ma si coordinano funzionalmente con la redazione di Roma, inviando direttamente ad essa corrispondenze e servizi giornalistici;

Telepace per statuto rifiuta la pubblicità e vive di contributi di beneficenza;

sebbene Telepace di Verona e Telepace di Roma facciano capo ad enti proprietari distinti (la Fondazione Artigiani della Pace e l’Associazione Amici di Telepace), Mons. Todeschini, unico direttore di entrambe, nelle richieste di beneficenza rivolte ai telespettatori, attraverso il filo diretto bisettimanale, gli spot e gli stampati promozionali, ha sempre presentato Telepace come un’unica realtà, infondendo nei donatori e nell’opinione pubblica la percezione consolidata che Telepace è una e una sola, come pure la destinazione delle offerte;

l’Associazione Amici di Telepace, nel 2006, ha presentato istanza al Comitato regionale per i servizi radiotelevisivi del Lazio, ai sensi del decreto ministeriale 5 novembre 2004, n. 292, per ottenere i contributi previsti per l’anno 2005 a favore delle emittenti televisive locali e, ai fini degli elementi di valutazione previsti dall’art. 4 del suddetto decreto, ha dichiarato di avere tra i suoi dipendenti quattro giornalisti professionisti assunti a tempo indeterminato e di trasmettere un alto numero di ore di informazione;

nell’istanza presentata al medesimo Comitato il 28 gennaio 2005, per ottenere i benefici previsti per l’anno 2004, l’Associazione aveva peraltro dichiarato di essere in regola con il versamento dei contributi previdenziali, mentre le ispezioni congiunte dell’INPGI e del Ministero del lavoro, avviate nello stesso mese, le hanno contestato molteplici e consistenti inadempienze al riguardo;

l’Ordine dei giornalisti del Lazio, il 10 febbraio 2005, ha chiamato il direttore di Telepace a rispondere di una serie di violazioni di legge e deontologiche, con particolare riguardo al ruolo del vicepresidente, sig. Stefano D’Agostini, definito dal sindacato e dalla stampa il “padrone dell’emittente”, che per un periodo ha ricevuto e svolto l’incarico di vicedirettore, sebbene non iscritto all’Ordine, presiedendo le riunioni redazionali;

il 14 febbraio 2005, in una lettera ai giornalisti di Telepace, il presidente dell’Ordine, Bruno Tucci, assicurava che mons. Todeschini si era impegnato: a seguire il lavoro della redazione e a nominare un vice in caso di assenza; a togliere il timbro del cartellino, perché vietato dal contratto; a “evitare in maniera inequivocabile che il sig. Stefano D’Agostini si intrometta nelle questioni redazionali, perché non ne ha alcun titolo”; a evitare che le telefonate passino attraverso un centralino al quale i giornalisti devono fornire il numero;

il 12 aprile 2005 un comunicato dell’Associazione Stampa Romana denunciava “il grave comportamento dell’emittente Telepace, per la sistematica violazione delle norme contrattuali, dello Statuto dei lavoratori e delle leggi, in aperto contrasto con la dottrina sociale della Chiesa”;

il comunicato dell’Associazione Stampa Romana denunciava altresì “le ritorsioni contro i giornalisti” e terminava con l’affermazione e previsione, già allora, che “tali ritorsioni rivelano lo scopo evidente di chiudere la redazione romana, cui non si perdona di avere denunciato all’Ordine e al Sindacato le violazioni della deontologia e della legalità.”;

il 12 luglio 2005, un duplice comunicato del Presidente della FNSI e dell’Associazione Stampa Romana denunciava il tentativo di emarginare sul lavoro e nel palinsesto il giornalista Piero Schiavazzi, volto noto dell’emittente, “per avere preso le difese dei colleghi”;

il 15 luglio 2005, i giornalisti di Telepace proclamavano 5 giorni di sciopero “contro la minaccia di chiusura della redazione romana, l’assenza di relazioni sindacali e gli attacchi al fiduciario di redazione, con motivazioni infondate e illegittime” ( “Nella televisione va in onda il primo sciopero” da “il Giornale” del 16 luglio 2005; “Contro la minaccia di chiusura, sciopero a Telepace”, da “La Repubblica” del 16 luglio 2005);

“la Repubblica” del 24 ottobre 2006 e “l’Espresso” del 2 novembre 2006 hanno riportato la notizia che quattro dipendenti di Telepace sono iscritti nel registro degli indagati dalla Procura di Roma per falsa testimonianza contro una giornalista dell’emittente in una causa di lavoro (sentenza del Tribunale del Lavoro di Roma, n. 10360/06, del 24 maggio 2006), sollevando il sospetto che siano stati “istigati da qualche superiore” (“L’Espresso”);

articoli e titoli di giornali, da due anni a questa parte, hanno fatto spesso riferimento alle violazioni di legge, della deontologia e dei contratti a Telepace (ad esempio: “Mobbing a Telepace”, “la Stampa” del 13 aprile 2006, “Una bufera sindacale su Telepace”, “l’Arena” del 13 aprile 2006; “Va in onda Telebugia”, “l’Espresso” del 2 novembre 2006) e nell’ultimo periodo hanno posto l’accento sul carattere ritorsivo della chiusura della redazione romana, riflettendo il convincimento diffuso nell’opinione pubblica (ad esempio: “Signori non servite più, e Telepace va alla guerra”, “Liberazione” dell’8 ottobre 2006; “Telepace chiude il TG: i giornalisti ritorsione”, “la Repubblica” del 9 ottobre 2006; “Lavoro nero alla TV del Papa”, “la Stampa” del 3 novembre 2006),

si chiede di sapere:

dal Ministro delle comunicazioni:

se sia vero che l’Associazione Amici di Telepace, nell’anno 2006, avendo chiesto al Comitato regionale per i servizi radiotelevisivi del Lazio di ottenere i contributi previsti per l’anno 2005 a favore delle emittenti televisive locali, ai sensi del decreto ministeriale 5 novembre 2004, n. 292, e avendo dichiarato, ai fini degli elementi di valutazione previsti dall’art. 4 del suddetto decreto, di avere tra i propri dipendenti quattro giornalisti professionisti assunti a tempo indeterminato, ha conseguito una collocazione avanzata in graduatoria proprio grazie ai quattro dipendenti giornalisti, che oggi si appresta a licenziare, e all’elevato numero di ore settimanali di informazione riportate nella domanda, ma cancellate dal palinsesto;

quale sia la spesa sostenuta per l’affitto dei satelliti, che si definisce “irrinunciabile”, rapportata, in generale, al bilancio dell’emittente e, in particolare, ai “costi del lavoro sui quali si rende necessario intervenire”, consistenti nella retribuzione, ai minimi contrattuali, di un giornalista full-time e di tre giornalisti part-time; di conoscere le spese sostenute per i programmi (cerimonie, concerti, convegni) che attualmente, come annunciato da mons. Todeschini, sostituiscono gli spazi informativi soppressi, rapportate ai costi di produzione degli stessi;

se sia vero che, in contrasto con la percezione consolidata dell’opinione pubblica, con la prassi di lavoro instaurata per anni tra i giornalisti delle diverse redazioni e con quanto lo stesso fondatore e direttore ha sempre pubblicamente sostenuto – che cioè Telepace è un’unica “realtà” – Telepace di Roma, come invece mons. Todeschini ha dichiarato sorprendentemente nella lettera in cui annuncia la chiusura della redazione romana, “non intrattiene alcun altro tipo di rapporto né di lavoro con altri giornalisti né con altre strutture societarie, quali Telepace di Verona, Telepace di Lodi, Telepace di Gerusalemme, Telepace di Trento, Telepace di Agrigento, Telepace di Fatima, Telepace di Chiavari, Telepace di Ostrawa; che le predette “realtà sono completamente diverse e distinte dalla Associazione Amici di Telepace di Roma e, sia che si tratti di veri e propri soggetti giuridici o di mere strutture organizzative, non hanno comunque alcun tipo di rapporto con la Associazione Amici di Telepace di Roma”;

se sia vero che, in contrasto con la prassi consolidata di contatti regolari e diretti fra i giornalisti della redazione romana e i colleghi delle altre sedi, i prodotti giornalistici delle altre “realtà”, come mons. Todeschini ha dichiarato nella lettera in cui annuncia la chiusura della redazione romana, sarebbero stati fin qui trasmessi alla redazione di Roma solo e soltanto attraverso la Fondazione di Verona, quale “unico momento di contatto esistente tra l’Associazione Amici di Telepace e le altre realtà di Telepace”;

con quali modalità le offerte che mons. Todeschini richiede ai telespettatori “per Telepace” (senza distinguere fra Telepace di Roma e di Verona) e che i benefattori inviano “a Telepace”, percependola come un unicum, vengano ripartite tra la Fondazione Artigiani della Pace (proprietaria di Telepace di Verona) e l’Associazione Amici di Telepace (proprietaria di Telepace di Roma) e se il drastico “calo delle offerte” che avrebbe investito Telepace di Roma sia riconducibile alla volontà dei donatori, attraverso un orientamento definito dall’indicazione di una causale specifica, o corrisponda invece a un’opzione dell’unico direttore e fondatore di entrambe, nonché destinatario delle offerte, nel momento di ripartire i fondi fra Telepace di Verona, che risulta in salute, e Telepace di Roma, che risulta in crisi, rendendo così necessaria “la scelta seppure dolorosa di intervenire sui costi del lavoro”;

se, in definitiva, questa inedita e improbabile rappresentazione a “compartimenti stagni” (Telepace di Roma, di Verona, di Gerusalemme, di Fatima, di Trento, eccetera) di una emittente che nella percezione della Chiesa, dell’opinione pubblica, dei telespettatori e soprattutto dei benefattori ha sempre costituito un unicum, rispecchi l’autentica realtà di Telepace o corrisponda invece a una costruzione giuridica per legittimare sul piano del diritto, non certo dell’etica, quattro odiosi licenziamenti in quella che è universalmente nota come “la TV del Papa”;

dal Ministro della giustizia:

se corrisponda al vero che l’amministratore delegato dell’emittente ha ricevuto ed esercitato per un periodo l’incarico di vicedirettore giornalistico, pur non essendo iscritto all’Ordine; che i giornalisti erano tenuti al timbro del cartellino; che i giornalisti erano costretti a fornire a un centralino il numero dei destinatari delle loro chiamate;

se mons. Guido Todeschini abbia osservato l’impegno, assunto il 10 febbraio 2005 davanti all’Ordine dei giornalisti, di seguire personalmente e regolarmente il lavoro redazionale, nominando in sua assenza un vicedirettore, o se al contrario, non potendo ricondurre la redazione, come ogni altro ambito di Telepace, sotto la diretta responsabilità del vicepresidente, sig. Stefano D’Agostini – suo uomo di fiducia ma non iscritto all’Ordine – abbia coltivato il progetto di chiusura, trasgredendo l’impegno con l’Ordine, omettendo di intervenire alle riunioni redazionali ed evitando sistematicamente i contatti con i giornalisti;

se non ritenga di verificare la fondatezza del sospetto, avanzato dalla stampa, che quattro dipendenti di Telepace, indagati dalla Procura di Roma per falsa testimonianza, siano stati “istigati dai superiori”, ed inoltre se tale “istigazione”, qualora riscontrata, si sia ripetuta e/o possa ripetersi in altre vertenze dei giornalisti di Telepace;

quale sia stato l’esito dei diversi esposti recentemente presentati e attualmente pendenti davanti all’Ordine dei giornalisti del Lazio per verificare tra l’altro:

a) l’inadempienza dell’impegno assunto da mons. Todeschini di seguire personalmente il lavoro redazionale e di nominare in sua assenza un vicedirettore;

b) la presunta violazione da parte di mons. Todeschini dell’art. 7, comma 2, lettera b), in relazione ai precedenti articoli 2 e 3 del Testo unico della radiotelevisione n. 177 del 2005, nella procedura che ha portato alla brusca cancellazione dei programmi della redazione romana;

c) la presunta violazione da parte di mons. Todeschini degli artt. 48, comma 1, 54 e 55 della legge professionale 3 febbraio 1963, n. 69 e la eventuale incompatibilità fra la carica di direttore responsabile di Telepace e di presidente dell’Associazione Amici di Telepace;

d) la presunta violazione degli art. 348 e 498 del codice penale da parte di un non iscritto all’Ordine che, su incarico del Direttore, ha ricevuto ed esercitato le funzioni di vicedirettore presiedendo le riunioni redazionali;

con riferimento al quadro di sistematica illegalità che emerge dalle denunce del sindacato e dalle continue notizie di stampa, e che ha già provocato l’intervento dell’Ordine dei giornalisti, dell’INPGI, del Ministero del lavoro, del Tribunale del lavoro, della Procura di Roma, se non ritenga di verificare urgentemente, con una serie altrettanto sistematica di opportuni accertamenti, se e quali ulteriori violazioni della legalità siano avvenute e/o avvengano nell’emittente Telepace, sotto i diversi profili della legislazione penale, civile, lavoristica, tributaria, sanitaria;

al Ministro del lavoro e della previdenza sociale:

quali violazioni della normativa vigente, dello Statuto dei lavoratori, del Contratto nazionale giornalistico e degli obblighi previdenziali siano state riscontrate a seguito dell’ispezione condotta dall’INPGI e dal Ministero del lavoro nella sede dell’Associazione Amici di Telepace, durante il primo trimestre del 2005, e quali conseguenti misure siano state adottate;

se corrisponda al vero che, dalla data dell’assunzione e fino alle ispezioni suddette, i giornalisti di Telepace per più di dieci anni non hanno ricevuto, se non sporadicamente, il prospetto mensile della busta paga;

se sia vero che i giornalisti di Telepace di Verona beneficiano tutti di contratti a tempo pieno, mentre a Roma tre giornalisti su quattro risultano contrattualizzati a part-time, sebbene impiegati a tempo pieno; che la redazione di Verona è strutturata gerarchicamente, con la presenza, la qualifica e la retribuzione di un caporedattore, mentre i giornalisti di Telepace di Roma si trovano tutti, da sempre, al minimo contrattuale;

quali iniziative siano state adottate per accertare, sanzionare, sanare la “serie inaudita di abusi” denunciati dall’Associazione Stampa Romana nel comunicato del 12 aprile 2005: “tecnici che pretendono di dirigere i giornalisti; colleghi assunti a part-time che lavorano a tempo pieno; colleghi costretti a lavorare gratis sottoscrivendo dichiarazioni di volontariato; negazione delle qualifiche acquisite di diritto; discriminazione delle donne giornaliste, con preclusione delle telecronache papali; nessun riconoscimento di festivi, straordinari, trasferte; filtri alle telefonate”;

se corrisponda al vero che Telepace, a seguito delle proteste dei giornalisti, ha adottato nei loro confronti una serie di ritorsioni elencate nello stesso comunicato del 12 aprile 2005: “attacchi contro i redattori e soprattutto contro il loro rappresentante sindacale; drastica riduzione delle attività informative ed estromissione dalle dirette dal Vaticano; redattori posti in ferie d’autorità; agitazione e utilizzo del personale tecnico in danno dei giornalisti; penalizzazione in palinsesto di trasmissioni di punta riprese dalla stampa; un noto collega lasciato senza scrivania e senza sedia per aver preso le parti della redazione”;

quali iniziative siano state assunte contro quella che l’Associazione Stampa Romana ha definisce “persecuzione dei giornalisti per il loro impegno sindacale”;

se, in definitiva, la motivazione dei licenziamenti risieda in una “dolorosa” e recente necessità economica – mentre si continua ad investire in costose produzioni, sedi estere, affitti satellitari – o in una pervicace e datata volontà politica, come risulta e risalta dalla ricostruzione degli eventi, dal parere univoco degli osservatori, dai resoconti della stampa italiana e internazionale.

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