Lo strano caso delle associazioni radiotelevisive

Diminuiscono le emittenti, aumentato le sigle sindacali

E’ sempre stato un mondo curioso, quello delle associazioni di emittenti radiotelevisive italiane. Se ne sono viste di tutti i colori (non solo politici), dagli esordi ai nostri giorni: associazioni che si combattevano alacremente e che poi si sono riunite sotto lo stesso tetto; rappresentanze dai nomi altisonanti ma con rappresentati inesistenti; sindacati monorappresentativi ed organizzazioni di emittenti locali sorte per tutelare stazioni… nazionali. Molti dei nomi storici appartengono ormai alla… storia; qualcuno sopravvive con dignità, tutelando coi denti posizioni ormai purtroppo compromesse da una politica feroce su media radiotelevisivi; diversi hanno ceduto a compromessi (a volte anche imbarazzanti) pur di salvare il ruolo (o il posto?); taluni si sono venduti associazione & associati e tali altri li hanno comprati. Quello che è curioso, è che non si è mai avuto, e non si ha tuttora, cognizione dell’effettiva consistenza rappresentativa delle organizzazioni: se sommiamo le cifre dichiarate da ogni associazione, giungiamo, senza problemi, al triplo delle emittenti esistenti in Italia! E’ ciò dando ovviamente per scontato che tutti i soggetti siano iscritti ad una sigla sindacale, mentre sappiamo benissimo che una quota rilevante di editori non è (mai stato, o non lo è più) iscritto a nessuna associazione.  Ma allora? E’ forse credibile che la quasi totalità delle emittenti sia iscritta a due, tre o magari quattro associazioni contemporaneamente? Siamo seri: si tratta di dati gonfiati come dei palloni e che infatti suscitano, da sempre, l’ilarità dei funzionari ministeriali seduti ai tavoli di confronto con le rappresentanze di emittenti e che contribuiscono a screditare il settore. In una cerchia ristretta, anzi ristrettissima, come quella delle emittenti radiotelevisive (edite da un numero di soggetti che supera ormai di pochissimo le 1500 unità e che è in progressiva rapida diminuzione), logica vorrebbe che si costruisse credibilità diffondendo dati reali e che si coltivassero alleanze, invece di provocare ulteriore frammentazione. E invece, dopo quello che tempo fa interessò l’associazione delle reti nazionali radio (quando RTL, Radio 101, Radio 105 e RMC uscirono dall’associazione Radio Nazionali Associate e si pensò, sbagliando, che di lì a breve sarebbe nata una nuova sigla sindacale delle nazionali), un’altra fuoriuscita da organizzazioni esistenti, nelle quali evidentemente le emittenti non si riconoscevano più, ha condotto (questa volta sì) alla nascita della Elit (Editori liberi televisivi). Undici emittenti televisive che dichiarano un fatturato di 50 milioni di euro, tra i quali figurano gli editori Parenzo (Telelombardia ed Antenna 3) e Rossi (Primocanale), portano in dote numeri che possono fare la differenza (soprattutto in termini politici), rendendo certamente più caldi i tavoli istituzionali e magari più complicato giungere ad accordi. Allo stato, salvo dimenticanze, le sigle sindacali attive (a livello nazionale) dovrebbero essere 9: Aeranti-Corallo (radio e tv), AIR-IAB (tv), CNT (tv), Conna (radio e tv), Elit (tv), FRT (radio e tv), REA (radio e tv), RNA (radio nazionali) e Terzo Polo (tv). Non male, per un settore che ha sempre professato l’unità per la difesa di interessi comuni.
 

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