L’Oscar della par condicio? Lo vince il Tg3 di Di Bella

A parte Tg1 e tg3 nessuno degli altri telegiornali rispetta le normative dell’Authority sulla par condicio. Il più parziale, naturalmente, il Tg4 di Emilio Fede


Una volta, in epoca di monopolio, la Rai suddivideva le redazioni del propri tg in base all’appartenenza politica dei giornalisti ed ai partiti in questione donava, per così dire, un occhio di riguardo: Tg1 alla Dc, Tg2 ai Socialisti, Tg3 ai Comunisti. Questa suddivisione non esiste più, ma nell’immaginario della gente il Tg3 rappresenta ancora oggi la voce della sinistra più estrema, quella davvero comunista (almeno nelle sigle, molto meno nella pratica, checché ne dica Berlusconi). Niente di più sbagliato: il telegiornale della rete minore di casa Rai, affidato ora alla direzione di Antonio Di Bella, è quello che spicca maggiormente in quanto ad imparzialità. Lo scorso 22 febbraio, infatti, una delibera dell’Authority, pubblicata poi il 12 marzo, richiamava i direttori di tutti i tg all’imparzialità e all’obiettività, anche non in periodo di campagna elettorale. Ed uno studio effettuato dalla stessa Authority ha dimostrato come solo due dei sette tg nazionali rispettino le regole imposte da Calabrò e soci: il Tg1 di Gianni Riotta e il Tg3 di Antonio Di Bella, con quest’ultimo in testa in quanto a rispetto dei parametri. I “famosi” parametri recitano chiaro: la totalità dello spazio d’informazione va rigidamente suddiviso in tre parti uguali tra Governo, maggioranza ed opposizione. Il Tg di Di Bella dedica il 38,4% dello spazio al Governo (oggi come oggi è abbastanza comprensibile che si destini più spazio alle intricate vicende di Governo), il 22,5% al centro-sinistra e il 25,04% alla CdL: se le percentuali non sono perfette, ci si avvicinano molto. Imparziale anche il Tg di Gianni Riotta, nonostante una lieve tendenza in direzione della CdL (40,36%-19,46%-28,7%), ma anche qui, dato il momento storico che stiamo attraversando, ci sentiamo di giustificare questo lieve scompenso. Dopo questi due modelli positivi il nulla. Le percentuali registrate tra gli altri cinque telegiornali sono piuttosto inquietanti: se il Tg La7 pare fornire informazione governativa (55,8%-21,3%-9,12%), i tre tg Mediaset sembrano il festival del berlusconismo, con l’aggiunta del Tg2 di Mauro Mazza. Il Tg5, dopo la storica uscita di Mentana e l’insediamento del figliol prodigo Carlo Rossella, ha mutato completamente assetto, assumendo un sistema bipolare invece che tripolare, conglobando Governo e maggioranza in un unico attore (con il 43,8% del totale del tempo disponibile) da contrapporre alla Casa delle Libertà (con il 43,6%), raggiungendo così un equilibrio praticamente perfetto. Da segnalare, inoltre, le disparità di trattamento e trattazione da parte del Tg2 di Mazza (18,4% del tempo alla maggioranza e 36,6% all’opposizione) e, soprattutto, di Studio Aperto di Mario Giordano che, tra un Vallettopoli ed un’auto celebrazione di una star tv, tra un gattino investito da un’auto ed uno scandalo del Grande Fratello, destina il 15,7% del proprio tempo alle faccende della maggioranza ed il 52% a quelle dell’opposizione. Infine, appare quasi scontato lo squilibrio all’interno del Tg4 di Fede, dove le parole del premier Romano Prodi hanno trovato spazio per solo 66 secondi in un mese intero (febbraio) e, a fronte di un 29,1% del tempo riservato al centro sinistra e di un 59,9% destinato al centro destra, il Governo gode di un 6,67% che dovrebbe far rizzare sulla propria poltrona Corrado Calabrò. (Giuseppe Colucci per NL)

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