Milano da bere: ovvero della morte (e della sopravvivenza) delle radio locali

Nuove Antenne (Conna) commenta un vecchio articolo di NL fornendo alcuni spunti di riflessione


Sul numero di novembre 2007 del periodico Nuove Antenne, edito dall’associazione di emittenti locali Conna, il cui presidente Mario Albanesi ci cordialmente invia ad ogni pubblicazione, sono ospitati due articoli che ci riguardano: uno è la recensione della recente pubblicazione, di matrice giuridica sul settore radiofonico italiano, del direttore di questo periodico Massimo Lualdi (che ringrazia); l’altro è un interessante contributo di Danilo Maddalon, editore radiofonico friulano, che commenta un pezzo pubblicato su queste pagine diversi mesi fa.
Milano da bere – Nelle sempre interessanti pagine di newslinet.it si legge notizia di una prossima ennesima chiusura riferita ad una grossa radio locale milanese che preferisce “monetizzare” cedendo gli impianti al network di turno piuttosto che proseguire le proprie trasmissioni. Newslinet aggiunge alcune considerazioni sulle scelte degli editori locali che cedono passo ed impianti ai facoltosi “colleghi” nazionali, poichè l’emittente in oggetto appartiene all’area milanese partendo dal presupposto che Milano per vari motivi sarebbe radiofonicamente assai più avanti rispetto al resto delle radio italiane (gli altri giocavano ancora con i trasmettitori…) e mi pare si voglia dedurre più o meno il seguente principio: se una radio locale pur potente e finanziariamente salda chiude a Milano chiuderanno prima o poi anche le altre emittenti locali del resto d’Italia. Una sorta di principio legato ad una “Milano caput mundi della radio” che mi lascia piuttosto perplesso, sono torinese di nascita e friulano di adozione, non vorrei la mia sembrasse opinione dettata da campanilismo visto che tra MI e TO non è mai corso troppo buon sangue neppure a livello calcistico… Non credo comunque si possano esportare le regole della realtà radiofonica milanese all’Italia intera, Milano nel bene e nel male è certamente “caput mundi” del consumismo italiano e non solo in ambito radiofonico, tutto costa molto e tutto ciò che non produce molto profitto non sopravvive, ma non credo sia da augurarsi che questo trend presto o tardi contagi l’Italia intera. Gestire una radio locale se si bada esclusivamente al profitto non è oggi cosa facile, i grossi fallimenti con “buchi” di milioni di euro se li possono permettere senza batter ciglio solo i grossi editori (vedi Play Radio) tanto costoro si abbeverano in vario modo al pozzo di San Patrizio del danaro pubblico. La vita di una stazione radio locale è irta di difficoltà perchè si opera in un paese dove le leggi radiotelevisive sono confezionate ad uso e consumo di grandi capitali e di grandi referenti, dove gli editori nazionali mantengono indisturbati frequenze non indispensabili più volte ridondanti al solo fine di migliorare le posizioni nelle indagini d’ascolto senza migliorare i contenuti, dove solo le cosiddette “emittenti nazionali comunitarie” possono per legge (quella che nei tribunali è scritto a caratteri cubitali debba essere uguale per tutti…) occupare nuove frequenze per scambiarle – o meglio poi venderle – con semplici escamotages ai soliti, e dove un Ministero preposto al settore è sempre latitante quando dovrebbe per legge difendere i diritti quotidianamente calpestati delle realtà radiofoniche minori, ed inerte nella miglior ipotesi, lontano metter fine a tutti i sopprusi e a dar luogo a regole radiotelevisive da paese civile e non da far west.. Ma nonostante queste vergogne tipicamente italiane l’esperienza con questa associazione mi conferma quotidianamente che ci sono tuttora centinaia di editori radiofonici locali i quali proseguono con passione e tenacia nel loro lavoro (quasi una missione mi vien da pensare) non preoccupandosi troppo se quest’estate non potranno permettersi la vacanza alle Maldive o quest’inverno la settimana bianca a Cortina, pagando invece di propria tasca le bollette quando le cose non vanno benissimo. Costoro forse non disporranno sempre di apparecchiature all’ultimo grido o di studi galattici ma hanno il grande patrimonio della passione per la radio, quella passione che pare invece appassita in alcuni editori radiofonici di quella “Milano da bere” diventata famosa con questo nome negli Anni 80, che da allora pare aver sostituito l’amore per la radio con quella per il “danè”. Insomma tutto quello che non rende si butta, pardon si vende, tanto nel ns settore qualcuno ha sempre pronti i soldi sull’unghia”.

Da parte nostra una sola, stringata, osservazione: l’automatismo deduttivo che Maddalon vorrebbe far discendere dal nostro articolo, in base al quale “se le radio locali chiudono a Milano, presto chiuderanno ovunque” non ci pare così scontato. Come i lettori potranno verificare rileggendo il nostro pezzo, le considerazioni (immediate o riflesse) ci sembrano differenti. Ciò, naturalmente, nulla toglie alla pregnanza dell’analisi di Nuove Antenne, che suggerisce più di una riflessione.

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