P2P, è arrivato l’autunno?

Confermata la sentenza che mette in croce la società che produce Morpheus mentre LimeWire decide di denunciare la RIAA. Un rapporto afferma: il P2P danneggia le vendite di CD. Al Congresso intanto bollono nuove norme anti-P2P


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Los Angeles (USA) – Arriva prevista, ma nondimeno pesante come una scure, la sentenza di un tribunale federale americano che imputa a StreamCast, società che distribuisce il celebre client di sharing Morpheus, una responsabilità diretta per la violazione del diritto d’autore messo in atto da molti degli utenti del proprio software.
La sentenza del giudice Stephen V. Wilson è tutta in 60 pagine che rappresentano un atto d’accusa contro il peer-to-peer e contro le società che lo hanno promosso. Il magistrato ritiene infatti che l’azienda abbia incoraggiato i propri utenti a condividere musica, film ed altri materiali protetti dal diritto d’autore, dando così manforte alla pirateria. A suo dire ci sono prove inconfutabili, peraltro fornite in particolare da RIAA, che sui network di Morpheus siano stati fatti girare grandi quantità di file senza autorizzazione: una “violazione di massa” che per il giudice si trasforma in una “prova schiacciante degli intenti illegali di StreamCast”.

Con il suo giudizio il tribunale ha chiuso il caso per l’azienda da anni nel mirino delle grandi della musica e del cinema, una decisione inevitabile alla luce della sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che, prendendo spunto proprio dal caso di Morpheus (e di Grokster), ha stabilito la complicità dei produttori di client P2P con i propri utenti impegnati nello sharing di file protetti.

Ed è interessante notare come lo stesso giudice Wilson in primo grado, dunque prima della decisione dei massimi giudici federali, avesse stabilito che le softwarehouse del P2P non potessero essere considerate responsabili per i comportamenti dei propri utenti. Un orientamento che aveva retto anche in appello ma che, appunto, ora non ha potuto che prendere atto della scelta della Corte di Washington che ha rispedito a Wilson il caso condito dalla propria sentenza.

“Non c’è una sentenza che da sola risolva il problema pirateria – ha dichiarato un entusiasta Mitch Bainwol, chairman e CEO della RIAA – né ve n’è una che possa rimediare ad alcuni anni di grandi sfide per la comunità musicale, ma non ci sono dubbi che le regole della strada per la musica online sono migliori oggi di quelle di ieri”. Una tesi peraltro condivisa anche dall’industria musicale italiana.

In attesa di conoscere l’ammontare dei danni che le major otterranno da StreamCast, a sua volta impegnata in cause contro eBay e contro Skype sul fronte dei brevetti, a tenere banco è la clamorosa scelta di LimeWire, tra i nomi più noti del file sharing, di denunciare la RIAA in risposta alle aggressioni legali di quest’ultima.

Secondo LimeWire, RIAA ha messo in piedi un’azione legale con lo scopo di azzerare la concorrenza, turbare illegalmente il mercato, interferire illecitamente nelle attività di terzi e portare a compimento le proprie pratiche commerciali ingannevoli. Tutto questo si intreccia quindi con la denuncia di RIAA contro LimeWire.

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