Radio, Tv ed Editoria online hanno un nuovo nemico pericoloso in comune: il bounce rate. Quando le dimensioni non contano

bounce rate

Il Bounce Rate, che possiamo tradurre grossomodo come “frequenza di rimbalzo”, è un termine statistico che qualifica, correggendo l’analisi quantitativa, il traffico di siti web.
Il bounce avviene, infatti, quando l’utente abbandona il sito, dopo aver preso visione di una sola pagina web, entro pochi secondi. E il rate, naturalmente, assegna un valore a tale comportamento.

Gli stimoli

Tendenzialmente contenuti d’appeal ed un buon layout grafico dovrebbero incentivare l’utente nell’esplorazione del sito e quindi restituire un buon punteggio in termini di bounce rate. Ma quant’è la soglia minima, in termini temporali?

30 secondi? Sarebbe già un successo

Fino a poco tempo fa il bounce rate era fissato in 30 secondi: una durata che gli analisti qualitativi – e soprattutto i pubblicitari – non consideravano sufficiente per un’interazione minima coi contenuti di un portale. E quindi con le sue inserzioni pubblicitarie.

Uscita precoce

Ora, con masse di lettori che difficilmente vanno oltre titolo e sottotitolo di un articolo, si tende ad abbassare il bounce rate. Addirittura fino a 5 secondi. E ciò in quanto trattenere un utente su un sito oltre i 30 secondi sta diventando sempre più difficile. Soprattutto senza attingere facilmente a contenuti scandalistici, a sfondo sessuale o disinformativo.

Il rimbalzo secondo Google

Google Analytics definisce il “rimbalzo” come “una sessione di una sola pagina sul sito”. Esso è calcolato in modo specifico come una sessione che attiva una sola richiesta al server Analytics. Ad esempio, quando un utente apre una singola pagina sul sito ed esce senza attivare altre richieste al server Analytics durante la sessione.

La durata della relazione con l’utente

La frequenza di rimbalzo è invece il rapporto tra le sessioni di una sola pagina divise per tutte le sessioni o la percentuale di tutte le sessioni sul sito nelle quali gli utenti hanno visualizzato solo una pagina e hanno attivato una sola richiesta al server Analytics.

Queste sessioni di una sola pagina hanno una durata pari a 0 secondi, dato che non ci sono hit successivi al primo, che permetterebbero ad Analytics di calcolare la lunghezza della sessione.

Bounce rate intermediale e zapping compulsivo

Ora il problema del bounce rate si sta gradatamente trasferendo dall’editoria online ai contenuti radiofonici e televisivi in streaming, quale evoluzione esponenziale del conosciuto fenomeno dello zapping compulsivo della tv via etere.

Il rapporto con Netflix

Prendiamo il caso di Netflix: abbiamo già affrontato nel recente passato, su queste pagine, il problema del disorientamento dell’utente nei confronti di un numero sempre più elevato di contenuti a disposizione.

I preliminari

Qualcuno li definisce i “preliminari” e spesso occupano oltre 15 minuti di scorrimento di immagini, sintesi o trailer prima della scelta e quindi della visione di un contenuto. Attività di cernita che giunge, in non pochi casi, a 30 minuti, fino a protrarsi, in casi non rari, all’abbandono della scelta per indecisione assoluta.
Accade poi che, iniziata una serie o un film, dopo poco si rinunci alla visione per puntare verso un’altra opzione.

La maggioranza delle sessioni di streaming radio al di sotto di 30 secondi

Anche con lo streaming radiofonico il tasso di abbandono sta diventando un fenomeno rilevante, come misurano strumenti di analisi come StatCast.

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Le conseguenze

Conseguenza di questa tendenza deleteria è che il valore assoluto dei click o degli ingressi sulle piattaforme assumono sempre meno rilievo, assegnando prevalenza al tempo di permanenza. Con l’effetto singolare che mezzi con un numero di utenti relativamente basso rispetto ai parametri fin qui assunti a riferimento, ma fortemente fidelizzati (e quindi con un buon parametro di bounce rate) vengono sempre più corteggiati dagli inserzionisti per la loro aura di autorevolezza implicitamente riconosciuta.

No clickbait

Si tratta, in qualche modo, della rivincita di contenuti che non hanno ceduto alla massimizzazione indefinita dell’ascolto o al clickbait. Cioè il termine dispregiativo che indica un contenuto web la cui principale funzione è di attirare il maggior numero possibile d’internauti, per generare rendite pubblicitarie online.
Perché, come si dice, non sempre è il volume che conta. Ma la durata. (M.L. per NL)

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