Radiodiffusione: la DGSCER conferma l’estensibilità della scheda B a province non originariamente censite

Salvo interventi di segno contrario della magistratura amministrativa, è fatta: le schede tecniche B degli impianti di radiodiffusione sonora potranno essere modificate introducendo province non originariamente censite.

Lo ha confermato la D.G.S.C.E.R. del Ministero dello Sviluppo Economico con un parere reso la scorsa settimana che, con ogni probabilità, determinerà l’inondazione degli Ispettorati territoriali di istanze per la correzione del campo 69 della scheda B degli impianti di radiodiffusione sonora censiti ex art. 32 L. 223/1990. Nel merito, la D.G.S.C.E.R., rammentando che, ai sensi dell’art. 4 del 16/12/2004 è di competenza dell’Ufficio V della D.G.P.G.S.R. l’esame dei piani tecnici relativi agli impianti di radiodiffusione sonora e televisiva privata nazionale e locale, nonché l’assistenza agli Ispettorati territoriali nelle pratiche di modifica delle caratteristiche degli impianti di radiodiffusione, si è allineata all’orientamento (controverso e foriero di una prevedibile reazione a catena che ingolferà gli I.T.) della Direzione tecnica, confermando l’estensibilità del campo 69 della scheda tecnica B a province non originariamente censite. A riguardo della genesi della vicenda, ricordiamo che il tutto aveva preso le mosse questa estate, a seguito di un parere espresso dalla D.G.P.G.S.R. del Ministero dello Sviluppo Economico – Dipartimento Comunicazioni (MSE-Com) sull’estensibilità a casi analoghi a quello disaminato della decisione assunta sull’argomento dal TAR Veneto (cfr. articolo di approfondimento del 03/09/2013). L’orientamento della D.G.P.G.S.R. era stato contestato da più parti (e, del resto, diversi Ispettorati territoriali avevano mostrato grande perplessità sulla questione); nondimeno, incalzata dalle reazioni di diverse emittenti radiofoniche, la direzione tecnica del MSE-Com era tornata sull’argomento confermando pervicacemente la propria posizione. Nel merito, come noto, l’art. 32 della L. 223/1990 stabiliva che i privati che, alla data di entrata di tale legge, esercivano impianti per la radiodiffusione avrebbero potuto proseguirne l’esercizio all’ulteriore condizione che avessero reso, entro sessanta giorni, comunicazione contenente i dati e gli elementi previsti dall’art. 4 comma 1 del D.L. 807/1984, corredata dalle schede tecniche di cui al decreto del ministro delle Poste e delle telecomunicazioni datato 13/12/1984. Tale norma gravava l’operatore dell’onere della corretta compilazione delle schede, in quanto i documenti tecnici in parola, tra cui quella relativa al territorio interessato dalla radiodiffusione (campo 69 scheda B), delimitavano l’ambito territoriale dell’autorizzazione. Ricordiamo che, nel caso portato all’esame del TAR Veneto, era accaduto che un’emittente, rilevato un errore di compilazione delle schede originarie (nella specie, l’omissione di province utilmente servite), aveva prodotto, molti anni dopo il censimento del 1990, un’istanza di correzione relativamente al campo 69, chiedendo all’Ispettorato Territoriale competente dell’attuale MSE-Com l’integrazione sul piano amministrativo dei territori illuminati di fatto. L’I.T. interessato, esperite le verifiche teoriche sulla documentazione presentate ex L. 223/1990, aveva assentito alla richiesta, autorizzando la modifica e partecipandola ai controinteressati per frequenza. Avverso tale provvedimento era insorta un’emittente concorrente, censurando il comportamento dell’organo periferico del MSE-Com che, a suo dire, col proprio provvedimento aveva alterato una situazione di diritto consolidata da decenni, ampliando immotivatamente la sfera giuridica dell’istante con speculare compressione della propria. Il ricorso veniva accolto dal tribunale adito sulla scorta di motivazioni ad avviso di giuristi esperti della materia convincenti e meritevoli di divulgazione, stante la costante attualità dell’argomento. “Il collegio non disconosce astrattamente la possibilità che sia ammessa la correzione di un errore materiale occorso nell’operazione di compilazione delle schede – precisavano nella sentenza i giudici amministrativi -. Tuttavia la correzione dell’errore materiale, quand’anche tale errore potesse riconoscersi dal complesso della documentazione presentata in origine, doveva intervenire ad un breve lasso di tempo dall’entrata in vigore della legge n° 223 del 1990 perché la portata territoriale delle autorizzazioni conseguente alla compilazione delle schede esige ordine e stabilità e non consente di insinuare anche il solo sospetto che una correzione di errore materiale intervenga a distanza di un lungo lasso di tempo per mascherare un non consentito mezzo di soluzione di conflitti interferenziali tra emittenti. Tale esigenza di ordine e stabilità dei rapporti giuridici sottostanti ad un’autorizzazione amministrativa e, più in generale ad un provvedimento amministrativo, è considerata in via generale dall’art. 21-nonies della legge n° 241 del 1990, che consente l’annullamento d’ufficio del provvedimento amministrativo illegittimo solo entro un termine ragionevole ed anche appunto dall’art. 32 della legge n° 223 del 1990 in relazione a quanto sopra precisato”, continuava il TAR, osservando che “Nel caso di specie l’istanza di correzione è stata presentata dopo oltre 20 anni dall’entrata in vigore della legge n° 223 del 1990 (…) e dunque non poteva ottenere accoglimento”. Del resto, spiegavano i giudici amministrativi, l’inattività della P.A. addotta dalla resistente avrebbe potuto essere contrastata con l’impugnazione delle “eventuali istanze presentate in precedenza e rimaste senza risposta” attraverso “l’avvio di azioni di tutela avverso l’inerzia della pubblica amministrazione”. Conseguiva da tale ragionamento, secondo il TAR, che l’autorizzazione “alla correzione di errore di compilazione di scheda tecnica B dell’impianto di trasmissione” era “illegittima” e doveva essere “annullata in accoglimento parziale del presente ricorso”. Con richiesta in data 23/07/2013, da parte di un’emittente privata, la decisione dell’organo giurisdizionale veniva portata all’attenzione delle D.G.S.C.E.R. e D.G.P.G.S.R. del MSE-Com per conoscerne l’orientamento a riguardo, tenuto conto che essa contrastava nettamente coi precedenti pareri amministrativi resi (dalla D.G.P.G.S.R.). Con parere reso in data 20/08/2013, la D.G.P.G.S.R. riscontrava l’invito ed osservava come fosse “opinione della scrivente D.G. che la correzione di errori materiali non appaia configurarsi strettamente come provvedimento amministrativo impugnabile o annullabile (non conseguendo all’applicazione delle specifiche norme sulle autorizzazioni rilasciabili ex D. Lgs. 177/2005), ma riconosca unicamente stati di fatti, venendosi così a completare la raffigurazione che, dalle schede tecniche, dovrebbe emergere di ciascun impianto”. Nel merito della problematica, la D.G. annotava altresì che “In effetti, se per l’impianto in argomento è dimostrata una stazionarietà operativa che ha sempre interessato aree comunque servite (come da istruzioni di compilazione delle schede di censimento) delle province di (omissis), non si dà luogo (con la correzione in questione) ad autorizzazioni che consentano di ampliare indiscriminatamente tali aree e, quindi, non si viene a causare alcuna lesione di diritti altrui né si danneggia l’altrui servizio”. “Non va dimenticato – continuava la D.G.P.G.S.R. – che il titolo di legittimità ad operare con adeguati livelli di protezione in determinate aree deriva, a ciascun impianto censito, non già dal rilascio di qualche autorizzazione amministrativa, bensì dall’aver aderito (da parte dei proprietari) alle prescrizioni dell’art. 32 della legge 223/90 ed è il concorso della consistenza impiantistica in esercizio al 23.8.90 , del gioco delle interferenze (allora in atto) provocate da altri impianti (vicino nello spazio ed in frequenza) e della particolare orografia del territorio a stabilire quanto quella consistenza impiantistica avesse più o meno riflesso operativo sullo spazio circostante”. “Sono infatti i valori obiettivi di campo e.m. superiori ai livelli minimi ed i rapporti di protezione esistenti che stabiliscono se i punti di un’area sono serviti (e quindi tutelabili) o meno; la mancata indicazione su di una scheda tecnica dell’appartenenza di tale area ad una provincia (in quanto omessa per mero errore materiale) non autorizza, pertanto, i terzi a non riconoscerne la tutelabilità, né può condurre a sminuire le obiettive potenzialità dell’impianto”, puntualizzava la direzione tecnica del MSE-Com, che concludeva il proprio parere anticipando che “(…) in base alle considerazioni di cui sopra, la scrivente ha ritenuto di dover richiedere alla competente A.G.S. di proporre opposizione nei modi legge alla sentenza in questione”, invitando, infine, la D.G.S.C.E.R. a voler “comunque esaminare la problematica generale e di voler esprimere (per le proprie specifiche competenze) il proprio pensiero in merito”. A riguardo del parere espresso dalla D.G.P.G.S.R., diversi operatori manifestavano ampio dissenso, atteso che il provvedimento di correzione di errori materiali, contrariamente a quanto rappresentato dal parere in disamina, ben avrebbe potuto incidere nella sfera giuridica di altri soggetti, che la P.A. non avrebbe potuto unilateralmente privare di strumenti di tutela da esercitare avanti agli organi amministrativi e giurisdizionali, sicché la generica affermazione della direzione tecnica del MSE-Com di non considerare l’atto correttivo un “provvedimento amministrativo” aggredibile nelle forme di legge s’appalesava sguarnita di conforto in punto di diritto. Più a fondo, la collocazione, suggerita dalla D.G.P.G.S.R., della questione sotto un cappello meramente tecnico non era condivisibile, attesi i palesi riflessi giuridici conseguenti, il cui principale si concretava nel fatto che l’inserimento di una nuova provincia nella scheda tecnica B determinava la tutelabilità della relativa area territoriale nei confronti di terze modifiche impiantistiche, poiché ampliava l’interesse legittimo sotteso. Del resto, gli stessi operatori avevano già manifestato forti perplessità in ordine all’orientamento della D.G.P.G.S.R. suggerito nel marzo 2013 , allorquando essa si era pronunciata favorevolmente sulla possibilità di inserire al campo 69 della scheda B una o più province precedentemente non contemplate sulla scorta dell’accertamento di un servizio utile in tali territori . E ciò in quanto l’indicazione – o, meglio, l’esclusione – di una provincia dal campo 69 della scheda B in sede di compilazione ex art. 32 L. 223/1990 aveva natura confessoria ed efficacia costitutiva, sicché l’assenza di un territorio pur servito con campo e.m. utile all’origine determinava rinuncia alla rivendicabilità dello stesso. Sul punto, era stato osservato come conseguisse da questa considerazione il fatto che l’introduzione ex post di una provincia ab origine volontariamente espunta dal campo 69 della scheda B per ragioni di convenienza economica, avrebbe potuto essere interpretata come un immotivato ampliamento della sfera giuridica da parte della P.A. a danno di terzi legittimi utilizzatori dello spettro r.e. Del resto, si annotava come, sotto altro aspetto, la giurisprudenza civile avesse in più occasioni assegnato rilevanza di dichiarazione confessoria all’autolimitazione del servizio indicata nella scheda tecnica B, sia che essa derivasse dall’assenza di una provincia al campo 69 (“province interessate dal servizio di radiodiffusione”), dalla qualificazione del campo 70 (“tipo di servizio”) o dal contenuto dei campi da 71 a 79 (“località escluse deliberatamente dal servizio”). A riguardo, si richiamavano le differenti nozioni di “area di copertura” e di “area di servizio” (o “bacino di utenza”), generalmente utilizzate, impropriamente, come sinonimi. Il protocollo ITU-R BS.638, recante termini e definizioni usati nella pianificazione delle frequenze per il broadcast sonoro, al capitolo 3 contiene, infatti, la nota 1 che precisa che la “area di copertura” di un impianto trasmittente è determinata esclusivamente dalle condizioni tecniche specificate, a prescindere da considerazioni amministrative o regolamentari. La Recommendation ITU-R V.573-4 definisce “area di copertura o cattura (di una stazione terrestre)” la “zona associata ad una stazione trasmittente per un dato servizio e per una specifica frequenza al cui interno, sotto specifiche condizioni tecniche, le radiocomunicazioni possono essere realizzate con una o diverse stazioni riceventi”. La cd. “area di servizio”, secondo la citata Rec. ITU-R V.573-4 (Nota 4) ha invece la stessa base tecnica del termine “area di copertura”, ma include anche gli aspetti amministrativi. Ben si poteva sostenere, pertanto, che, in sede di accertamento giuridico del servizio di un impianto di radiodiffusione sonora, si dovesse considerare ogni limitazione di servizio spontaneamente dichiarata in sede di compilazione delle schede tecniche B e C . Nondimeno, lungi dal trovare definizione, la vexata quaestio si arricchiva di nuovi aspetti di riflessione, introdotti dal nuovo parere reso dalla D.G.P.G.S.R. con nota del 10/10/2013, i cui elementi salienti di seguito si rappresentano. “(…) E’ opinione condivisa, anche in ambito internazionale, che le condizioni strumentalmente rilevabili per definire area servita una porzione di territorio sono legate, ad un tempo, sia ai livelli minimi di campo e.m. che ai rapporti di protezione da interferenti esterni. I primi in quanto tengono conto della sensibilità media dei ricevitori commerciali e dei rumori r.e. incontrollabili esistenti nell’ambiente (rurale, cittadino o cittadino ad alta densità abitativa e di attività radioelettrica), i secondi in quanto legati all’esistenza di impianti concorrenti, modificabili a volontà nelle prestazioni. Alla misurazione obiettiva di cui sopra viene poi generalmente associata anche una valutazione soggettiva (qualità della percezione da parte di ascoltatori umani) che rende più flessibili i criteri obiettivi e consente più facilmente di pervenire a compromessi (per altra vita spesso irraggiungibili). La mancata attuazione di un piano di assegnazione (il quale avrebbe dovuto stabilire con certezza le prestazioni tecnico-operative degli impianti di diffusione da dare in concessione) ha reso necessario estendere la legittimità di concessione a quelli che erano gli impianti in esercizio al 23.8.90, sia nella sostanza che nella forma (presentazione delle relative schede tecniche), senza tuttavia che quest’ultima potesse prevalere sulla prima. Si rammentano, a tal fine (nel caso televisivo) i tanti impianti “fantasma”, censiti sulla carta, ma risultati inesistenti alle verifiche territoriali disposte nei primi anni ’90. Nello specifico , si è di fronte ad un censimento (…omissis…) che ha visto riportare sulla scheda B al campo 69 un ristretto numero di province (che, in base alla legge, potevano essere comunque servite, sia in estensione che in qualità) e, nella scheda poligonale (la cui compilazione non costituiva peraltro un obbligo di legge), una indicazione qualitativa di livello 3 del servizio svolto bel principale comune servito (…omissis…), valore di qualità (discreto) che si deve intendere derivare dalla combinazione tra il livello di campo elettrico ivi presente (98 dBµV/m, ben al di sopra dei livelli minimi stabiliti, anche per le grandi città, dalle norme dell’U.I.T.) e la ragionevole presenza di segnali interferenti disposti su frequenze inferiori e superiori a quella della portante originaria (…omissis…). Senza voler tornare sulla questione della correzione (doverosa, a parere della scrivente) di una scheda di censimento per far sì che tutti i dati ivi presenti rappresentino al meglio sia la realtà tecnica che quella operativa dell’impianto censito (che per varie motivazioni può non essere stata compilata, all’epoca, seguendo precisamente le direttive emanate), è interesse di tutti, al momento, di analizzare i risvolti che, per la mancata compilazione precisa della nuova scheda, si possono avere sia sul detentore dell’impianto che sui suoi concorrenti. Come detto, ricade in area servita un territorio nel quale esistono rapporti di protezione adeguati dagli interferenti presenti (su frequenze sia superiori che inferiori a quella dell’impianto da proteggere) e tale situazione, obiettivamente riscontrabile da misure e da valutazioni soggettive, non può essere negata od occultata in base a considerazioni aliene al fatto tecnico (quali eventuali valori commerciali pretestuosamente incrementati o sminuiti non per effetto di situazioni reali, ma solo per mero dato di registrazione su atti ufficiali). Pertanto, se la provincia di (…omissis…) era sede (fin dalla attuazione della modifica autorizzata da codesto I.T.) di valori di campo assoluti e di un complesso di interferenze “tenute a bada” in una estensione più o meno vasta (e comunque inscritta in quella originaria di censimento), non ci si può sottrarre dall’attribuire a tale territorio un diritto di protezione anche di fronte a future modifiche che possano andare ad incidere sul quadro radioelettrico, indipendentemente dalla circostanza che possa essere stata indicata o meno esplicitamente tale provincia nel riquadro 69 della scheda B. In altri termini, secondo la scrivente, fa fede il quadro radioelettrico dell’epoca, nel momento in cui si pone mano a modifiche dello stesso quadro atte ad inserire altri utilizzatori nella stessa sottobanda ov’è allocato l’impianto in questione (…)”. Tuttavia, nonostante la profusione di argomentazioni, l’orientamento espresso dalla D.G.P.G.S.R. continuava a non convincere la più parte dei giuristi in materia. Nel dettaglio, a prescindere dalle annotazioni su una pretesa irrilevanza, per le valutazioni del caso, dei valori economici dei diritti d’uso connessi agli impianti FM e del fatto che l’approccio al problema prospettato dalla D.G.P.G.S.R. sarebbe stato certamente foriero di una reazione a catena lineare, determinata dalla possibilità che gran parte degli operatori – alla luce del precedente vincolante – potessero chiedere l’aggiornamento del campo 69 della scheda B degli impianti FM eserciti, da diverse parti si osservava come l’indirizzo seguito dal MSE-Com contrastasse con quello tracciato nella nota del 06/04/2006, allorquando la stessa D.G. ricordava come fossero “clamorose (…) le “contrazioni” delle aree di servizio censite verificatesi in sede di presentazione di domanda ex lege 422/93 (quando per la prima volta si dovette procedere al calcolo dei canoni di concessione basato sul criterio dell’estensione territoriale del servizio) e le successive “espansioni” che furono indotte dal cambio di normativa contabile sul canone, quando quest’ultimo fu svincolato dalla predetta estensione territoriale”. Sulla base proprio di tale (condivisibile) pregressa considerazione, l’orientamento rinnovato della D.G.P.G.S.R. avrebbe determinato – ad avviso dei qualificati osservatori – una sperequazione tra i soggetti che compilarono in maniera puntuale il campo 69 della scheda B (includendo tutte le province effettivamente illuminate) e corrispondendo regolarmente canoni concessori calcolati per provincia servita e coloro che, al tempo, limitarono l’inclusione di province in realtà raggiunte (pagando così canoni ridotti), ma che, sulla scorta della nuove posizione assunta dalla P.A., avrebbero potuto ottenere l’integrazione di copertura sul piano amministrativo (ampliando per conseguenza la propria sfera giuridica). Alla luce delle suddette considerazioni da più parti fu sollecitato un dirimente intervento della (competente) D.G.S.C.E.R. al fine di determinarne il corretto inquadramento sul piano giuridico. Ora la D.G.S.C.E.R. si è pronunciata, confermando le conclusioni della D.G.P.G.S.R. Ed aprendo le porte ad uno scenario di istanze di riesame di cui è difficile ipotizzare le conseguenze sul piano operativo e giuridico. (M.L. per NL)

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