Sentenza della Cassazione: “E’ redattore soltanto il giornalista professionista. Il praticantato d’ufficio con effetto retroattivo vale unicamente al fine di sostenere l’esame di Stato”

Nota di Franco Abruzzo con ricerca giurisprudenziale


di Franco Abruzzo (presidente OdG Milano, foto)

Roma, 22 ottobre 2006. Una redattrice professionista del “Messaggero”, G.V., già pubblicista (dal 18 giugno 1990), iscritta d’ufficio nel Registro dei praticanti con effetto retroattivo, è stata licenziata in seguito ad una sentenza della Corte di Cassazione che nega valore alle decisioni della Corte d’Appello di Pescara che le aveva riconosciuto un rapporto di dipendenza di natura giornalistica ai sensi del Contratto collettivo (“G. V. si recava tutti i giorni nella redazione del Messaggero in Pescara, partecipava alle riunioni di redazione, espletava i compiti che le venivano assegnati dal caposervizio, si tratteneva sul posto di lavoro fino a sera tardi; l’attività da svolgere era concordata con lei sia settimanalmente che quotidianamente, anche in base alla presenza degli altri collaboratori; G.V. si occupava in prevalenza di spettacolo; quando, nel 1992, erano stati introdotti in redazione i computers, ella utilizzava la password di altri redattori, non essendole stata assegnata una propria”). Alla giornalista spetta soltanto il pagamento delle retribuzioni per le prestazioni professionali espletate (art. 2126 Cc). La Corte d’Appello dell’Aquila (in riforma della decisione del Tribunale di Pescara del 29 settembre 2000/2 gennaio 2001) aveva precisato che, proprio in forza dell’iscrizione nell’elenco dei giornalisti pubblicisti, doveva essere affermata la legittimità del rapporto instaurato, con la conseguente illegittimità del recesso intimato a G.V.. Lo stesso giudice aveva escluso infatti che vi fosse stata una risoluzione consensuale del rapporto, ed ha poi determinato le differenze retributive spettanti alla V., prendendo a parametro il compenso stabilito per i giornalisti praticanti nel contratto collettivo di categoria, ordinando alla società di reintegrare l’appellante nel posto di lavoro “con la qualifica di giornalista professionista da intendersi conseguita dalla data del superamento dell’esame”.

Ha scritto al Cassazione: “E’ da premettersi che in linea generale – come rilevato più volte in analoghe controversie – il rapporto di lavoro giornalistico può essere qualificato subordinato se, come per altre attività lavorative, vi è l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, estrinsecantesi in ordini specifici oltre che in una vigilanza e un controllo assiduo delle prestazioni lavorative, da valutarsi, nel lavoro del giornalista, con riferimento alla peculiarità dell’incarico conferito al lavoratore e alle modalità della sua attuazione. E, in particolare, si è notato che in questo tipo di rapporto di lavoro, la subordinazione non è esclusa dal fatto che il prestatore goda di una certa libertà di movimento e non sia obbligato al rispetto di un orario predeterminato o alla continua permanenza sul luogo di lavoro, non essendo neanche incompatibile con il suddetto vincolo la commisurazione della retribuzione a singole prestazioni (Cass. 17 agosto 2004 n. 16038), essendo invece determinante che il giornalista si tenga stabilmente a disposizione dell’editore, anche nell’intervallo fra una prestazione e l’altra, per evaderne richieste variabili e non sempre predeterminate e predeterminabili, eseguendone direttive e istruzioni, e non quando prestazioni predeterminate siano singolarmente convenute, in base ad una successione di incarichi, ed eseguite in autonomia (cfr. Cass. 26 marzo 2002 n. 4338, Cass. 1 luglio 2004 n. 12095, Cass. 3 febbraio 2005 n. 2005)”.

Ha specificato la Cassazione: “La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel senso che per l’esercizio del lavoro giornalistico di redattore ordinario, cioè del giornalista professionista stabilmente inserito nell’ambito di una organizzazione editoriale o radiotelevisiva, con attività caratterizzata da autonomia della prestazione, non limitata alla mera trasmissione di notizie, ma estesa alla elaborazione, analisi e valutazione delle stesse, è necessaria l’iscrizione nell’albo dei giornalisti professionisti, e che non è idonea ad integrare detto requisito la iscrizione nel diverso albo dei giornalisti pubblicisti (Cass. 21 maggio 2002 n. 7461, Cass. 5 aprile 2005 n. 7016, Cass. 3 febbraio 2005 n. 2142, Cass. 1 luglio 2004 n. 12095 e numerose altre). Si è tuttavia evidenziato che la nullità del rapporto di lavoro instaurato con soggetto non iscritto nell’albo dei giornalisti professionisti, non derivando dall’illiceità dell’oggetto o della causa, ma dalla violazione della norma imperativa dettata dalla L. 3 febbraio 1963, n. 69, art. 43, non produce effetto nel periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, secondo l’espresso disposto dell’art. 2126 c.c.;

ciò comporta, limitatamente a tale periodo, che il lavoro prestato in carenza di iscrizione deve essere retribuito, con eventuale adeguamento della misura della retribuzione ex art. 36 Cost., comma 1, ma non da diritto alla tutela reintegratoria e risarcitoria di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18.

Erroneamente perciò la sentenza impugnata ha affermato la validità del rapporto in base alla accertata iscrizione della V. nell’elenco dei giornalisti pubblicisti.

Ed a nulla rileva che l’Ordine dei giornalisti d’Abruzzo avesse iscritto la V. con efficacia retroattiva, con decorrenza retrodata, nell’albo dei praticanti giornalisti, poiché – come pure hanno rimarcato le richiamate pronunce – tale provvedimento vale soltanto nei rapporti fra l’aspirante giornalista e l’ordine professionale, limitatamente alla durata della pratica al fine dell’esame di abilitazione professionale, e non anche per convalidare un contratto nullo per difetto di un requisito essenziale, inammissibile essendo la convalida ai sensi dell’art. 1423 c.c..

Lo stesso deve affermarsi quanto al conseguimento da parte della V. della iscrizione nell’albo dei giornalisti professionisti, quando cioè il rapporto era stato risolto ad iniziativa della società editoriale”.

NOTA DI FRANCO ABRUZZO

Bisogna leggere attentamente la sentenza. La Cassazione ha valutato che la professione di giornalista è esercitata per legge soltanto dai giornalisti professionisti (vedi sentenza 11/1968 della Corte costituzionale), mentre i pubblicisti svolgono attività giornalistica (non la professione giornalistica) e vivono di altre professioni, di altri impieghi o mestieri. L’art. 5 del Cnlg dice infatti che nei giornali lavorano soltanto i giornalisti professionisti (e i praticanti giornalisti ex art 35). L’articolo 36 è un articolo ponte: i pubblicisti, che lavorano a tempo pieno, sono retribuiti da professionisti (ex art. 36 Cost) e devono sostenere l’esame di Stato. In sostanza il redattore pubblicista è equiparato al praticante redattore ai fini dell’esame di Stato. Le delibere di retrodatazione dell’Ordine, in tema di iscrizione al Registro, valgono per l’ammissione all’esame di Stato ma, dice la Cassazione, non ai fini contrattuali: questo è il punto debole della sentenza. Delle due l’una: la delibera è fondata o no? Se è fondata si applica il Cnlg al praticante d’ufficio, altrimenti la si disapplica. Solo il giudice può condurre una indagine e stabilire che XW ha lavorato come redattore di fatto e che quindi aveva diritto all’inquadramento contrattuale ab origine. Gli articoli 2, 3, 4, 36 e 41 della Costituzione proteggono XW. L’articolo 41 della Costituzione non autorizza il Messaggero a violare la dignità di XW. La dignità è il limite all’esercizio della libertà di impresa. L’articolo 41 è limpido ed è figlio dell’art. 2: di quell’articolo che, tutelando la dignità della persona (diritto inviolabile!), è il cuore della nostra Carta fondamentale. La Cassazione ha dimenticando un passaggio fondamentale: se ad XW è stato riconosciuto il praticantato d’ufficio, vuol dire che il giornale lo aveva utilizzato in nero, non versando contributi previdenziali e trattenute fiscali. Un editore, che viola la legge, non può vincere sulla base di un sofisma (tu, XW, non eri iscritto al Registro, ergo non puoi pretendere oggi l’inquadramento contrattuale ab origine, ed ora sei licenziabile!). Alcune volte l’applicazione esasperata della legge è un insulto, come nel caso del Messaggero, al buon senso e alla Giustizia stessa!

L’articolo 36 – che fissa una via anomala di praticantato ultraretribuito – è stato voluto nel contratto 2001/2005 dagli editori al fine di indebolire il praticantato fissato nella legge dell’Ordine, mentre nella piattaforma della Fnsi se ne prevedeva addirittura l’abolizione. Questo articolo 36 è un brutto colpo alla figura del giornalista professionista, che è tale per aver superato un esame di stato come tutti gli altri professionisti italiani. I pubblicisti redattori restano tali e in molti casi non chiedono di sostenere l’esame di Stato. Una situazione che la Cassazione censura da anni, non da oggi.

La Fnsi non può piangere avendo inflitto alla legge dell’Ordine un altro brutto colpo, quando ha creato nel suo Statuto le figure del “giornalista professionale” e del “giornalista collaboratore” contrapponendole alle figure legali del giornalista professionista e del pubblicista. La Fnsi farebbe bene, se intende rafforzare la professione, tornare all’antico, cioè ai professionisti e ai pubblicisti. Ha concesso, con la sbagliata decisione dei professionali e dei collaboratori, un vantaggio agli editori, che puntano a distruggere l’Ordine e la professione articolata su figure consolidate e giuridicamente inattaccabili. Serventi mediti sui suoi errori e inverta la marcia. Ne ha la capacità e il coraggio. E’ diabolico continuare a sbagliare. Il sindacato ricordi che il nostro contratto ancora regge perché, unico in Italia, ha una legge alle spalle. La legge è quella sulla professione di giornalista (n. 69/1963). La nostra autonomia tanto sbandierata poggia (vedi l’articolo 1 del Cnlg) sulle regole deontologiche fissate nell’articolo 2 della legge professionale. Se cade quella vecchia legge, diventeremo tutti impiegati di redazione proni agli …ordini degli editori. Soltanto la deontologia fissata nella legge ci rende liberi e capaci di dire molti “no” senza subire attentati alla nostra dignità.

Articolo 36 del Cnlg

Ai pubblicisti che esercitano attività giornalistica in via esclusiva e prestano opera quotidiana con orario di massima di 36 ore settimanali si applica il trattamento economico e normativo previsto per i giornalisti professionisti di cui al primo comma dell’art. 1 del presente contratto con esclusione degli aspetti infortunistici gestiti dall’INPGI e del trattamento previdenziale integrativo di cui all’allegato G salvo quanto previsto dall’art. 11 dello stesso allegato.

L’editore è tenuto a notificare alla Commissione paritetica nazionale di cui all’art. 4 i nominativi dei pubblicisti dipendenti che prestano attività giornalistica secondo quanto previsto dal comma precedente e a rilasciare agli interessati l’attestazione – necessaria ai fini professionali – che gli stessi svolgono attività giornalistica quotidiana alle sue dipendenze, con orario pieno e con il trattamento contrattuale stabilito per i giornalisti professionisti di cui al primo comma dell’art. 1 del presente contratto. Il giornalista pubblicista, superato l’esame professionale, mantiene la qualifica e le mansioni già precedentemente riconosciutegli.

GIURISPRUDENZA RACCOLTA DA FRANCO ABRUZZO

Nullo il contratto di lavoro per l’espletamento di attività di praticantato giornalistico stipulato con soggetto non iscritto preventivamente nell’apposito Registro

Il contratto di lavoro per l’espletamento di attività di praticantato giornalistico, stipulato con soggetto non iscritto preventivamente nell’apposito registro previsto dall’art. 33 della legge n. 69 del 1963, è nullo, ancorché non illecito nell’oggetto o nella causa, con la conseguente applicabilità dell’art. 2126 cod. civ. . Poiché, ai sensi dell’art. 1423 cod. civ., il contratto nullo non può essere convalidato se la legge non dispone diversamente, ne consegue che, mancando un’apposita norma che consenta la convalida di un contratto di lavoro giornalistico nullo (fatti salvi gli effetti del suddetto art. 2126 cod. civ.), il provvedimento del Consiglio dell’Ordine dei giornalisti, che iscriva un soggetto nel registro dei praticanti con effetto retroattivo ed attesti lo svolgimento della pratica per un periodo superiore a quello massimo di iscrizione nel registro (equivalente a tre anni), comporta che il periodo di praticantato riconosciuto, seppure utile ai fini dell’ammissione all’esame di abilitazione quale giornalista professionista, non vale, però, a convalidare un rapporto di lavoro affetto da nullità. (Nella specie, la S.C., enunciando il principio in questione, ha rigettato il ricorso proposto e confermato la sentenza impugnata, con la quale era stato accertato, prospettandosi un’adeguata motivazione al riguardo, che la ricorrente, durante tutto lo svolgimento del rapporto, era stata iscritta unicamente nell’elenco del pubblicisti e che, quindi, non era iscritta nè nell’elenco dei “giornalisti professionisti”, nè nel “registro dei praticanti”, con la conseguenza che la declaratoria di illegittimità del rapporto e la reintegrazione nel posto di lavoro non potevano rientrare tra gli effetti fatti salvi dall’art. 2126 cod. civ.). (Cass. civ. Sez. lavoro, 06-03-2006, n. 4770; Di Carlo c. Il Messagero Spa ed altro; FONTI Mass. Giur. It., 2006; CED Cassazione, 2006)

L’iscrizione nell’elenco dei pubblicisti non è idonea alla costituzione di un regolare rapporto di praticantato giornalistico

1. Atteso che l’iscrizione nell’elenco dei pubblicisti non è idonea alla costituzione di un regolare rapporto di praticantato giornalistico – finalizzato all’iscrizione nell’elenco dei professionisti – e pertanto non può sopperire alla mancanza di una regolare iscrizione nel registro dei praticanti giornalisti di cui all’art. 33 della legge n. 39 del 1963, ne consegue che l’attività di praticantato giornalistico o di giornalista professionista svolta da pubblicista, essendo espletata da soggetto non iscritto al relativo Albo, resta invalida, ancorché non illecita nell’oggetto o nella causa e, quindi, produttiva di effetti per il tempo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, secondo il disposto dell’art. 2126 c.c.; tra gli effetti fatti salvi dalla suddetta norma non rientra, però, la reintegrazione in caso di dedotta illegittimità della risoluzione del rapporto nullo. (Cass. civ. Sez. lavoro, 05-04-2005, n. 7016; FONTI Mass. Giur. It., 2005; CED Cassazione, 2005).

2. L’iscrizione nell’elenco dei pubblicisti, di cui agli art. 26, ult. parte, e 35 l. 3 febbraio 1963 n. 69, non è idonea alla costituzione di un regolare rapporto di praticantato giornalistico, finalizzato alla iscrizione nell’elenco dei giornalisti professionisti, e non può quindi, sopperire alla mancanza di una regolare iscrizione nel registro dei praticanti, di cui all’art. 33 della citata legge. La facoltà dei Consigli dell’Ordine dei giornalisti, regionali e nazionale, ai sensi del comma 2 dell’art. 46 d.P.R. 4 febbraio 1965, come sostituito con l’art. 3 d.P.R. 21 settembre 1993 n. 384, di accertare e dichiarare la sussistenza dello svolgimento della pratica giornalistica (ancorchè esercitata abusivamente, al di fuori, cioè degli schemi del procedimento legale tipico di cui agli art. 33 e 34 della legge n. 69 del 1963, e per un periodo superiore a quello di massima durata di iscrizione nel registro) e la data di effettivo inizio del tirocinio, comporta che il tirocinio accertato, anche a posteriori, sia considerato utile ai fini dell’ammissione all’esame di idoneità professionale. Tale accertamento non vale, però, a sanare la nullità del rapporto di praticantato svoltosi in assenza di una formale iscrizione, all’atto della instaurazione e dello svolgimento del rapporto, nel registro dei praticanti, non essendo tale facoltà prevista dalla legge ( art. 1423 c.c.). Ne consegue che l’attività di praticantato giornalistico (o di giornalista professionista) espletata da soggetto non iscritto al relativo albo resta invalida, ancorchè non illecita nell’oggetto o nella causa e, quindi, produttiva di effetti per il tempo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, secondo il disposto dell’art. 2126 c.c.; tra gli effetti fatti salvi dalla citata norma non rientra, però, la reintegrazione in caso di dedotta illegittimità della risoluzione del rapporto di lavoro nullo. (Cass. civ. Sez. lavoro, 21-05-2002, n. 7461; Soc. Nuova Ed. Trentina c. Novello; FONTI Mass. Giur. It., 2002; Diritto e Giustizia, 2002, f. 26 nota di GIACOMARDO; Arch. Civ., 2003, 340).

Redattore ordinario soltanto se giornalista professionista

Per l’esercizio dell’attività giornalistica di redattore ordinario è necessaria la iscrizione nell’Albo dei giornalisti professionisti. (Cass. civ. Sez. lavoro, 01-07-2004, n. 12095; FONTI Mass. Giur. It., 2004; CED Cassazione, 2004).

Il compito precipuo dell’Ordine

L’Ordine, in particolare, ha il precipuo compito di salvaguardare, erga omnes e nell’interesse della collettività, la dignità professionale e la libertà di informazione e di critica dei propri iscritti.

L’Ordine dei giornalisti – come di norma anche ogni altro ordine professionale – ha natura di ente pubblico associativo esponenziale di una categoria di professionisti, al quale la legge affida la rappresentanza della categoria e conferisce numerose attribuzioni.

(App. Milano, 05-05-2004; Il Sole 24 Ore s.p.a. c. Ordine dei Giornalisti; FONTI Giornale Dir. Amm., 2004, 12, 1322 nota di ORLANDO).

Cass. civ. Sez. lavoro, 07-09-2006, n. 19231

Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo
Con sentenza depositata il 12 giugno 2003, la Corte di appello dell’Aquila, in riforma della decisione del Tribunale di Pescara del 29 settembre 2000/2 gennaio 2001, ha accolto la domanda proposta da V.G. nei confronti della s.p.a. Il Messaggero e, dichiarato il rapporto di lavoro giornalistico subordinato della appellante alle dipendenze della società dal (OMISSIS) al (OMISSIS), ha condannato la società al pagamento delle differenze retributive maturate, calcolate sulla base della retribuzione spettante al praticante giornalista, e alla reintegrazione della V. nel posto di lavoro, dapprima con la qualifica di praticante giornalista e poi con mansioni corrispondenti a quelle di giornalista professionista, queste ultime a far tempo dalla data di superamento dell’esame di idoneità professionale.
Valorizzando le risultanze della prova testimoniale espletata, la Corte di merito ha ritenuto l’inserimento continuativo ed organico della V. nell’organizzazione dell’impresa e quindi la esistenza di un rapporto di lavoro subordinato. Ha poi aggiunto che, data la iscrizione dell’appellante come giornalista pubblicista fin dal 18 giugno 1990 e prevedendo la L. n. 69 del 1963, art. 1, un unico albo dei giornalisti, poi suddivisi negli elenchi dei professionisti e pubblicisti, era da escludersi la nullità del rapporto per violazione dell’art. 45 della medesima legge. In ogni caso, ha proseguito la sentenza qui impugnata, la nullità del rapporto per violazione del citato art. 45 non avrebbe potuto avere effetto per il tempo in cui il rapporto aveva avuto esecuzione, conseguendo per l’accertato espletamento di fatto delle mansioni di giornalista, ai sensi dell’art. 2126 c.c. sia il diritto al trattamento economico secondo l’entità del lavoro sia il diritto al corrispondente trattamento previdenziale. La V., come era stato accertato nel corso del giudizio, aveva ottenuto l’iscrizione di ufficio nel registro dei praticanti con decorrenza retrodatata al (OMISSIS), e quella nell’albo dei giornalisti professionisti il (OMISSIS), ed ha inoltre precisato la Corte territoriale che, proprio in forza dell’iscrizione nell’elenco dei giornalisti pubblicisti, doveva essere affermata la legittimità del rapporto instaurato, con la conseguente illegittimità del recesso intimato alla appellante. Lo stesso giudice ha escluso infatti che vi fosse stata una risoluzione consensuale del rapporto, ed ha poi determinato le differenze retributive spettanti alla V., prendendo a parametro il compenso stabilito per i giornalisti praticanti nel contratto collettivo di categoria, ordinando alla società di reintegrare l’appellante nel posto di lavoro “con la qualifica di giornalista professionista da intendersi conseguita dalla data del superamento dell’esame”.
Di questa sentenza la società soccombente ha richiesto la cassazione con ricorso articolato in quattro motivi.
L’altra parte ha resistito con controricorso, contenente ricorso incidentale affidato a tre motivi.

Motivi della decisione
I due ricorsi, principale e incidentale, in proposti quanto avverso la stessa sentenza, devono essere riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c..
Ancora preliminarmente deve essere disattesa la richiesta di rimessione dei ricorsi alle Sezioni Unite di questa Corte per la loro trattazione, non sussistendo i presupposti di cui all’art. 374 c.p.c.. Infatti, non vi è la difformità di decisioni a cui fa riferimento la ricorrente incidentale sulla questione della sindacabilità (o meno), da parte del giudice ordinario, della legittimità del provvedimento dell’iscrizione del giornalista nel relativo albo, disposta dagli organi professionali a norma della L. 3 febbraio 1963, n. 69, sindacabilità al solo fine di una eventuale disapplicazione del provvedimento, ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, art. 5, posto che le Sezioni Unite di questa Corte, dopo la sentenza 25 novembre 1981 n. 6252, sono tornate ad esaminare la questione con la pronuncia del 30 dicembre 1991 n. 14021, e hanno affermato che il suddetto provvedimento può essere sindacato, in via incidentale, da parte del giudice ordinario, come pure aveva ritenuto la giurisprudenza costituzionale con la pronuncia 28 gennaio/8 febbraio 1991 n. 71. Ma si deve rilevare che questo principio, dal quale non si discostano Cass. 1 luglio 2004 n. 12095 e 3 febbraio 2005 n. 2142, citate dalla ricorrente per argomentare sul contrasto di giurisprudenza, non ha comunque rilevanza. Si deve infatti considerare che entrambe le pronunce appena citate si incentrano sulla inammissibilità della convalida del contratto di lavoro giornalistico nullo, stipulato con soggetto non iscritto all’apposito albo (nelle fattispecie esaminate da dette pronunce si trattava di praticanti giornalisti), a norma dell’art. 1423 c.c., e non essendovi una norma di legge che in proposito disponga diversamente: il provvedimento del Consiglio dell’Ordine dei giornalisti di iscrizione del praticante con effetto retroattivo nell’apposito registro e attestante lo svolgimento della pratica per un periodo superiore a quello massimo consentito di tre anni per il praticantato, comporta soltanto il riconoscimento del periodo di praticantato ai fini dell’ammissione all’esame di abilitazione quale giornalista professionista.

Neppure la questione sulla interpretazione della L. 3 febbraio 1963, n. 69, artt. 26 e 45, ai fini della iscrizione nell’albo dei giornalisti e della legittimità dell’esercizio della professione, riveste quella particolare importanza richiesta dall’art. 374 c.p.c., sulla quale peraltro, come appresso è evidenziato, la giurisprudenza è ormai consolidata nel senso della nullità del contratto di lavoro giornalistico stipulato con soggetto non iscritto al relativo albo, anche se non derivando la nullità da illiceità dell’oggetto o della causa, non è produttiva di effetti per il tempo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, secondo il disposto dell’art. 2126 c.c..

Passando all’esame del ricorso principale, il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c. e vizio di motivazione. Deduce l’errore di valutazione delle risultanze processuali commesso dal giudice del merito nel ritenere la prova della continuità della prestazione soltanto sulla base del numero degli articoli e senza che fosse stato dimostrato l’obbligo della lavoratrice di garantire la propria disponibilità fra una prestazione e l’altra.

Critica la sentenza impugnata per avere trascurato la circostanza relativa al soggiorno della V. per un intero anno in (OMISSIS), quella delle assenze per motivi di studio e di salute, senza che il datore di lavoro avesse espletato alcun controllo.

Il secondo motivo denuncia, unitamente a vizio di motivazione, violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e seg., art. 2094 c.c.. Assume che la sentenza impugnata ha completamente omesso di considerare che la volontà espressa dalle parti all’inizio del rapporto era stata rivolta alla instaurazione di un rapporto di mera collaborazione esterna e che tale assetto di interessi non aveva subito modifiche nel corso dell’espletamento dell’attività della V.. Addebita al giudice del gravame di avere ignorato le deposizioni rese dai testimoni T. e D.B., i quali avevano asserito che la V. frequentava la redazione senza essere tenuta all’osservanza di un orario di lavoro. Sostiene che il medesimo giudice nel concludere per il rapporto di lavoro subordinato non ha sufficientemente considerato il criterio della soggezione del lavoratore al potere direttivo, gerarchico e disciplinare del datore di lavoro, affermato soltanto sulla base della sottoposizione della V. alle direttive impartite dai capiservizio e senza dare conto degli elementi probatori sui quali era basata questa risoluzione.

I due motivi, da trattarsi congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.

E’ da premettersi che in linea generale – come rilevato più volte in analoghe controversie, in alcune delle quali era parte proprio la medesima società editrice – il rapporto di lavoro giornalistico può essere qualificato subordinato se, come per altre attività lavorative, vi è l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, estrinsecantesi in ordini specifici oltre che in una vigilanza e un controllo assiduo delle prestazioni lavorative, da valutarsi, nel lavoro del giornalista, con riferimento alla peculiarità dell’incarico conferito al lavoratore e alle modalità della sua attuazione. E, in particolare, si è notato che in questo tipo di rapporto di lavoro, la subordinazione non è esclusa dal fatto che il prestatore goda di una certa libertà di movimento e non sia obbligato al rispetto di un orario predeterminato o alla continua permanenza sul luogo di lavoro, non essendo neanche incompatibile con il suddetto vincolo la commisurazione della retribuzione a singole prestazioni (Cass. 17 agosto 2004 n. 16038), essendo invece determinante che il giornalista si tenga stabilmente a disposizione dell’editore, anche nell’intervallo fra una prestazione e l’altra, per evaderne richieste variabili e non sempre predeterminate e predeterminabili, eseguendone direttive e istruzioni, e non quando prestazioni predeterminate siano singolarmente convenute, in base ad una successione di incarichi, ed eseguite in autonomia (cfr. Cass. 26 marzo 2002 n. 4338, Cass. 1 luglio 2004 n. 12095, Cass. 3 febbraio 2005 n. 2005).

Senza dubbio, anche per il lavoro giornalistico ai fini della distinzione del rapporto, se dipendente ovvero autonomo, vale la regola che non si deve prescindere dalla volontà delle parti contraenti e come, sotto questo profilo, occorra tenere presente il nomen iuris dalle stesse adottato, senza che tale elemento possa avere carattere assorbente, dovendo la volontà effettiva delle parti e la qualificazione del rapporto essere desunte, oltre che dal dato formale, dalle concrete modalità della prestazione e di attuazione del rapporto. Ma qui è da rilevare che mancando qualsiasi riferimento nella sentenza impugnata al nomen iuris che nel presente ricorso si assume attribuito dalle parti, la società editrice, nel lamentare la omessa valutazione dell’accennato elemento, per il principio della specificità dei motivi di impugnazione, avrebbe dovuto precisare quale fosse la diversa qualificazione data dalle parti e il contenuto del documento che la conteneva, oltre alle ragioni di diritto dell’errore denunciato, onere che invece non è stato adempiuto dalla società, con la conseguenza che la doglianza non può essere accolta (v. fra le tante Cass. 19 maggio 2005 n. 10598, Cass. 28 agosto 2001 n. 11289).

E proprio con riguardo al concreto espletamento della prestazione, il giudice del gravame ha rilevato come dalle deposizioni testimoniali era emerso che la V. si recava tutti i giorni nella redazione del Messaggero in Pescara, partecipava alle riunioni di redazione, espletava i compiti che le venivano assegnati dal caposervizio, si tratteneva sul posto di lavoro fino a sera tardi; che l’attività da svolgere era concordata con lei sia settimanalmente che quotidianamente, anche in base alla presenza degli altri collaboratori; che la V. si occupava in prevalenza di spettacolo; che quando, nel 1992, erano stati introdotti in redazione i computers, ella utilizzava la password di altri redattori, non essendole stata assegnata una propria.

Si tratta di elementi significativi, correttamente utilizzati dalla Corte territoriale per affermare la continuità della prestazione e l’inserimento della lavoratrice nell’organizzazione aziendale con assoggettamento al potere direttivo e di controllo del datore di lavoro. Nè l’accertamento compiuto dal giudice del gravame può essere infirmato dai rilievi mossi dalla società circa la inadeguata valutazione delle circostanze riportate dai testi D.B. e T., relative alla mancanza di un obbligo per la V. di osservare un orario di lavoro, anzi frequentando la redazione di Pescara a suo piacimento; anzitutto le deposizioni di questi due testimoni non sono riportate compiutamente dalla ricorrente contro il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione (Cass. 24 marzo 2006 n. 6679, Cass. 19 maggio 2005 n. 10598) e, poi, esse sono state valutate unitamente alle altre risultanze della prova orale dal giudice del merito, il quale è solo tenuto ad indicare gli elementi sui quali fonda il suo convincimento nonchè l’iter seguito per addivenire alle raggiunte conclusioni, ben potendo al riguardo disattendere gli elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata (Cass. 13 luglio 2004 n. 12912). Nè i vizi di motivazione denunciabili ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, possono risolversi nella contrapposizione di una diversa valutazione di taluni elementi probatori rispetto a quella effettuata dal giudice del merito.

Inammissibile è il profilo di censura concernente la omessa considerazione della prolungata assenza della V. dal posto dilavoro in occasione del suo soggiorno in (OMISSIS) protrattosi per un lungo periodo e la mancanza di controllo da parte della società delle assenze della V. per motivi di studio o di malattia, trattandosi di censure generiche, in ordine a fatti che, non riportati nella sentenza impugnata, non risultano essere stati oggetto del dibattito dinanzi al giudice del merito. E’ necessario infatti che la circostanza trascurata sia stata dedotta dinanzi al giudice di merito e abbia formato oggetto di discussione fra le parti, dovendo i motivi del ricorso per cassazione investire a pena di inammissibilità situazioni e questioni che abbiano già formato oggetto di gravame con l’atto di appello e siano quindi comprese nel tema del decidere del giudizio di secondo grado, quale fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti (Cass. 28 luglio 2000 n. 9936).

Il terzo motivo, nel denunciare vizio di motivazione, lamenta che la sentenza impugnata non abbia considerato il meccanismo retributivo adottato dalla redazione di Pescara, che, disponendo di un determinato budget per i compensi ai collaboratori, lo distribuiva fra gli stessi in base al lavoro svolto e al tipo di rapporto in corso, senza ingerenza dell’editore e a volta a sua insaputa, per cui alcun vincolo obbligatorio si era instaurato con l’azienda, circostanza anche questa del tutto trascurata dal giudice del merito.

Anche questa censura non può essere accolta. A parte la considerazione che essa si pone in contrasto con quanto sostenuto dalla società nel secondo motivo, laddove ha asserito che la volontà espressa dalla società e dalla V. all’inizio del rapporto era stata rivolta alla instaurazione di un rapporto di mera collaborazione esterna, si deve rilevare come il motivo in esame pone questioni che non risultano trattate dalla sentenza impugnata, per cui valgono le medesime argomentazioni svolte con il precedente motivo circa la inammissibilità nel giudizio di cassazione delle questioni che non abbiano già formato oggetto di gravame e non siano state comprese nel tema del decidere del giudizio di secondo grado, quale fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti.

Il quarto mezzo di annullamento denuncia, unitamente a vizio di motivazione, violazione e falsa applicazione dell’art. 2126 c.c., L. 3 febbraio 1963, n. 69, artt. 26, 29, 33 e seg., 35 e 45, degli artt. 5 e 35 del c.c.n.l.g. (reso valido erga omnes dal D.P.R. n. 153 del 1961), della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, artt. 2, 4 e 5, della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, degli artt. 1362 e seg. in relazione agli artt. 5 e 35 c.c.n.l.g. Premesso che l’albo dei giornalisti, sebbene unico, è suddiviso in due elenchi, dei professionisti e dei pubblicisti, in un registro, ove sono iscritti i praticanti, e in un ulteriore elenco, in cui sono iscritti i giornalisti esteri, abilitati alla professione in Italia, e che i provvedimenti di iscrizione, integranti atti amministrativi, costitutivi ciascuno di un particolare status (professionista, giornalista pubblicista e praticante), il cui possesso abilita esclusivamente all’esercizio dell’attività giornalistica corrispondente, deduce che la sentenza impugnata per verificare la sussistenza della nullità o meno del rapporto avrebbe dovuto accertare se la V. fosse in possesso dello status di giornalista professionista, unico legittimante, alla stregua di consolidata giurisprudenza, le prestazioni proprie della qualifica di redattore, per cui la mancanza della iscrizione nell’elenco dei giornalista professionisti non poteva che portare alla declaratoria di nullità del rapporto. E anche nell’ipotesi di affermazione di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti, gli effetti di essi devono rimanere circoscritti a quelli di cui all’art. 2126 c.c., mentre erroneamente il giudice del merito ha riconosciuto alla V. il trattamento economico spettante al praticante giornalista e disposto la sua reintegrazione nel posto di lavoro quale giornalista professionista, ed altrettanto erroneamente ha ritenuto la validità della retrodatazione dell’iscrizione della odierna resistente nel registro dei praticanti giornalisti, la quale iscrizione è atto amministrativo con carattere di accertamento costitutivo e con efficacia ex nunc. Si assume infine che della iniziativa circa la costituzione del rapporto di lavoro in questione, da ascrivere a soggetti a tanto non autorizzati dall’editore, non può essere chiamato a rispondere l’editore.

Il motivo è fondato. La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel senso che per l’esercizio del lavoro giornalistico di redattore ordinario, cioè del giornalista professionista stabilmente inserito nell’ambito di una organizzazione editoriale o radiotelevisiva, con attività caratterizzata da autonomia della prestazione, non limitata alla mera trasmissione di notizie, ma estesa alla elaborazione, analisi e valutazione delle stesse, è necessaria l’iscrizione nell’albo dei giornalisti professionisti, e che non è idonea ad integrare detto requisito la iscrizione nel diverso albo dei giornalisti pubblicisti (Cass. 21 maggio 2002 n. 7461, Cass. 5 aprile 2005 n. 7016, Cass. 3 febbraio 2005 n. 2142, Cass. 1 luglio 2004 n. 12095 e numerose altre). Si è tuttavia evidenziato che la nullità del rapporto di lavoro instaurato con soggetto non iscritto nell’albo dei giornalisti professionisti, non derivando dall’illiceità dell’oggetto o della causa, ma dalla violazione della norma imperativa dettata dalla L. 3 febbraio 1963, n. 69, art. 43, non produce effetto nel periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, secondo l’espresso disposto dell’art. 2126 c.c.;

ciò comporta, limitatamente a tale periodo, che il lavoro prestato in carenza di iscrizione deve essere retribuito, con eventuale adeguamento della misura della retribuzione ex art. 36 Cost., comma 1, ma non da diritto alla tutela reintegratoria e risarcitoria di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18.

Erroneamente perciò la sentenza impugnata ha affermato la validità del rapporto in base alla accertata iscrizione della V. nell’elenco dei giornalisti pubblicisti.

Ed a nulla rileva che l’Ordine dei giornalisti d’Abruzzo avesse iscritto la V. con efficacia retroattiva, con decorrenza retrodata al (OMISSIS), nell’albo dei praticanti giornalisti, poichè – come pure hanno rimarcato le richiamate pronunce – tale provvedimento vale soltanto nei rapporti fra l’aspirante giornalista e l’ordine professionale, limitatamente alla durata della pratica al fine dell’esame di abilitazione professionale, e non anche per convalidare un contratto nullo per difetto di un requisito essenziale, inammissibile essendo la convalida ai sensi dell’art. 1423 c.c..

Lo stesso deve affermarsi quanto al conseguimento da parte della V. della iscrizione nell’albo dei giornalisti professionisti in data (OMISSIS), quando cioè il rapporto era stato risolto ad iniziativa della società editoriale.

In base a queste considerazioni risultano infondati anche il secondo e il terzo motivo del ricorso incidentale, con i quali si denuncia rispettivamente violazione e falsa applicazione degli artt. 2126, 2099, 2103 e 1362 e seg. c.c., in relazione agli artt. 1, 11, 13, 14, 15, 16, 27, 28 e 35 c.c.n.l.g. di diritto comune, della L. 3 febbraio 1963 n. 69, art. 35, addebitando alla Corte di merito di non aver riconosciuto alla V., quale pubblicista a tempo pieno, il diritto al trattamento economico previsto per i redattori di prima nomina sin dalla data del licenziamento (secondo motivo), e unitamente a vizio di motivazione, violazione e falsa applicazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, artt. 13 e 18, perchè la sentenza impugnata, malgrado la ritenuta illegittimità del licenziamento con la reintegrazione della V. nel posto di lavoro, ha omesso di pronunciare sulla richiesta di risarcimento danni spettante alla lavoratrice (terzo motivo).

Fondato per quanto di ragione è invece il primo motivo del ricorso incidentale, con il quale la V. denuncia, oltre a vizio di motivazione, violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c., in relazione agli artt. 5, 8, 11, 13, 14, 15, 16, 27, 28 e 36 c.c.n.l.g. di diritto comune successivi a quello con validità estesa erga omnes, della L. 3 febbraio 1963, n. 69, artt. 1, 26, 27, 31, 32, 33, 34, 35 e 45, del D.P.R. 4 febbraio 1965, n. 115, artt. 30, 36, 41, 43, 45 (come modificato dal D.P.R. 21 settembre 1993, n. 384, art. 2) deducendo l’errore in cui è incorso il giudice del merito nel riconoscerle la qualifica e il trattamento economico del praticante giornalista, sebbene essa avesse posto ad oggetto della domanda lo status di iscritta all’unico albo dei giornalisti, elenco dei pubblicisti, ed il contrasto di queste conclusioni con l’accertamento evidenziato nella sentenza impugnata dello svolgimento di attività tutte rientranti in quella del redattore.

Si deve infatti rilevare che la sentenza impugnata specificando che la V. “partecipava alle riunioni formali di redazione” e che “era parte integrante della redazione” di Pescara, ha affermato l’esercizio di fatto dell’attività di giornalista redattore, mentre poi, facendo riferimento alle retribuzioni fissate dal contratto collettivo per i praticanti giornalisti al fine di liquidare le spettanze della lavoratrice, ha adottato un parametro incongruo.

In conclusione, vanno accolti nei limiti di cui innanzi il quarto motivo del ricorso principale ed il primo motivo dell’incidentale, e vanno rigettati tutti gli altri motivi dei due ricorsi.

Cassata la sentenza impugnata in relazione alle dette censure, la causa va rinviata ad altro giudice di appello per la determinazione delle somme spettanti alla V. ex art. 2126 c.c. in relazione all’esercizio di fatto dell’attività di giornalista redattore, per il periodo accertato dal (OMISSIS) al (OMISSIS).

Al giudice del rinvio va demandata la regolamentazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie per quanto di ragione il quarto motivo del ricorso principale e il primo dell’incidentale; rigetta tutti gli altri motivi di entrambi i ricorsi; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Roma.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2006.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2006

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