Trasferimento di ramo d’azienda ex art. 2112 c.c. in una sentenza del Tribunale della Spezia; indici sintomatici di identificazione della “genuinità” del ramo

(Diritto.it) – Con distinte Sentenze n. 577, 578, 579, 580 del 14 Ottobre 2008 il Giudice del Lavoro del Tribunale della Spezia, Dott. Giampiero Panico, si è pronunciato rispetto ad un caso di trasferimento di ramo aziendale, decidendo nel senso dell’insussistenza della “genuinità” del ramo stesso. Ciò in quanto, a parere dell’organo giudicante, il complesso aziendale trasferito non possedeva quei requisiti di sostanziale autonomia tali da farlo ritenere, mutuando l’espressione della Corte di Cassazione[1], “una sorta di piccola azienda” all’interno di quella cedente. Ha altresì ribadito, conformemente all’interpretazione dottrinale ormai prevalente, che lo stesso complesso aziendale, per essere definibile come ramo, debba comunque essere preesistente alla cessione stessa.
La pronuncia riveste un carattere di estremo interesse soprattutto nella parte in cui tende all’individuazione concreta di quelli che possono, a pieno titolo, essere definiti “indici di genuinità” del trasferimento, fornendo all’interprete indicazioni concrete specificatamente volte a chiarire il confine oggettivo fra ramo aziendale e semplice reparto, soprattutto nel delicato contesto dei trasferimenti infragruppo.
 
La fattispecie
 
La vicenda oggetto della pronuncia si riferisce ad una caso di trasferimento di ramo aziendale ex art. 2112 c.c. adottato da una grande azienda multiutility dedita alla produzione e distribuzione di gas, acqua e ad altri servizi nel settore ambiente, denominata ACAM spa. Detto trasferimento era finalizzato al trasferimento del reparto denominato “allacciamenti”, nell’ambito del quale erano occupati circa quaranta addetti, presso una società del gruppo denominata ACAM IMPIANTI E RETI srl controllata al 100% dalla cedente. Da segnalare che l’attività del settore sarebbe poi stata, dalla capogruppo, surrettiziamente “recuperata” attraverso un appalto interno.
Un gruppo di ventisei lavoratori impugnavano il trasferimento rilevando l’illegittimità dello stesso e lamentando sia l’inesistenza, nel caso concreto, del requisito della sussistenza di un vero e proprio ramo aziendale così come definito dall’art. 2112 c.c., sia il mancato rispetto degli accordi sindacali aziendali.
L’attività oggetto del reparto, come riconosciuto dalla stessa difesa di parte aziendale, era principalmente volta ad unire le condotte ed a collegarle agli impianti dell’utenza. Attività, quindi, essenziale per l’effettuazione del servizio idrico o di quello di distribuzione del gas all’utenza e sino ad allora concentrata dall’Azienda cedente all’interno del reparto oggetto della cessione ed individuato, appunto, con la locuzione “allacciamenti”.
Da segnalare, altresì, come all’interno dell’Azienda cedente fosse vigente un accordo sindacale anteriore all’operazione di trasferimento, in cui testualmente si sanciva che “la struttura organizzativa relativa al settore allacciamenti resterà in capo ad ACAM ….”.
La difesa dei lavoratori eccepiva quindi un doppio ordine di illegittimità dell’operazione di cessione, l’una, ed è ovviamente il profilo che più interessa l’interprete, di natura strettamente legale e la seconda, di natura meramente contrattuale.
 
La decisione:
 
1.      Ultima versione dell’art. 2112 c.c. e conferma della necessità della “preesistenza” del ramo aziendale rispetto al momento della cessione.
 
Nella pronuncia il Giudice affronta, innanzitutto, il tema inerente l’istituto del trasferimento del ramo aziendale alla luce delle riforme che, dapprima con Legge n. 428/90 e più recentemente con il D.lgs 276/03, hanno modificato l’art. 2112 c.c..
In particolare, proprio in relazione alla riforma più recente, il Giudice, aderendo per altro all’ormai consolidato orientamento dottrinario e giurisprudenziale, ha chiarito che il riferimento, oggi previsto dall’ultima versione dell’art. 2112 c.c., all’identificazione del ramo da parte del cedente e del cessionario al momento del trasferimento, non vada interpretato come potere delle parti di qualificare la fattispecie, essendo tale potere prerogativa eminentemente giudiziale.
Tale novella legislativa, sostituendo al concetto di “preesistenza” della articolazione aziendale, la individuazione di tale cessione “al momento” della cessione, rischierebbe, infatti, con un’interpretazione formalistica e letterale, di elidere la necessaria individuazione di una effettiva autonomia del ramo. Conseguentemente verrebbe meno ogni disputa in ordine agli attributi di tale articolazione, ormai non più esistente dal punto di vista strutturale.
Viceversa, l’interpretazione dell’art 2112 c.c. va necessariamente coordinata con la normativa comunitaria ed in particolare con la direttiva CE n. 2001/23 la quale, proprio nell’individuare i caratteri fondanti e legittimanti la cessione di ramo d’azienda, fa espresso riferimento ad “un’entità economica che conserva la propria identità”. Norma che quindi pone al riparo da interpretazioni della Legge nazionale eccessivamente disinvolte, seppur astrattamente riconducibili al testo normativo[2].
Riprendendo un’efficace riflessione dottrinale, potremmo quindi affermare che una cosa è identificare un’altra è costituire il ramo d’azienda[3].
Restano quindi sostanzialmente inalterati i requisiti di autonomia ed autosufficienza del complesso trasferito a tal fine dirimenti per potersi parlare di “ramo” aziendale, non potendo l’autonomia negoziale in alcun modo e con una semplice attività di “perimetrazione” del complesso trasferito, fare automaticamente assumere allo stesso i prefati requisiti sostanziali.
La pronuncia del Giudice spezzino si pone quindi, sull’argomento, in linea di continuità con la dottrina e la giurisprudenza ormai consolidata.
 
2.      L’attività del ramo: distinzione fra attività finale e attività strumentale.
 
Per potersi valutare l’autenticità del ramo diviene quindi essenziale un’indagine sulle caratteristiche funzionali del complesso trasferito ed in particolare una valutazione in ordine all’autonomia dell’attività esercitata all’interno dello stesso.
In questo senso va preliminarmente sottolineato come se detta valutazione risulti piuttosto agevole allorché il ramo realizzi un’autonoma attività di produzione di beni (es. autonoma catena produttiva di costruzione di un determinato prodotto), più sottile potrebbe apparire la distinzione nell’ambito di un’attività di produzione di servizi. Sarà cioè essenziale distinguere il caso in cui l’attività rappresenti un mero servizio reso all’interno e per il complesso cedente (es. servizio guardianato, di pulizia, di centralino…), dal caso in cui il servizio sia una vera e propria attività finale e non strumentale dell’azienda.
Proprio da tale deduzione argomentativa nasce la pronuncia del Tribunale della Spezia: ritenendo cioè che il servizio realizzato dai lavoratori del reparto “allacciamenti” fosse una semplice attività strumentale od ausiliaria del più complesso core business aziendale, detto contesto non poteva definirsi quale autonomo ramo aziendale.
In buona sostanza, nei casi in cui il complesso trasferito realizzi una mera attività di servizio, sarà fondamentale stabilire se detta funzione sia semplicemente interna e rivolta al complesso cedente o, viceversa, realizzi un’attività finale e come tale, avente una rilevanza esterna. Se così non fosse è ovvio che qualsiasi segmento aziendale potrebbe essere identificato come “ramo” pur non possedendo, neppure in via embrionale, alcuna autonomia funzionale: dal servizio reception al servizio pulizia, dall’attività di vigilanza interna al sevizio di manutenzione.
 
3.      Indici rilevatori della genuinità del ramo.
 
Ai fini della valutazione dell’autenticità del ramo, il Giudice mostra di riconoscere rilevanza probatoria a taluni aspetti del trasferimento che, anche a parere della difesa dei lavoratori, si ponevano in conflitto con la tesi, sostenuta dalla difesa di parte aziendale, volta ad affermare la configurabilità del settore “allacciamenti” quale autonomo ramo aziendale.
Dette valutazioni rappresentano, a parere di chi scrive, un prezioso contributo all’elaborazione di specifici indici sintomatici della genuinità del ramo aziendale e della conseguente legittimità del relativo procedimento di trasferimento.
Tali elementi posso essere elencati come segue:
 
ü      Oggetto sociale dell’impresa cedente. Nel caso di cui alla presente sentenza, molto significativamente, l’attività del settore allacciamenti non veniva minimamente menzionata nel pur vasto e quasi omnicomprensivo oggetto sociale dell’impresa cedente. Un elemento che si poneva in chiara contraddizione con l’astratta ipotizzabilità, in capo a detto complesso aziendale, di una specifica ed autonoma attività d’impresa preesistente al momento del trasferimento. E’ cioè evidente che l’attività finale prodotta dal ramo, così come concepita nelle considerazioni di cui sopra, se è davvero tale non può non comparire nell’oggetto sociale aziendale.
ü      Organigramma aziendale. Anche la valutazione dello schema di organigramma aziendale è stato ritenuto elemento indiziario meritevole di attenzione da parte dell’organo giudicante. In quel caso, infatti, il settore ceduto non veniva presentato come sotto-azienda in sé completa ed autosufficiente ma come uno dei tanti reparti organizzativi interni al pari dei servizi generali, dell’area tecnica, dell’area legale e dell’ufficio del personale …
ü      Promiscuità del lavoro dei dipendenti del settore trasferito con i dipendenti dell’azienda madre. Tale circostanza rappresenta anch’essa un elemento di forte distonia rispetto ai requisiti di autonomia richiesti al ramo aziendale. La circostanza, cioè, che i lavoratori del complesso trasferito, svolgessero alcune delle proprie attività assieme ad altri colleghi degli altri settori aziendali rende cioè sempre meno circoscrivibile ed indipendente il complesso trasferito.
ü      Eterogeneità delle attività realizzate dal complesso trasferito. Come già osservato dalla giurisprudenza di merito[4], ove il complesso aziendale che si vuole trasferire non eserciti un singolo e circoscritto servizio ma un insieme eterogeneo di attività non funzionalmente connesse, si dovrà dedurre l’inesistenza di un vero e proprio ramo aziendale. Ciò è ribadito, nel caso di specie, allorché il Giudice, rilevando che il settore allacciamenti svolgeva molteplici compiti resi a vari reparti dell’azienda e ad altre aziende del gruppo (servizi di progettazione, allacciamenti utenze, servizio reperibilità delle reti acqua e gas, preventivazione,…) deduceva che tale situazione caratterizzava una mancanza di identificabilità dello stesso. Una specificità meramente tecnica del reparto, assimilabile a quella che distingue gli uni operai dagli altri, ma che non basta a configurare un ramo d’azienda.
 
Gli elementi di cui sopra, se coordinati con gli indici già elaborati dalla giurisprudenza[5], offrono un quadro assolutamente esauriente del concetto di trasferimento fraudolento.
Sul punto è doveroso sottolineare come il tema abbia trovato una sua prima ed importante definizione con quello che in dottrina viene ormai unanimemente definito il caso “Standa” e cioè un caso di vendita fraudolenta di un supermercato ad un imprenditore poi fallito, con successivo accollo del tfr a carico del fondo di garanzia inps[6]. Anche in quella pronuncia la giurisprudenza ha fatto ricorso ad elementi presuntivi della frode, ritenendo significative, anche in via disgiuntiva, determinate circostanze: qualità del cedente e del cessionario, inadeguatezza del prezzo di cessione, mancato esercizio da parte del cessionario dei poteri direttivi sul personale, esistenza di accordi sindacali limitativi del licenziamento collettivo ad opera del cedente ….
La pronuncia del giudice spezzino dimostra, quindi, come la giurisprudenza continui a conferire una particolare rilevanza a determinate circostanze fattuali che nel loro concreto atteggiarsi possono tendere a sconfessare in radice l’esistenza di quei requisiti di autonomia ed autosufficienza del complesso che solo se effettivamente esistenti, possono legittimare l’operazione di cui all’art. 2112 c.c..
  
Daniele Bordigoni
Avvocato del Foro della Spezia
 

[1] Corte di Cassazione sez. lavoro n. 17207/2002.
[2] DE FELICE, Relazione al convegno del 3 ottobre 2003 organizzato a Roma dalla Consulta giuridica della Cgil su “Appalti, somministrazione e trasferimenti di azienda: gli effetti del d.lgs. n. 276/2003”, 2003.
[3] ANDREONI, Impresa modulare e trasferimento di azienda. Le novità del D.lgs 276/2003, EDIESSE, 2003
[4] Tribunale di Padova sez. lavoro, 5 Febbraio 2007 n. 1079, Bu.Lu + altri / Tim Italia spa.
[5] DE FELICE, op. cit.
[6] Tribunale Nocera Inferiore, 29 Maggio 2001, in Riv. Giur. Lav., 2002, II, 564, n. Trimboli; Corte di Appello di Napoli, 23 Marzo 2001, ivi, 283, n. Serreti.

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