Cassazione, frode fiscale: IVA deducibile se non è provata la malafede delle fatture soggettivamente false

La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 9537 del 29/04/2011, cambia rotta in merito al rapporto tra processo tributario e processo penale accogliendo il ricorso di una società coinvolta in una "frode carosello" e per l’effetto dichiarando detraibile l’IVA in mancanza della prova di malafede.

Per "frode carosello" si intende un meccanismo fraudolento dell’IVA attuato mediante vari passaggi di beni, al termine del quale l’impresa acquirente detrae l’imposta sul valore aggiunto nonostante che il venditore compiacente non l’abbia versata. La società in questione acquistava materiali preziosi da una società di comodo (cd "filtro", sono quelle società che il legislatore presume non operative e costituite solo a scopi elusivi) che non pagava l’imposta e quindi riusciva a vendere ad un prezzo particolarmente concorrenziale la merce, e presentava ugualmente la dichiarazione dei redditi detraendo l’IVA sostenuta per gli acquisti. È per tale motivo che a fronte di un’inchiesta su cessione di materiali preziosi, il Fisco realizzava un accertamento sulle imposte sui redditi, volto a sostenere l’incidenza negativa della condanna penale per frode sul beneficio fiscale. Contro l’atto impositivo della Commissione Tributaria Provinciale, l’azienda presentava ricorso in Cassazione, la quale accoglieza le eccezioni, cambiando rotta sull’onere della prova delle fatture soggettivamente false, affermando che: “La omessa seria analisi e spiegazione della consistenza della ritenuta inesistenza soggettiva delle operazioni non rende in alcun modo convincente l’operazione compiuta dalla Ctr (Commissione Tributaria Provinciale) di eliminazione dell’importo corrispondente all’IVA”. Il diritto alla deduzione IVA si mantiene vivo, in quanto l’accertamento nel processo penale del coinvolgimento dell’azienda in un meccanismo di frode carosello non fornisce la prova della malafede sulle fatture soggettivamente false. La ricostruzione penalistica, accertando e spiegando solo l’interesse economico alla commercializzazione di merce per cui non è stata pagata l’IVA a monte e, di conseguenza, la possibilità di rivendere la merce a prezzi più concorrenziali, si rivela inidonea a chiarire la questione relativa alla formazione del reddito d’impresa. Il beneficio fiscale è protetto dal fatto che l’IVA è un’imposta per la quale la detrazione è ammessa solo in presenza di fatture provenienti dal soggetto che effettua la cessione o la prestazione, quindi è palese l’irrilevanza che le fatture stesse siano a copertura di prestazioni acquisite da altri soggetti. La Corte di Cassazione, salvando il diritto alla detrazione dell’IVA, ha considerato l’atto impositivo della CTR un rigetto del tutto immotivato, e ha pertanto rinviato ad una diversa Sezione della Commissione, affinchè potese essere riesaminana e decisa ex novo la controversia fiscale. (C.S. per NL)
 

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