Chi se ne importa della Birmania

La situazione birmana, per giorni sulle prime pagine dei giornali, è scomparsa dall’agenda dei direttori di giornali e tg


La notiziabilità, ossia il criterio che, ingerenze politico-economiche a parte, governa il mondo dell’informazione globale, certe volte è una gran brutta bestia.
Accade, in ogni parte del mondo, sia che questa possieda o che non possieda un sistema informativo libero, che il ciclo di vita degli avvenimenti finisca per coincidere con quello delle notizie. Nulla di più sbagliato, nulla di più disumano. Accade, infatti, che anche un pretesa micro-macchia di sangue o di un qualsiasi altro liquido, sulla bicicletta di Alberto Stasi faccia sì che le prime pagine dei giornali ed i titoli d’apertura dei tg si catapultino sulla notizia, facciano precipitare i propri operatori a Garlasco per ascoltare, dopo l’ennesima “notiziola” a riguardo, cosa ne pensino gli abitanti del paese, i familiari e così via.
Accade, allo stesso modo, e per una logica probabilmente ancor più viziosa, che le impressioni degli esponenti politici su questo o quel fatto del giorno, occupino più della metà del tempo di un tg e risaltino più che l’avvenimento (il più delle volte di dubbio interesse per i cittadini) in sé. Siamo noi a chiederlo, è la gente che è più interessata ai risvolti, per così dire, “gossippari”, “pettegoli”, che agli avvenimenti reali. Ma la colpa, in realtà, non è nostra. E’ di chi ha deciso che queste sono le cose che a noi devono interessare, per distrarci, per “anestetizzarci” nei confronti delle tematiche serie, delle tematiche a noi più vicine. Per questo motivo, ad esempio, qualsiasi indiscrezione sull’omicidio della povera (pace all’anima sua…) Chiara Poggi rende la gente famelica, vogliosa di conoscere, di sapere quali fossero gli antefatti, le relazioni tra i protagonisti della vicenda, le passioni di Chiara e così via. E, intanto, i grandi manovratori possono agire tranquillamente nel nostro disinteresse. Tutto ciò è paradossale, è una macchina infernale messa in atto contro la gente, specie quella meno erudita, “disumanizzata” e trasformata in mera “merce” elettorale.
Accade, date le premesse, che il “ciclo di vita” della battaglia pacifica che stanno combattendo i monaci birmani contro il regime che li opprime, sia lungo quanto il desiderio che la gente ha di ricevere notizie su di essa. Per una decina di giorni nessuno parlava d’altro: le ipocrite manifestazioni di solidarietà dei calciatori, della gente dello showbusiness, le fascette rosse, gli appelli di cantanti ed attori, occupavano la scena più delle reali notizie di cronaca. Finiti gli appelli, finita l’ondata “solidale”, finiti gli scontri in Birmania. E, invece, non è così. “Panta rei” diceva Eraclito, tutto scorre. Tutto scorre, incluso il sangue dei monaci e della popolazione civile perseguitata dall’esercito, ma noi non ce ne accorgiamo, perché i tg non ne parlano più e i giornali vi dedicano orami solo qualche trafiletto. E noi ce ne dimentichiamo, lasciando che tutto continui ad accadere, che le Nazioni Unite, gli Stati vicini, alleati e non, si occupino della faccenda. Il Tg1 di Riotta titola sui poveri orsi morti nel Parco nazionale d’Abruzzo, sulla ragazzina inglese rimasta perforata dal suo stesso peircing e si dimentica che in Birmania si continua a morire. Oggi più di ieri. E i cittadini birmani sono sempre più soli, non hanno più internet, non hanno nessuna nazione potente che si schieri dalla loro parte realmente, che contribuisca diplomaticamente (ma nel vero senso della parola, minacciando la fine di qualsiasi rapporto commerciale, attuando embarghi, ad esempio) a sedare le folli mosse del dittatore Than Shwe. In Birmania, ora, i morti vengono cremati subito dopo l’assassinio per essere nascosti, per far sì che la stampa straniera si “beva” (quando non abbia già ritirano il proprio “contingente informativo” dal paese) i numeri che l’informazione di regime le dà e sulla cui veridicità noi non sapremo mai nulla, perché a noi interessa Garlasco. Questa non è vera informazione, ma noi, ahimè, nemmeno lo sappiamo. (Giuseppe Colucci per NL)

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