Dibattito. Confessioni di un giornalista di provincia: “…in tanti casi la deprecata casta siamo noi”

Il giornalista si crede e si definisce auto-irresponsabile e agisce come auto-irresponsabile


da Franco Abruzzo.it

“Ho maturato infatti il convincimento che la mancanza di senso di responsabilità della “casta” dei giornalisti, per usare un termine ormai invalso dopo il best-seller di Stella e Rizzo, sia uno dei tarli morali che minano la società del nostro Paese. Il giornalista si crede e si definisce auto-irresponsabile e agisce come auto-irresponsabile”.

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di SISTO CAPRA

E’ più utile alla società e risponde maggiormente al legittimo e genuino interesse dello Stato che i lettori dei giornali e i telespettatori dei Tg e delle trasmissioni di approfondimento giornalistico vengano tempestivamente ed esaurientemente informati, giorno per giorno, ora per ora, in modo martellante fino all’ossessione , su come procedono le inchieste per scoprire gli assassini di Chiara Poggi a Garlasco o del piccolo Samuele a Cogne o le notizie sulle Bestie di Satana, sul serial killer Donato Bilancia o sui coniugi di Erba? Oppure è più utile e doveroso operare concretamente, anche da parte dei giornalisti, affinché la magistratura prima e la giustizia poi vengano messe nella condizione di scoprire volti, circostanze e moventi al fine di inchiodare i colpevoli alle proprie responsabilità? Il problema si pone concretamente se il raggiungimento dei due obiettivi in qualche modo confligge, il che capita sempre più spesso. La questione concerne le finalità e gli effetti del diritto-dovere di cronaca, sancito dalla Costituzione e regolato da leggi e norme sulla professione giornalistica, e ha a che fare con una quantità di problemi delicati e controversi, che vengono ampiamente e continuamente dibattuti e non possono essere utilmente trattate in questa sede. Mi limito a fare, invece, qualche riflessione su una delle questioni in gioco, sulla quale penso di avere una certa competenza derivante dall’esperienza di trent’anni di lavoro nei giornali, prima alla Gazzetta del Popolo e poi alla Provincia pavese. Mi riferisco al tema della responsabilità etica prima che giuridica e professionale dei giornalisti. Un tema su cui i giornalisti stessi, a partire dal loro Ordine professionale e dalla Fnsi, il sindacato della categoria, adottano tradizionalmente atteggiamenti auto-assolutori, certo giustificabili perché la libertà di stampa è spesso e volentieri vilipesa e minacciata, ma che tuttavia innegabilmente determinano anche conseguenze aberranti o quanto meno dannose. Torniamo alla domanda di base e vediamo di articolarla con un esempio. Se nel mio lavoro di cronista scopro un elemento la cui divulgazione, ancorché non impedita dalle leggi, secondo il mio intimo convincimento, in tutta coscienza, ostacola il lavoro di una procura della Repubblica o di un organo di polizia giudiziaria e investigativa, sono orientato ad astenermi, ad esercitare una sorta di obiezione di coscienza. Cioè non divulgo la notizia, non la passo al giornale e se il direttore mi interroga in proposito mentisco. Sono un cattivo giornalista? Vent’anni fa avrei risposto senz’altro di sì. Avrei argomentato che compito e dovere primario del giornalista sono di mettere a disposizione dell’opinione pubblica (in questo caso, la platea dei lettori-telespettatori) tutti gli elementi di cui sia venuto a conoscenza nel contatto con le fonti e nello svolgimento del suo lavoro. Che il cronista non fa che consegnare il materiale obiettivo raccolto al responsabile della redazione, il quale deciderà se, come e cosa pubblicare. Oggi non la penso più così, ho rovesciato la mia posizione. Ho maturato infatti il convincimento che la mancanza di senso di responsabilità della “casta” dei giornalisti, per usare un termine ormai invalso dopo il best-seller di Stella e Rizzo, sia uno dei tarli morali che minano la società del nostro Paese. Il giornalista si crede e si definisce auto-irresponsabile e agisce come auto-irresponsabile. Così mette in piazza storie personali che dovrebbero restare coperte. E che resterebbero tali se i giornalisti semplicemente facessero obiezione di coscienza. Il giornalista si permette di investigare e giudicare le altre “caste”, quella dei politici, dei giudici, dei medici, dei professori universitari, dei vari Palazzi, mettendosi al loro pari, mentre manca di investigare e giudicare se stesso, il proprio modo di pensare e di operare, la propria qualità etica. Ama riempirsi la bocca di diritto di cronaca. Invoca guarentigie. Ma collabora nei fatti ad affossare questo Paese. Credo che noi giornalisti siamo corresponsabili, per la nostra parte, di tutti i guasti che si sono prodotti in Italia. Tocca agli editori vendere i giornali che aiutiamo a produrre e non sono affari dei giornalisti se le copie vendute non aumentano o, peggio, diminuiscono. Oltretutto, si sa bene che la voce fatturato da vendite sta diventando sempre più marginale per le aziende editoriali. Per me, cittadino prima che giornalista, la moralità e l’interesse legittimo della società (nel senso della società generale rousseauiana) devono precedere l’esercizio del diritto-dovere di cronaca. Credo che noi giornalisti dobbiamo riconoscerlo e riflettere attentamente sul modo in cui lavoriamo e sul prodotto che forniamo. Mi ha molto colpito la relazione svolta dal comandante dei Ris di Parma, il colonnello Luciano Garofano, al “Socrate al Caffè” del 21 ottobre al Collegio Nuovo. Garofano ha detto, riguardo ad alcuni recenti grandi delitti in cui il Reparto Investigazioni Scientifiche dei Carabinieri è stato ed è protagonista, che certi giornalisti si sono prestati con la loro opera scriteriata per non dire di peggio a diffondere disinformazioni, ricostruzioni palesemente false e strumentali, a costruire verità mediatiche che confliggono con quella umana e giudiziaria, in qualche caso a deviare il corso di inchieste, con la conseguenza che la ricerca dei colpevoli ne è risultata frenata e impedita. Questi comportamenti negativi dei giornalisti sono uno degli elementi per spiegare la crescente sfiducia del pubblico verso i giornali, percepiti come inaffidabili, e il conseguente mancato aumento delle copie vendute negli ultimi due decenni. Le copie invece ristagnano, nonostante lo sviluppo della società in tutti i campi. Se bastasse la cronaca nera a far crescere la diffusione dei giornali, avremmo già dovuto sfondare copia dieci milioni di copie, invece restiamo fermi da anni a poco oltre sei milioni. La “casta” dei giornalisti ha le sue responsabilità, insomma, di cui deve fare ammenda. Nella società globale i fatti e le verità giudiziarie sono perennemente sotto processo. La faccenda riguarda anche noi giornalisti, che non possiamo continuare a fare gli struzzi.

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