Diritto d’autore, occhio alle licenze

di Andrea Rossato – Dalla vicenda RadioRadicale vs. Daw c’è un insegnamento da trarre, quello secondo cui il diritto d’autore non è un diritto di proprietà. Ma spesso lo dimentichiamo


da Punto Informatico

Roma – La vicenda che ha contrapposto il blogger Daw a Radio Radicale in merito all’applicazione di una licenza Creative Commons merita una qualche attenzione e, ritengo, un commento, ora che la controversia sembra essere giunta ad una soluzione che pare mettere d’accordo entrambe le parti.

I termini della questione sono stati riportati da Punto Informatico e mi limito pertanto ad una sintesi di quanto avvenuto. Un blogger, Daw, utilizzando spezzoni di un video reperibile sul sito di RadioRadicale.it, crea un video satirico che raffigura Capezzone e Pannella nelle vesti di due personaggi televisivi. Radio Radicale ha da tempo deciso di adottare, per tutto il materiale disponibile sul proprio sito, una licenza Creative Commons, la quale consente a ciascuno di utilizzare i contenuti della radio rispettando alcune semplici condizioni. Una sola, nel nostro caso: “Devi attribuire la paternità dell’opera nei modi indicati dall’autore o da chi ti ha dato l’opera in licenza.”

In base a quanto si legge nella diffida che il legale di Radio Radicale ha inviato al blogger, costui dapprima non avrebbe riportato indicazione della fonte del materiale video utilizzato per la creazione dell’opera satirica, e quindi, in seguito, avrebbe riportato solo il link alla radio ma non al documento originale. Ciò, afferma il legale, costituirebbe una violazione della licenza che prescrive di indicare la fonte “nei modi indicati” da chi concede l’opera in licenza.

Il problema è che nel fare ciò si omette di menzionare che la medesima licenza afferma anche: “La presente Licenza non intende in alcun modo ridurre, limitare o restringere alcun diritto di libera utilizzazione o l’operare della regola dell’esaurimento del diritto o altre limitazioni dei diritti esclusivi sull’Opera derivanti dalla legge sul diritto autore o da altre leggi applicabili.”

Ciò significa che la licenza non può limitare quelle che nel nostro ordinamento si chiamano “libere utilizzazioni”. In altri termini, ai materiali di Radio Radicale continua ad applicarsi la legge sul diritto d’autore, legge che prevede limitazioni ai diritti esclusivi in talune circostanze. Pertanto a quei materiali si applica, ad esempio, l’art. 66 della legge sul diritto d’autore, il quale afferma: “I discorsi su argomenti di interesse politico o amministrativo tenuti in pubbliche assemblee o comunque in pubblico, nonché gli estratti di conferenze aperte al pubblico, possono essere liberamente riprodotti o comunicati al pubblico, nei limiti giustificati dallo scopo informativo, nelle riviste o nei giornali anche radiotelevisivi o telematici, purchè indichino la fonte, il nome dell’autore, la data e il luogo in cui il discorso fu tenuto.”

Si applica anche l’art. 70, il quale recita: “Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purchè non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera.”
Anche in questo caso, recita l’ultimo comma dell’articolo, “Il riassunto, la citazione o la riproduzione debbono essere sempre accompagnati dalla menzione del titolo dell’opera, dei nomi dell’autore, dell’editore e, se si tratti di traduzione, del traduttore, qualora tali indicazioni figurino sull’opera riprodotta.”

La scelta della modalità di indicazione della fonte, quindi, non è soggetta all’arbitrio dell’autore, se ricorrono casi di libera utilizzazione. In altri termini, la licenza si applica solo quando si utilizza un’opera per finalità che sono, dalla legge, riservate al detentore del diritto d’autore.

Non mi interessa qui soffermarmi molto sul caso specifico, per comprendere se il lavoro del blogger, come di primo acchito sono portato a ritenere, sia in effetti una libera utilizzazione. Non voglio nemmeno esaminare l’opportunità dell’utilizzo, da parte di Radio Radicale, dello strumento della diffida anche se desidero ricordare a me stesso che questo è uno strumento che nasce proprio per eventualità di questo tipo. Ciò che invece mi pare che qui emerga è una questione di carattere piú generale, che attiene al rapporto tra ciò che si chiama “proprietà intellettuale” e gli strumenti che vengono utilizzati per consentirne la fruizione, le licenze.

Radio Radicale ha un patrimonio audiovisivo che rappresenta un tesoro collettivo per la società italiana. Che abbia deciso di utilizzare una licenza Creative Commons per condividerlo con la generalità del pubblico è estremamente importante e, per chi conosca questa radio ? ed un giurista non può non conoscerla ? ribadisce la natura e lo spirito del ruolo che Radio Radicale ha, sin dalla sua origine, ritenuto di voler ricoprire nel nostro paese. La premessa mi pare importante perché la ragione ed il torto, fossimo anche in un aula di Tribunale, passano anche per le motivazioni di un’azione, e, in questa prospettiva, le richieste della radio mi appaiono tutt’altro che irragionevoli.

Il fatto che invece mi sembra centrale in questa vicenda, sono state le reazioni alla diffida della radio. Si è subito pensato che ci si trovasse di fronte ad un’azione di censura, cui alcuni messaggi di posta elettronica resi pubblici paiono dare invero un qualche adito, operata per il tramite del diritto d’autore: il blogger ha rimosso, per breve tempo, il proprio filmato dalla rete e ciascuno ha ritenuto che ciò potesse essere una reazione naturale ad una sorta di “colpo basso”, per quanto formalmente lecito.

Se ben capisco, in altri termini, si è immediatamente pensato che, anche se “bassamente”, la Radio avesse ragione nella forma e nella sostanza della sua lettura delle situazioni giuridiche in campo, e che, in modo prepotente, facesse ricorso ad un potere esistente, visto che di sua “proprietà intellettuale” si stava parlando.

È questa comune soggezione psicologica alla “proprietà intellettuale” ciò che mi pare propriamente assurdo in questa vicenda. Soggezione che mi sembra coinvolga tutte le parti in causa: il legale e la sua diffida, il blogger e la sua reazione, le reazioni piú generali della rete e le accuse di censura.

Tale soggezione, si badi, è aumentata dal fatto che ci troviamo di fronte ad una licenza come quella della quale discorriamo. Quando nel comunicato di radio Radicale leggo che “gli audiovideo pubblicati sul sito radioradicale.it non sottostanno alle leggi del diritto d’autore tradizionali, ma a una regolamentazione molto più liberale grazie all’adozione delle licenze Creative Commons”, mi pare che si voglia usare un argomento etico a fondamento di un diritto esclusivo che pure si ritiene illimitato, salvo le liberali concessioni operate dalla licenza.

Ora, il termine “proprietà intellettuale” ben rappresenta questo sentimento di piena esclusività del diritto che si ritiene di avere. Ed è quindi naturale pensare che il proprietario possa essere tanto scortese da invitarci alla porta, dal momento che, in ogni caso, ne ha il potere.

Solo che il diritto d’autore non è un diritto di proprietà. E non lo è per moltissime ragioni, prima delle quali perché, a differenza di questa, il diritto d’autore è concesso per uno scopo, che è l’incoraggiamento alla diffusione del sapere. Ed il perseguimento di questo scopo imporrebbe per esso limitazioni che spesso pare ci si dimentichi esistano.

Concedere diritti è costoso, perché costoso è renderli effettivi: occorrono polizia, magistrati, tribunali ecc. Il diritto esclusivo è concesso all’autore per incentivarlo a disseminare la sua conoscenza, le sue scoperte, le sue invenzioni. L’esclusività è limitata dal fine cui presiede.

Negli ultimi decenni assistiamo invece ad un allargamento della sfera di esclusività, ed assistiamo al contempo all’emergere di licenze d’uso che sempre piú comprimono le libertà del fruitore di opere intellettuali. Ciò comporta un aumento dei costi legati all’applicazione delle norme, senza che vi sia un beneficio per il loro fine, che consiste nella disseminazione della conoscenza. Vediamo anzi aumentare il numero dei casi nei quali il diritto d’autore viene utilizzato con lo scopo specifico di impedire la disseminazione della conoscenza ed è, credo, per questa ragione che subito si è pensato di dover leggere, nella richiesta di inserire un link, l’ennesima epifania di questo fenomeno.

Che ci si stia lentamente abituando a questo stato di cose, e che l’unica via di uscita che si ritiene percorribile sia quella di utilizzare licenze d’uso come le Creative Commons, mi sembrano entrambi un errore. E questo per una ragione di principio in un ordinamento giuridico che si definisce liberale, nel quale vige il principio della sovranità della legge e del diritto: nelle relazioni tra individui che possono essere regolate da un contratto di licenza pur si deve tenere in considerazione che i poteri e le soggezioni delle parti trovano un limite nel dettato della legge. Sia quando questa favorisce l’autore, sia quando questa favorisce il fruitore dell’opera intellettuale, indipendentemente da quale sia lo scopo che la licenza persegue.

Accanto a ciò è opportuno inoltre tenere in considerazione che ogni concessione all’autore di un diritto esclusivo deve recare alla società nel suo complesso non solo i costi connessi alla sua difesa, ma anche i vantaggi collettivi per i quali viene attribuito, in termini di circolazione delle idee e di incremento del dominio pubblico. I contribuenti non sono benefattori. E faremmo bene a ricordarlo a noi stessi in ogni occasione, anche quando parliamo di diritto d’autore.

Andrea Rossato

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