Gli oligopoli fanno male alla radio USA

Radio Passioni torna tema della proprietà delle stazioni radio e dei suoi effetti sulla varietà e la qualità dei programmi da un lato e sull’economia e il mondo dell’occupazione dall’altro


da Radio Passioni

Future of Music Coalition, una organizzazione lobbystica no profit a difesa dei musicisti indipendenti contro le grandi case discografiche, ha pubblicato ieri un bellissimo e approfondito studio sull’industria radiofonica dal 1996 (anno dell’entrata in vigore del Telecommunications Act americano) a oggi. Lo studio si intitola False premesse, false promesse e ha un sottotitolo che riassume bene gli scopi del lavoro: Una storia quantitativa del consolidamento delle proprietà sull’industria della radio.

Analizzando dieci anni di liberalizzazione e crescita dei grandi gruppi che da soli controllano centinaia o addirittura migliaia di stazioni locali, la FMC trae una conclusione di netto impoverimento dell’economia della radio. Il pubblico si trova di fronte a una scelta assai più limitata e nel complesso l’audience diminuisce. Pensate che secondo lo studio oltre il 75% della programmazione è fatta di una quindicina di format, che per gusti degli americani sono pochissimi. E che il 75% dell’audience è appannaggio di tre gruppi mediatici (e chissà quanti incassi pubblicitari). I lavoratori delle stazioni hanno molte opportunità in meno. I musicisti pagano un prezzo elevato in termini di isolamento e scarse opportunità di maggiore successo, perché nelle stazioni circolano sempre gli stessi dischi ripetuti all’infinito.
E’ la teoria della coda lunga applicata alla funzione matematica che mette in ascissa il numero di “titoli” o “pezzi” disponibili in un catalogo (possono essere titoli di libri o dischi, ma anche marche di tonno in scatola, o tipologie di formati radiofonici) e in ordinata il numero di singoli titoli o pezzi venduti. La teoria della coda lunga dice che in un mercato di massa, su dieci milioni di dischi venduti, otto saranno costituiti da non più di due o tre grandi successi; tutto il resto è fatto di qualche migliaio di titoli che vendono ciascuno qualche centinaio di copie.
E’ tutto normale, il capitalismo funziona così. Ma per un matematico (o un economista) quello che conta è l’integrale di questa curva che conta, perché determina il valore di tutta la torta. Quando non puoi agire troppo sulla leva del prezzo unitario, come purtroppo accade in un mercato di massa, è evidente che un eccessivo appiattimento della parte bassa della curva (la coda lunga), fa sì che il valore complessivo diminuisce. Avremo cioè quattro o cinque riccastri che vendono milioni di gelati e un esercito infinito di pasticceri artigianali che devono accontentarsi di piazzare qualche cono ogni tanto. Oltre una certa soglia di appiattimento, è un modo molto poco efficiente di dividersi la torta. Specie fuori dagli ambiti di Internet, dove gli effetti della coda lunga si sentono meno a causa delle opportunità che i piccoli proprietari possono sfruttare grazie ad artifizi a basso costo come il marketing virale e diavolerie del genere. Nel mercato della radio, cari miei, la formula “piccolo e povero” funziona meno bene.
La lettura del report di Future of Music Coalition è estremamente interessante per molti motivi. Anche per gli esempi che si possono trarre e applicare ad altri mercati, come quello della musica elettronica. Il problema è sempre quello: la diversità premia sempre, pur avendo i suoi inevitabili costi. La distribuzione di massa ha certamente i suoi vantaggi, ma l’apparato normativo che regola il mercato libero dovrebbe puntare a un più efficace compromesso tra gli spazi occupati dagli oligopolisti perché a lungo andare le situazioni che si vengono a creare assomigliano molto al quadro dipinto da FMC. Un quadro che ricorda maledettamente la triste statistica del pollo. Quella per cui uno si abboffa con due cosce, due ali e un petto e l’altro lo guarda mangiare affamato, ma l’economista deduce che si sono fatti mezzo pollo a testa.

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