“Nel 1982 di Paolo Rossi ce n’era solo uno”: così l’omonimo comico, milanese d’adozione, ricorda quando quasi trent’anni fa i carabinieri lo fermano per un controllo e, mostrati i documenti gli ufficiali incuriositi gli chiesero se fosse parente del popolare giocatore di calcio. Un caso di omonimia di un certo peso, se considerata la posizione che Paolo Rossi, il calciatore, rivestiva nel mondo sportivo italiano. Nel 2008, complici le innovative tecnologie e, naturalmente, internet, cercare omonimi è diventata una moda, tanto da averne coniato un neologismo. Così il fenomeno di Googlegänger (dal tedesco “doppelgänger”, in italiano “doppio di una persona”, ndr), alla base del quale ci sarebbero solo delle comunissimi ricerche di omonimia via web tra gli internauti di tutto il mondo, ha acquisito un nome, un senso, un peso nella comunità sociale del web 2.0. Addirittura c’è chi di questo trend ha fatto una sorta di passatempo, forse addirittura un lavoro. È il caso della statunitense Angela Shelton, che avrebbe recentemente scritto e pubblicato un libro intitolato “Alla ricerca di Angela Shelton”, nel quale racconta degli incontri sostenuti con quella quarantina di donne omonime conosciute attraverso internet e successivamente incontrate di persona, per raccogliere materiale per il proprio volume. Non chiedetevi perché l’abbia fatto. Probabilmente si tratta semplicemente di una donna con molto tempo libero, che ha fatto fruttare un’idea piuttosto originale, o se preferite, singolare. Altro caso è quelli degli utenti del social network Facebook, il cui cognome è Ritz: questi avrebbero fondato un club esclusivo, il cui unico obiettivo è quello di sorpassare in quantità di iscritti i primi della classifica, i Mohammad Hassan. Anche in questo caso, chiedersi il perché risulta del tutto inutile. Trattasi ancora di gente con molto tempo libero e, almeno in questo caso, con poche idee originali. Il commento pungente arriva direttamente da Milano, dalla psicologa Anna Oliverio Ferraris, che denigra il fenomeno dei Googlegänger con un commento piuttosto ragionevole: “Mi pare una forma di protagonismo fine a se stessa. (…) Tra persone che condividono lo stesso nome e cognome non vi sono affinità. (…) Il fenomeno dei Googlegänger mi pare una bizzarria che non ha altre spiegazioni se non il desiderio di protagonismo che internet consente”. Come darle torto? (Marco Menoncello per NL)