I retroscena dell’addio di Maria Luisa Busi al Tg1 di Minzolini: non mi ci riconosco più, questo è un giornale di parte

Ha scritto una lettera di suo pugno, l’ha firmata e poi l’ha affissa sulla bacheca della redazione del Tg1, affinché chiunque potesse leggere, dalla fonte primaria, le motivazioni che hanno spinto Maria Luisa Busi, quarantasei anni, volto storico e di primo piano del telegiornale di Rai1, a dare le sue dimissioni, da un tg in cui, dice, non si riconosce più.

Le dimissioni erano nell’aria da tempo, così come da tempo non c’era mistero sui dissapori interni alla redazione, da quasi un anno guidata da Augusto Minzolini, il direttore più discusso della storia del Tg1. Discusso dai colleghi della redazione, che hanno manifestato in varie circostanze il proprio dissenso, discusso dai colleghi dell’informazione, che ne hanno più volte stigmatizzato gli atteggiamenti, ritenuti di parte, ed il taglio troppo popolare per la tradizione pluridecennale del giornale dell’ammiraglia Rai; discusso, infine, dal pubblico, indignato per i casi di malainformazione (vedi notizia sul caso Mills), per gli editoriali spregiudicati a difesa della maggioranza di Governo, e che, infine, lo hanno abbandonato: il calo, progressivo e interminabile, dell’audience del giornale smentisce in maniera categorica le affermazioni del direttore, rilasciate all’indomani dell’ufficializzazione dell’addio della Busi, per cui "il mio telegiornale non è mai stato di parte, ho sempre dato voce a tutti e gli ascolti mi hanno dato ragione". Forse chi avrebbe dovuto decidere di fare un passo indietro sarebbe dovuto essere qualcun altro, non la conduttrice.  Poco più di una settimana fa, invece, nonostante l’informazione abbia dato poco risalto e poca copertura – a fronte di un addio così importante – all’evento, Maria Luisa Busi ha deciso di lasciare il telegiornale. Nelle motivazioni, che si leggono nella lunghissima – circa tre cartelle e mezzo – lettera d’addio, c’è tutto il dispiacere e tutta l’amarezza di una professionista dell’informazione (Premio Saint Vincent nel 2005), abituata a fare il suo mestiere in un Paese democratico dove la pluralità delle voci, specie all’interno del servizio pubblico, dev’essere salvaguardata ad ogni costo politico. "Questa è – dice la Busi, rivolta al direttore – una scelta difficile, ma obbligata. Considero la linea editoriale che hai voluto imprimere al giornale una sorta di dirottamento, a causa del quale il TG1 rischia di schiantarsi contro una definitiva perdita di credibilità nei confronti dei telespettatori". "Amo questo giornale – scrive, ancora, la Busi – dove lavoro da 21 anni. Perchè è un grande giornale. È stato il giornale di Vespa, Frajese, Longhi, Morrione, Fava, Giuntella. Il giornale delle culture diverse, delle idee diverse. Le conteneva tutte, era questa la sua ricchezza. Era il loro giornale, il nostro giornale. Anche dei colleghi che hai rimosso dai loro incarichi e di molti altri qui dentro che sono stati emarginati. Questo è il giornale che ha sempre parlato a tutto il Paese. Il giornale degli italiani". Secondo la giornalista, il telegiornale di Minzolini si sarebbe dimenticato del Paese reale, del Paese che versa in una situazione economica e sociale critica, del Paese che ha lasciato a casa un milione di cassintegrati e dove i precari quarantenni da 800 euro al mese non hanno futuro né presente. Invece che a questo, Minzolini avrebbe preferito dar spazio alle "mirabilie" del Governo e all’informazione popolare. La scintilla che ha portato all’addio sarebbe scattata, secondo le parole della conduttrice, quando all’Aquila "centinaia di persone hanno inveito contro la troupe che guidavo al grido di vergogna e scodinzolini, ho capito che quel rapporto di fiducia che ci ha sempre legato al nostro pubblico era davvero compromesso. È quello che accade quando si privilegia la comunicazione all’informazione, la propaganda alla verifica". "Dissentire non è tradire", scrive ancora, e se la prende poi con chi l’accusa di sputare nel piatto per cui ha mangiato per oltre vent’anni. Minzolini l’aveva attaccata, in un’intervista rilasciata a "Repubblica", accusandola di danneggiare il giornale con delle dichiarazioni circa il crollo degli ascolti del tg: crollo confermato (ditelo al direttore) dagli "ingenerosi" dati Auditel, che parlano di un calo di oltre 900mila spettatori a febbraio, rispetto al febbraio del 2009 e che raggiunge il milione a maggio.  La Busi, infine, annuncia azioni legali nei confronti delle campagne diffamatorie che, in seguito ai primi atti di disobbedienza al capo, "Il Giornale" berlusconiano di Feltri, "Libero" e il mondadoriano "Panorama" ha fatto partire nei suoi confronti. "Ho notato – scrive – come non si sia levata una tua parola contro la violenta campagna diffamatoria che i quotidiani Il Giornale, Libero e il settimanale Panorama – anche utilizzando impropriamente corrispondenza aziendale a me diretta – hanno scatenato nei miei confronti in seguito alle mie critiche alla tua linea editoriale. Un attacco a orologeria: screditare subito chi dissente per indebolire la valenza delle sue affermazioni". Continua la Busi: "Sono stata definita tosa ciacolante – ragazza chiacchierona – cronista senza cronaca, editorialista senza editoriali e via di questo passo. Non è ciò che mi disse il Presidente Ciampi consegnandomi il Premio Saint Vincent di giornalismo, al Quirinale. A queste vigliaccate risponderà il mio legale. Ma sappi che non è certo per questo che lascio la conduzione delle 20". Parole al vetriolo quelle che si leggono sulla lettera d’addio della giornalista. Purtroppo bisogna, ancora una volta, assistere, impotenti all’addio di qualcuno (in questo caso un volto che ha fatto la storia della redazione del Tg1) che, nell’impossibilità di cambiare le cose, è costretto a fare le valigie e ad andar via. (G.M. per NL)

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